La parola paesaggio. Un’introduzione

Vincenzo Ciardo, Paesaggio salentino, olio su tavola, 1943, cm. 22,2 x 34,3.

Così come, del resto, sempre legata ai luoghi è anche la scrittura. Ed è appunto da questa semplice considerazione che trae spunto il libro che avete tra le mani. La riflessione sulle interazioni fra geografia e letteratura, che in Italia vanta una nobile tradizione a partire dal fondativo lavoro di Carlo Dionisotti, Geografia e storia della letteratura italiana (Einaudi, 1967), ha avuto negli ultimi trent’anni un notevole incremento, stimolato dal diffuso consenso riservato al cosiddetto spatial turn, un’importante svolta epistemologica, sviluppatasi soprattutto in area francese, tedesca e americana, che sollecita una maggiore attenzione per la dimensione della spazialità nelle discipline umanistiche. In particolare, negli studi letterari si è rivelata interessante, a livello di impianto teorico, la nozione di «geocritica» introdotta da Bertrand Westphal (Geocritica. Reale, finzione, spazio, Armando, 2009) che propone una metodologia «geocentrata», comparativa, multifocale (basata cioè sul sistematico confronto delle diverse rappresentazioni letterarie legate a un determinato territorio), polisensoriale (basata anche sul ruolo che ricoprono i nostri sensi nella percezione dello spazio), stratigrafica (lo spazio cambia a seconda delle diverse condizioni storiche in cui avviene l’osservazione) e intertestuale.

Per quanto riguarda il dibattito sviluppatosi in Italia, segnalo gli Atti di un interessante Convegno della MOD-Società italiana per lo studio della modernità letteraria tenutosi a Perugia nel giugno 2015, Geografie della modernità letteraria, a cura di Siriana Sgavicchia e Massimiliano Tortora (Ets, 2017); ma sono numerosi gli studiosi che si sono occupati in maniera approfondita, e da diverse prospettive, di letteratura e spazialità: fra questi vorrei ricordare almeno Giulio Iacoli (La percezione narrativa dello spazio. Teorie e rappresentazioni contemporanee, Carocci, 2008), Giancarlo Alfano (Paesaggi mappe tracciati. Cinque studi su letteratura e geografia, Liguori, 2010), Niccolò Scaffai (Letteratura e ecologia. Forme e temi di una relazione narrativa, Carocci, 2017) Alberto Comparini (Geocritica e poesia dell’esistenza, Mimesis, 2018) e Giulio Ferroni (Natura vicina e lontana. Umanesimo e ambiente dagli antichi greci all’intelligenza artificiale, La nave di Teseo, 2024).

Un approccio transdisciplinare ma generalmente rivolto all’analisi dell’opera di un singolo autore («egocentrato», secondo la terminologia di Westphal) è invece quello proposto dall’imagologia, che studia le immagini, gli stereotipi, i cliché legati alla rappresentazione letteraria di una determinata area culturale; e dalla geopoetica, più attenta alla dimensione in-between, cioè di reciproco scambio e di reciproco attraversamento,di geografia e letteratura. Un approfondimento di questo tipo di approccio, in Italia, è stato proposto in Geopoetiche. Studi di geografia e letteratura, a cura di Federico Italiano e Marco Mastronunzio (Unicopli, 2011).

Molto fertili si sono rivelate, inoltre, le riflessioni attorno al concetto di paesaggio, inteso essenzialmente come fatto estetico, e la sua rappresentazione letteraria, in particolare quelle che si leggono in un saggio di Michael Jakob, Il paesaggio (Il Mulino, 2009), in cui lo studioso propone un’efficace formula «a vocazione pratica ed euristica: P=S+N. Il paesaggio rimanda – ciò risulta subito da questa formula – a tre fattori essenziali o condizioni sine qua non: 1) a un soggetto (nessun paesaggio senza soggetto); 2) alla natura (nessun paesaggio senza natura); 3) a una relazione tra i due, soggetto e natura, indicata dal segno “+” (nessun paesaggio senza contatto, legame, incontro, tra il soggetto e la natura)» (pp. 30-31). Sul tema del paesaggio inteso come reagente per l’elaborazione letteraria si veda il libro di Matteo Meschiari, Nelle terre esterne. Geografie, paesaggi, scritture (Mucchi, 2018). Il rapporto fra geografia e letteratura, inteso anche come opportunità di sviluppo economico del territorio, è stato affrontato da Giovanni Capecchi nel saggio Sulle orme dei poeti. Letteratura, turismo e promozione del territorio (Patron, 2021).

