Lo stato dell’Arte 3. Non è tutto Caravaggio quel che luccica ovvero, la tanto sbandierata rivoluzione caravaggesca era nell’aria già da tempo

Vasari, è bene ricordare, fu l’autore – insieme a Federico Zuccari che ne continuò i lavori dopo la sua morte – dell’imponente ciclo di dipinti che decorano la cupola di Santa Maria del Fiore; poi dei soffitti istoriati di Palazzo Vecchio e del “corridoio vasariano” che lo collega al Giardino di Boboli, nonché della realizzazione architettonica dell’edificio noto come gli Uffizi, oggi sede di una delle raccolte d’arte più importanti al mondo. L’artista, tra i maggiori “pittori e architettori” del secondo Cinquecento, contrariamente a quanto si possa credere, non scrisse “Le Vite” partendo da una pagina bianca, ma attinse a piene mani dal cosiddetto Manoscritto Magliabechiano, come del resto dimostrano alcuni studi recenti[1].

Stesso approccio filologico merita anche Michelangelo Merisi, che nei lavori dei primi anni evidenzia sicuramente una spiccata capacità di rappresentazione del dato reale, utilizzando però un fondo chiaro, dove la luce scenica ha un impatto meno evidente rispetto alle opere più mature, quelle dal 1599 in poi: l’l’Amorino o Amore dormiente (ca. 1609) della Galleria Palatina di Palazzo Pitti, per esempio, è immerso in un nero assoluto. L’ala destra dell’angioletto è appena accennata da un sottile colpo di luce, fatto di poche pennellate bianche sul fondo scuro.

Dunque, la rivoluzione molto probabilmente era già nell’aria quando il XV secolo volgeva ormai alla fine: in parte giunta dal Nord Europa, in parte innescata dai grandi maestri veneti. Michelangelo Merisi (1571-1610), infatti, sottoscrisse un contratto di praticantato quadriennale presso la bottega milanese di Simone Peterzano (Venezia, 1535-Milano, 1599). Peterzano, maestro di Caravaggio, era un pittore veneto stabilitosi a Milano, a sua volta allievo del più noto Tiziano (Tiziano Vecellio, ca. 1490-1567), pittore veneto allievo di Giorgione (1478-1510) e contemporaneo del conterraneo Lorenzo Lotto (1480-1557 ca.), a cui si accenna brevemente nel testo dedicato alla mostra romana Caravaggio 2025.

Tiziano, «che nei finimenti dipingeva più con le dita che con i pennelli»[2], come scriveva nel 1660 Marco Boschini, fu certamente uno dei grandi artefici del cambiamento. Lo stesso Lorenzo Lotto ne fu fortemente influenzato, adattando la sua “maniera” a quella del collega, come del resto fece Raffaello vedendo Michelangelo Buonarroti impegnato nella realizzazione della volta dell’Aula Sistina.

Volendo tracciare un’ipotetica linea del tempo, un breve repertorio iconografico esemplificativo, si potrebbero identificare alcuni dipinti che anticiparono – preannunciandola – la tanto sbandierata rivoluzione caravaggesca: che, come ogni fenomeno di grande portata, non nasce mai dal nulla ma trova sempre terreno fertile nei cambiamenti della società, di cui l’arte è solo uno dei tanti aspetti formali. Utili allo scopo possono essere per esempio dipinti come:

Giorgione, Tre età dell’uomo, 1500, Firenze, Galleria Palatina Palazzo Pitti.

Pietro Perugino, Ritratto di giovane (forse il figlio), 1495-1500, Firenze, Galleria degli Uffizi..

Giorgione, Ritratto di vecchia, 1506, Venezia, Galleria dell’Accademia.

Tiziano Vecellio, Il concerto, 1507 ca., Firenze, Galleria Palatina Palazzo Pitti.

Giorgione, Autoritratto come David, 1509 ca., Braunschweig, Herzog Anton Ulrich Museum.

Tiziano Vecellio, Ritratto di giovane con cappuccio e guanti, 1515 ca., Londra, National Gallery.

Lorenzo Lotto, Ritratto di Andrea Odoni, 1527, Castello di Windsor, Royal Collection.

Lorenzo Lotto, Cristo e l’adultera, 1548 ca., Loreto, Museo Pontificio “Antico Tesoro della Santa Casa”.

Simone Peterzano, Autoritratto, 1589, Roma, Collezione Calvesi.

Quest’ultimo autoritratto, realizzato probabilmente negli anni in cui Michelangelo Merisi – diciottenne – intratteneva ancora rapporti con la bottega milanese di Peterzano. Infatti, solo dal 1592 si può collocare Caravaggio a Roma e, forse, non ancora stabilmente. In ogni modo, presso l’Archivio di Stato di Milano si conserva il contratto stipulato tra Simone Peterzano e il giovane Merisi: quest’ultimo, dal 1584, ancora dodicenne, e fino al 1587, come testimoniato dall’atto, condusse il suo praticantato presso la bottega del maestro veneto. È risaputo che l’Autoritratto [di Caravaggio] in veste di Bacco del 1596, è fortemente ispirato dal disegno la Sibilla Persica, uno studio di Simone Peterzano databile 1578-1582, realizzato in occasione delle decorazioni a fresco della Certosa di Garegnano, oggi conservato al Gabinetto dei disegni del Castello Sforzesco di Milano.

