E anche qui, come nel saggio di De Rosa, viene fuori l’idea di un graduale, «naturale» svolgimento della poesia di Quasimodo, dalla «pietà» alla «partecipazione», non di un brusco e improvviso cambiamento.

La Risposta di Bodini provocò la controreplica di Macrì, che respinse fermamente l’accusa di voler colpire Quasimodo, del quale anzi riaffermava «la interna fedeltà e continuità con la stagione “ermetica” cioè, di “generazione”», rifiutando invece le «dichiarazioni programmatiche e teatrali che pertengono alla rincorsa della futile psicologia»[7].
Intanto anche Quasimodo, dal canto suo, nel Discorso sulla poesia, aveva sferrato un duro attacco all’ ermetismo («Nel 1945 s’insinua il silenzio nella scuola ermetica, nell’estremo antro pastorale fiorentino di fonemi metrici»[8]), al «falso modulo delle “generazioni”»[9] di Macrì e all’antologia di Anceschi-Antonielli, proprio come aveva fatto Bodini, e aveva affermato la vitalità di «quell’altra geografia poetica e popolare [dove] è fedele la presenza dell’uomo, i suoi sentimenti, i gesti, le opere»[10]. E’ un brano famoso che vale la pena di rileggere:
«Talvolta il poeta moderno è eloquente […] sembra, cioè, che discorra col mondo raccolto in un paesaggio ristretto (la sua terra): eloquente, anche se il suo tono è basso, familiare. Sono uomini del Sud, spesso; della Lucania, degli Abruzzi, delle Puglie, delle isole, ma anche del Piemonte, del Veneto, che, avuta una eredità terragna e feudale, aprono i loro dialoghi dritti e netti sulla loro sorte. Non hanno infanzia, né memoria di essa, ma catene ancora da rompere e concrete realtà per entrare nella vita culturale della nazione. Le muse dei boschi e delle valli tacciono in loro: rigurgitano invece i boati delle frane e delle alluvioni per le loro mitologie contadine. Faremo un giorno una carta poetica del Sud; e non importa se toccherà la Magna Grecia ancora, il suo cielo sopra immagini imperturbabili d’innocenza e di sensi accecanti. Là, forse, sta nascendo la “permanenza” della poesia»[11].
Qui cioè Quasimodo indicava nel Sud, ma anche, più in generale, nella concretezza della propria terra, nel recupero delle proprie radici, della propria identità, una delle possibili fonti di ispirazione e di rinnovamento per la poesia.
Il poeta siciliano era ormai il capofila della nuova poesia, nata dalle macerie della guerra, come riconobbe esplicitamente Bodini, che gli dedicò un articolo apparso sulla «Fiera letteraria» nel 1955, nel quale metteva in rilievo l’attenzione da lui rivolta al Sud, che per la prima volta si affacciava alla ribalta della lirica italiana. Il primo merito di Quasimodo infatti, secondo Bodini, era stato quello di approdare, già nel periodo ermetico, alle «sue terre d’uomo» cercando l’Eden, in quanto
«le sue parole raggiunsero paesi e oggetti reali, che erano d’un territorio vergine nella geografia lirica italiana: il Mezzogiorno, anzi il Sud […] Quasimodo ha dunque riscattato alla poesia di una nazione luminosa e sensibile (non già nordica e astratta) un territorio che rappresenta più di un terzo della sua superficie»[12].
Per questo motivo, spiegava Bodini, Quasimodo va riconosciuto come «l’iniziatore della poesia meridionale», anche se, precisava, tale definizione non va intesa in senso limitativo, perché anzi «dall’acquisto d’un paesaggio rimasto finora inesplorato e al di fuori degli schemi della poesia italiana, questa ne ha ottenuto nuovo sangue e luce»[13].