Come si può capire dalle tante sfaccettature di questo dibattito, i luoghi agiscono in profondità sulle opere degli scrittori che li abitano o vi transitano, e non solo da un punto di vista sociale o antropologico. I luoghi possono generare modelli visivi e una conseguente retorica del vedere che è sempre funzionale alle ragioni del testo e alle aspettative dei lettori: si considerino, per esempio, i topoi del locus amoenus o del locus terribilis nelle letterature classiche, oppure lo spazio simbolico della letteratura medievale, quello esotico e incontaminato, paradisiaco o selvaggio, dei grandi romanzi d’avventura dell’Ottocento, o piuttosto quello alienante delle moderne metropoli industriali, ma anche le eterotopie (cinema, teatri, giardini, prigioni…), gli scenari utopici e distopici (se non addirittura catastrofici o apocalittici, come avviene in alcuni testi che si interrogano sulla crisi climatica ed ecologica), i nonluoghi disindividualizzanti della contemporaneità (centri commerciali, aeroporti…) in cui sono ambientate tante narrazioni più recenti. I luoghi possono generare anche temi e motivi spesso condivisi fra autori che, in una data epoca, gettano il loro sguardo sul mondo dallo stesso punto di osservazione. A volte incidono persino sulle loro scelte stilistiche e formali. A vari livelli – semantico, sintattico, persino lessicale e metrico, come avremo modo di verificare nelle pagine seguenti – i luoghi possono agire sulle parole da loro adoperate per raccontarli. E viceversa: anche le parole, a ben vedere, possono contribuire a fondare luoghi reali, come avviene, per esempio, in alcuni parchi tematici (anche in quelli letterari, ovviamente), in certi villaggi-vacanza, in quelle località turistiche che per aumentare il loro appeal tendono a replicare nell’ambiente reale una rappresentazione letteraria di successo, nei neo-toponimi legati a scrittori illustri (San Mauro Pascoli, Arquà Petrarca ecc.).

La parola-paesaggio – la parola che descrive un paesaggio, ma che anche lo interroga, lo metabolizza o lo (ri)crea – è il processo semiotico attraverso cui uno spazio fisico transita in una rappresentazione letteraria (e viceversa). Una tassonomia di questa transizione è di fatto ardua se non del tutto impossibile, perché il paesaggio è per sua natura instabile, mutevolissimo. Anche quando sembra fissarsi in cliché o stereotipi ben codificati e radicati, la rappresentazione letteraria del paesaggio è comunque soggetta nel tempo a variazioni, anche minime, che possono modificarli in parte o sconfessarli del tutto, sostituendoli con nuovi modelli di riferimento, magari alternativi ai precedenti e anch’essi, ovviamente, destinati a variare.

La storia di un paesaggio letterario, un approccio stratigrafico alle varie rappresentazioni che nel tempo ne sono state date, forse può insegnarci proprio questo: che non esiste una sola cultura legata ai luoghi, e dunque un unico modo di osservarli e rappresentarli. Esiste, invece, una pluralità di prospettive, a volte sovrapponibili, a volte contraddittorie, che sta a noi trasformare non in roccaforti per la propaganda di arroganti mitografie identitarie ma in presidi di civiltà, in avamposti ospitali per un progetto culturale dialogico e inclusivo.

A partire da queste considerazioni, e anche un po’ per sfuggire al demone della teoria, che rischierebbe di rendere nebuloso un discorso che invece ha bisogno, per essere meglio compreso e accolto dai lettori, di ancorarsi a elementi (geografici e testuali) molto concreti, ho raccolto in questo libro alcuni studi dedicati a scrittori che nel corso del Novecento e oltre si sono confrontati, almeno in alcune delle loro opere più rappresentative, con un territorio ben delimitato: il Finisterre della penisola salentina, la cui particolare collocazione geografica può essere considerata, a seconda di come la si osservi su una mappa, ora come estrema periferia meridionale italiana (e dell’Europa occidentale), ora come centro pressoché esatto del bacino del Mediterraneo, con tutte le differenze geopolitiche e culturali che queste due diverse prospettive possono comportare.

Gli scrittori che approfondirò nelle pagine seguenti sono molto diversi fra loro per estrazione, formazione, periodo di attività, linguaggio, stile, consenso della critica ecc. E di conseguenza anche la loro idea di paesaggio, come si vedrà procedendo nella lettura, è piuttosto eterogenea: pur misurandosi con un unico referente spaziale –  lo stesso che li ha visti nascere, crescere, operare e in alcuni casi andarsene (e anche ritornare) – ognuno di loro lo racconta in un modo diverso: a volte collocandolo, per esempio, in un presente astorico, senza tempo, preteso retaggio di una remota discendenza magnogreca, altre volte rappresentandolo come un teatro di rivendicazioni e conflitti politici, religiosi e sociali anche aspri o cruenti; a volte valorizzando – o addirittura esaltando – le sue più genuine tradizioni popolari o il suo patrimonio artistico e naturalistico, altre volte denunciando le contraddizioni di un’imprenditoria occhieggiante e parassitaria e di una politica insipiente che le hanno derubricate a semplici brand per le proprie strategie di marketing o per la costruzione del consenso; a volte saturandolo di memorie, esperienze, sentimenti personali, altre volte ricorrendo a una descrizione dei luoghi apparentemente asciutta, essenziale, denotativa.

Dunque, un paesaggio plurale, come ho cercato di specificare, in estrema sintesi, nei sottotitoli dei vari interventi, per le ragioni che si chiariranno andando avanti nella lettura: identitario (nell’opera di Luigi Corvaglia), inquieto (in Vittorio Bodini), contadino (in Rina Durante), storico (in Nicola G. De Donno), meridiano (in Angelo Lippo), magnogreco (in Giacinto Spagnoletti), industriale (in Pasquale Pinto), culturale (in Antonio L. Verri), memoriale (in Antonio Prete), nomade (in Carmelo Bene). Un paesaggio che, come spero, aiuterà a comprendere meglio, se non le ragioni di fondo, almeno alcune sfumature di senso di quelle che ho definito Scritture del Finisterre, cioè rappresentazioni letterarie intimamente legate al territorio salentino; e, anche, un paesaggio che proprio le Scritture del Finisterre possono forse aiutarci a ‘leggere’, visitare o abitare con maggiore consapevolezza.

[Introduzione a La parola paesaggio. Scritture del Finisterre, Milella, Lecce 2025, pp. 9-16]

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