Ai dipinti elencati poc’anzi andrebbe aggiunta un’opera iconica, Autoritratto con pelliccia di Albrecht Dürer del 1500 (Alte Pinakothek, Monaco di Baviera), di poco precedente alla seconda discesa in Italia del pittore nord europeo. Albrecht Dürer (Norimberga, 1471-1528), pittore e incisore tedesco, fece alcuni viaggi in Italia, ispiratori sia per lui che per coloro che lo incontrarono: il primo avvenuto tra il 1494 e il 1495, ampiamente documentato dalla mostra che si è tenuta al Castello del Buonconsiglio a Trento (Dürer e gli altri – rinascimenti in riva all’Adige, dal 6 luglio al 13 ottobre 2024); il secondo, intrapreso tra il 1505 e il 1507, in cui l’osmosi tra rinascimento nordico e rinascimento italiano fu totale. Se il tedesco torna in patria con una conoscenza accresciuta dell’indagine prospettica leonardesca e della composizione belliniana (si veda l’Adorazione della Santissima Trinità del 1511), in Italia, di Dürer rimane molto altro; soprattutto si rinnova la ritrattistica, con l’uso sempre più diffuso dei fondi neri, già anticipati da Pietro Perugino nel Ritratto di giovane degli Uffizi, soluzione che aumenta notevolmente la tridimensionalità dell’immagine raffigurata.

È degno di nota, a proposito delle influenze reciproche tra colleghi, oltre al rapporto rispettosissimo avuto da Dürer con Giovanni Bellini, a sua volta maestro di Lorenzo Lotto, anche il caso di un abile falsario rinascimentale: Marcantonio Raimondi (ca. 1480-1534). Abilità falsaria, la sua, che lo storico dell’arte Friedrich Lippmann riconduceva alla «straordinaria capacità di adattamento e di assimilazione dell’arte altrui». Marcantonio iniziò a falsificare le Vite di Maria di Dürer mentre il tedesco era ancora a Venezia, facendo circolare le cosiddette Vite di Maria raimondiane, che innescarono le proteste di Dürer direttamente alla Signoria di Venezia: «Marcantonio cominciò a conoscere il Dürer tramite Raffaello, al quale (a quanto racconta il Vasari) il maestro tedesco aveva inviato in omaggio un proprio ritratto. Questo ritratto era “colorito a guazzo con molta diligenza” su tela sottilissima, tanto che si vedeva da entrambe le parti, e traluceva per una luminosità che non era stata ottenuta con apposizione di bianco, ma era stata ricavata sfruttando la tela stessa. Raffaello, dal canto suo, inviò al Dürer vari suoi disegni e alcuni suoi fogli incisi e stampati a Bologna»[3]. Dürer imprimeva luminosità senza l’uso del bianco!

Significativa l’opera di Giorgione Ritratto di vecchia (1506), in cui la luce caravaggesca è già potentissima; lo stesso vale per Lorenzo Lotto in Cristo e l’adultera, del 1548 ca.[4], in cui la stessa luce, l’impostazione della scena e alcune soluzioni iconografiche già preannunciano la rivoluzione in nuce. Come alcuni autori hanno avuto modo di affermare, Caravaggio cambia la raffigurazione dei soldati che attorniano Gesù, nella Cattura di Cristo (1602) e in altre opere (Crocifissione di sant’Andrea, Seppellimento si santa Lucia, Martirio di sant’Orsola), vestendoli con armature che non sono in nessun modo coeve del Cristo ma dell’artista che ne rappresenta le gesta: soluzione che, come si può notare, Lorenzo Lotto adotta più di vent’anni prima della nascita del lombardo, sia nel Cristo e l’adultera lauretano che nel precedente Cristo portacroce (1526), oggi al Louvre di Parigi.

È evidente, la scelta di usare Caravaggio per attirare le masse è senza dubbio una trovata di marketing turistico (territoriale) globale, uno specchietto per le allodole che, come orde barbariche, si riversano nei musei per ammirare i soliti nomi noti; per divorare immagini, dimenticando che la storia dell’arte italiana ed europea è molto più complessa e articolata di quanto il pensiero massificato – quello del turismo “mordi e fuggi” – possa mai immaginare: «l’arte nasce sempre dall’arte». La pittura veneta e le influenza nordeuropee sono nelle corde di Caravaggio, a cui va riconosciuto il merito di averle sapute pizzicare con maestria, esercitando sulle orde di visitatori lo stesso fascino effeminato del suo Suonatore di liuto, quasi fosse la melodia del Pifferaio magico di Hamelin.

Note


[1] «Le Vite del Vasari sono ormai da molto tempo sotto la lente del dibattito filologico sull’origine dello storico volume: sembrerebbe infatti che il Vasari abbia attinto al cinquecentesco manoscritto Magliabechiano XVII, 17 della BNCF – meglio noto come “Anonimo Magliabechiano o Anonimo Gaddiano”. Uno studio approfondito dal titolo “Le Officine delle Vite: Nuove osservazioni filologiche sul manoscritto Magliabechiano XVII, 17 e le Vite del Vasari” di Lorenzo Bartoli dell’Università di Madrid, affronta l’argomento sulla genesi, adducendo prove concrete alla storica tesi che vuole Vasari non precursore ma consecutio del meno noto “Anonimo Magliabechiano o Anonimo Gaddiano”».

[2] M. Boschini, La carta del navegar pitoresco, Edizione commentata a cura di A. Pallucchini, Venezia – Roma, 1966.

[3] F. Arnau, Kunst der Fälscher. Fälscher der Kunst, Econ Verlag, Düsseldorf, 1953.

[4] AA.VV., Lorenzo Lotto. I capolavori della Santa Casa di Loreto, Fondazione Credito Bergamasco, 2017.

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