L’accentuazione di questo aspetto, in verità, era finalizzata anche, in un certo senso, alla valorizzazione della propria personale vicenda poetica. Nel 1952, infatti, era uscita la prima raccolta poetica di Bodini, La luna dei Borboni, al centro della quale c’è il Sud, un Sud però non convenzionale o di maniera, ma che è un insieme di realtà e di fantasia, di storia e di mito, di presenza e di memoria, come lo sarà anche nella successiva raccolta del ‘56, Dopo la luna. Ma non si dimentichi che in quegli anni, sull’esempio di Quasimodo, anche altri poeti più giovani avevano rivolto la loro attenzione al Sud, come, per fare un solo nome, il lucano Rocco Scotellaro.
Richiamandosi al saggio di De Rosa, Bodini accenna poi all’importanza svolta nella sua poesia dal «sentimento», che era anzi «la chiave» di cui s’era servito «per arrivare ai suoi oggetti»[14]. Da qui l’osservazione che quindi la poetica della parola «non fu la molla esclusiva»[15] della sua poesia, come pretendeva certa critica (e anche qui è chiaro il riferimento a Macrì).
Ancora una volta, infine, gli dà atto del coraggio dimostrato nell’aver rinunziato a privilegi e a posizioni conquistate per mettersi di nuovo in gioco, assumendosi una «congiunta responsabilità di uomo e di poeta»[16] nell’accettazione di contenuti “impoetici”, tratti dalla drammatica realtà e anche dalla cronaca di quegli anni («l’infelice tunnel della guerra e dei morti, della viltà, della neve e della paura»[17]). Questo gli aveva procurato gli attacchi di quanti gli rimproveravano di non essersi attenuto «al gioco dei temi proibiti, dei sentimenti proibiti, della purezza». Ma ormai, concludeva Bodini, Quasimodo deve essere considerato
«il solo poeta civile che abbia avuto l’Italia della guerra e dell’occupazione: e civile non significa stavolta retorico e declamatorio, ma di umana civiltà, di chinarsi, di scendere col proprio dolore fino al dolore degli uomini, e far sentire loro che almeno una parola cercava di raggiungerli nello sgomento»
dove non può sfuggire questa distinzione che richiama quella del Discorso quasimodiano tra «poesia sociale» e «poesia sociologica»[18].
Dopo aver letto l’articolo, Quasimodo gli inviò una lettera datata 9 agosto 1955, dalla quale trapela, ancora una volta, un senso di completa adesione alle tesi bodiniane. Non manca nemmeno qui il consueto tono polemico:
«La sua prosa, certo, avrà oscurato i giorni di vacanza dei fiorentini e dei milanesi decadenti, ma le ragioni sue, culturali e spirituali, chiariscono la necessaria poesia delle nuove generazioni. Molti morti del nord e del centro pestano tecniche e suoni consumati, sulle loro “tibie”».
Riferendosi poi alla definizione di «iniziatore della poesia meridionale», che gli aveva attribuito Bodini, così continuava:
«Mi perdoni la bivalenza. Io credo nel Sud che diventa europeo, anche se nel Sud ci sono ancora uomini con un occhio solo sulla fronte, ammiratori delle macchine che spostano le pietre che chiudono le spelonche civili ad aria “condizionata”. Aria condizionata, proprio, poveri Ciclopi!».
E anche qui i due poeti non potevano non trovarsi d’accordo nella visione di un Meridione d’Italia strettamente collegato all’Europa, alla civiltà, alla cultura europea, proprio come scriverà Bodini in una poesia, intitolata Troppo rapidamente, tratta dalla raccolta Dopo la luna : «Il Sud ci fu padre / e nostra madre l’Europa»[19].
I rapporti tra i due, intanto, si facevano sempre più stretti. Il 15 gennaio del 1956, Quasimodo inviava a Bodini per «L’esperienza poetica» una poesia, allora inedita, dal titolo Agrigento: Tempio di Zeus, e una traduzione da Meleagro. Nella lettera d’accompagnamento però lo pregava di pubblicare anche la lirica Ai fratelli Cervi, alla loro Italia, già apparsa su «L’Unità» il 4 novembre 1955, di cui allegava il ritaglio. «Penso – scriveva – che così sia “visibile” la mia libertà spirituale e formale. In fondo, di questo si tratta, anche per lei». Il 27 febbraio di quell’anno gli rispediva la poesia con alcune varianti e col titolo definitivo, Tempio di Zeus ad Agrigento. Sulla rivista bodiniana però essa, come pure la traduzione e l’altra lirica, non videro mai la luce, forse perché il volume mondadoriano Il falso e vero verde, dove compaiono i due testi poetici, uscì prima dell’unico numero del 1956, con cui «L’esperienza poetica» ebbe termine[20].
