La notte del 15 di agosto, i due ricercatori sono a Torrepaduli, alla danza delle spade che si infiamma nella festa di San Rocco. Il materiale che deriva dalla loro ricerca è costituito da canti, suoni, rumori di traini, aratri, suoni di campane, immagini di processioni, grida di venditori ambulanti, fiabe, cunti, racconti sui nachiri dei frantoi, concerti di banda, nenie. L’universo di una civiltà. Ma la loro ricerca è soprattutto la riconferma della essenzialità di una memoria: che rappresenta la condizione essenziale, indispensabile per lo sviluppo della civiltà.
La memoria è conoscenza. È profondità. La memoria e la conoscenza sono il contrario delle superficialità. Memoria e conoscenza hanno una sostanziale relazione con il tempo. Nella relazione con il tempo la memoria riproduce i suoi significati, li calibra e li conforma al presente e alla contingenza storica e culturale, li carica di riverberi, di sensi ulteriori, assume una funzione consistente nel processo di evoluzione; diventa essa stessa una finalità dell’evoluzione.
A un certo punto, prima o dopo, una civiltà si ritrova, consapevolmente o inconsapevolmente, a dover scegliere se considerare la memoria come parte integrante e rilevante del proprio percorso di evoluzione o se collocarla ai margini, considerarla senza alcun rilievo.
Nel caso in cui dovesse aderire alla prima ipotesi, non potrà fare a meno di attribuire alla memoria e alla conoscenza una valenza essenziale. Nel caso in cui dovesse scegliere di considerarla marginale, non avrà neppure i criteri, i metodi e gli strumenti di cognizione per rendersi conto che non dovrebbe nemmeno chiamarsi civiltà.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Giovedì 27 marzo 2025]