di Antonio Errico
In un’intervista per il “Corriere della Sera”, a Paolo Di Stefano che chiede quali autori indicherebbe come irrinunciabili in un ideale canone degli anni Duemila, magari da proporre nelle scuole, il linguista Maurizio Dardano risponde che è difficile stabilire un canone degli anni Duemila e che per quanto riguarda la narrativa contemporanea da proporre nella scuola secondaria, si dovrebbe evitare la letteratura di pura evasione. Maurizio Dardano ha buone ragioni per essere prudente. Lui sa perfettamente che i giovani non accettano canoni. Anzi, sa perfettamente che i giovani esistono per scardinare i canoni d’ogni genere: quindi anche quelli letterari. Non c’è stata generazione che mentre il professore teneva la sua lezione su un certo classico non abbia letto un libro completamente diverso sotto il banco. Ecco: è il rifiuto del canone, l’opposizione silenziosa alla maggioranza celebrante. Le cose vanno così, e c’è una bellezza nelle cose che vanno così, che intendono rinnovare, rigenerare, proporre nuovi contenuti, forme nuove.
In fondo si legge per cercare significati nuovi, o rinnovati. Si legge per ripensare, riconsiderare. Ci sono molte occasioni che conducono ad un ripensamento, ad una riconsiderazione. A volte anche la distrazione può essere una di queste occasioni, perché attraversando la condizione di distrazione e imponendosi poi di ritornare sui concetti, sulle storie con concentrazione, con attrazione, può accadere che si scoprano significati che aderiscono al nostro esistere in quel momento, che si conformano al nostro pensiero, alla visione del mondo che abbiamo in quel momento. È a quel punto che tutto viene riconsiderato, ripensato, rielaborato, riformulato, rivissuto, risignificato. È a quel punto che tutto quello che si pensava fosse una conoscenza acquisita e immodificabile si ripresenta come forma sconosciuta generando il desiderio o l’interesse della conoscenza.