di Antonio Errico
Leggiamo i classici per salvarci dal conformismo
Nel 1999 usciva “Un’idiozia conquistata a fatica” di Giorgio Gaber, un album che conteneva una canzone intitolata “Il conformista” nella quale c’erano alcuni versi che dicevano così: “Il conformista/ è uno che di solito sta sempre/ dalla parte giusta, il conformista/ ha tutte le risposte belle chiare/ dentro la sua testa/ è un concentrato di opinioni/ che tiene sotto il braccio due o tre quotidiani/ e quando ha voglia di pensare/ pensa per sentito dire/ forse/ da buon opportunista/ si adegua senza farci caso/ e vive nel suo paradiso”.
Giorgio Gaber e Sandro Luporini definivano il ritratto del conformista con una plasticità più significativa di quella del romanzo che Alberto Moravia pubblicò nel 1951. Il romanzo fu scritto troppo in fretta, disse lo stesso Moravia; troppe idee che si sovrapponevano e si soffocavano; probabilmente uno psicologismo sovrabbondante. Gaber e Luporini sono quasi didascalici: fotografano, e la fotografia restituisce i tratti essenziali di una fisionomia riconoscibilissima.
Non è improbabile che la necessità di sintesi che comporta una canzone e la relazione meno strutturale con situazioni storiche precise, abbiano attribuito alla canzone una carica metaforica più forte rispetto al romanzo, per cui la figura del conformista di Gaber la si può ritrovare senza nessuna difficoltà, e talune volte anche con fastidio, in non pochi contesti e non poche circostanze. Quell’uomo a tutto tondo che si muove senza consistenza, che si allena a scivolare dentro il mare della maggioranza, quell’animale assai comune che vive di parole da conversazione, che sogna i sogni di altri sognatori, che vola sempre a bassa quota in superficie, ce lo ritroviamo intorno, accanto, in continuazione, e a volte ci accorgiamo con molta o poca meraviglia, che ci rassomiglia straordinariamente.