L’ultima tappa significativa di questa relazione letteraria è la scelta, da parte di Quasimodo, di nove poesie di Bodini che inserì nell’antologia da lui curata, Poesia italiana del dopoguerra [21]. Glielo comunicava con una lettera del 10 maggio 1958, in cui, fra l’altro, scriveva:
«La mia antologia, già stampata, uscirà alla fine del mese. Penso che susciterà polemiche in varie direzioni. Da essa ho escluso gli “alessandrini”, nuovi e antichi, compresa la Spaziani, naturalmente. La critica non poteva essere esercitata che sulle “forme” e la “posizione” dei poeti nei confronti del mondo contemporaneo. Eterne ragioni: ho agito con rigore e ho preferito qualche poeta “sbagliato” ai tecnici perfetti. Sulla resa stilistica (che parole, perdio) non potevo tranquillamente dormire; quindi le sorprese di molti “contenutisti”, ad apertura di pagina, e dei “fini” intellettuali. Il repertorio di Falqui era di liquidazione, sotterraneamente».
Era, anche questo, il segno di un intenso sodalizio intellettuale sviluppatosi tra i due poeti, oltre che, come scrisse Quasimodo a Bodini in una lettera del 19 ottobre 1959, di un’amicizia che andava «al di là delle misure di tempo e di convenienza».
[In A.L. Giannone, Tra
Sud ed Europa. Studi sul Novecento letterario italiano, Lecce, Milella,
2013, col titolo Quasimodo, Bodini e
l’ermetismo meridionale]
[1] O. MACRÌ, Riviste d’oggi, «Letteratura», 8-9, marzo-giugno 1954, pp. 144-148; poi, col titolo Di un complesso «generacional», in ID., Caratteri e figure …, cit., pp. 406-411. La citazione è a p. 410.
[2] Ivi, p. 409.
[3] Ivi, p. 410.
[4] A. DOLFI, nota n. 1, in MACRÌ, La teoria letteraria …, cit., p. 45
[5] BODINI, Risposta…, cit., p. 79.
[6] Ivi, p. 80. Per un’accurata ricostruzione di questa polemica cfr. LEONARDO TERRUSI, Vittorio Bodini contro Oreste Macrì: storia di una polemica letteraria, «Critica Letteraria», Napoli, 104, 1999, fasc. III, pp. 521-547.
[7] O. MACRÌ, Chiarimento sul metodo delle generazioni, «Il Caffè politico e letterario», maggio 1955, pp. 23-24; poi in ID., Realtà del simbolo, Firenze, Vallecchi, 1968 e ora in ID., La teoria letteraria …, cit., pp. 45-54. La citazione è a p. 52.
[8] QUASIMODO, Discorso…, cit., p. 283.
[9] Ivi, p. 284.
[10] Ivi, p. 291.
[11] Ivi, p. 290.
[12] VITTORIO BODINI, Quasimodo iniziatore della poesia meridionale. Le sue terre d’uomo, «La Fiera letteraria», Roma, X, 29, 17 luglio 1955, p. 5.
[13] Ibid.
[14] Ibid.
[15] Ibid.
[16] Ibid.
[17] Ibid.
[18] QUASIMODO, Discorso…, cit., p. 288.
[19] BODINI, Tutte le poesie …, cit., p. 128.
[20] Per la precisione, si trattava del n. 9-11 di gennaio-settembre 1956.
[21] SALVATORE QUASIMODO, Poesia italiana del dopoguerra, Milano, Schwarz, 1958. Le poesie di Bodini figurano alle pp. 57-67.