di Antonio Errico
In principio è sempre un’immaginazione. La configurazione di qualcosa che non si conosce e si vorrebbe conoscere, di qualcosa che non esiste e che si vorrebbe creare. Si immaginò di volare, lontano lontano, e allora si costruirono aerei. Si immaginò di solcare i mari, di portarsi in terre sconosciute, e allora si costruirono zattere e poi si costruirono navi. Si immaginò di arrivare fino alla luna, e una volta un uomo posò il piede sul terriccio della luna. Qualsiasi cosa nuova, qualsiasi scoperta, tutto quello che esiste e che prima non esisteva, provengono da un pensiero che ha immaginato. A volte sopportando l’accusa di follia, oppure di eresia nei confronti della cultura dominante, dell’opinione comune, delle certezze inviolabili, nei confronti dei dogmi, delle verità assolute. Molto spesso, forse sempre, la ricerca comincia da un’immaginazione.
Albert Einstein diceva che l’immaginazione è più importante della conoscenza perché la conoscenza è limitata mentre l’immaginazione abbraccia il mondo, stimola il progresso e l’evoluzione.
Qualche volta si avverte la sensazione che non ci sia più nulla da immaginare, che sia stato già tutto scoperto, già tutto inventato. In un libretto del 1987 intitolato L’altro visto da sé, Jean Baudrillard scriveva che immaginare le terre australi è inutile, perché le si può raggiungere in venti ore d’aereo. Immaginare gli altri è inutile perché la comunicazione ce li rende immediatamente presenti. L’immaginazione del tempo, nella sua durata e nella sua complessità, è inutile, perché abbiamo la rappresentazione della storia.