di Antonio Errico

Ci sono libri che ad ogni pagina spalancano universi di civiltà: raccontano storie di miti, di riti, di stagioni dell’esistenza che vengono e che vanno. Sono libri che mentre dicono di un passato disegnano orizzonti di futuro. Dimostrano che quello che siamo, il modo in cui siamo, probabilmente quello in cui saremo, hanno una radice profonda, una stratificazione di significati. Custodiscono memoria che si ridetermina e si rinnova e si rigenera, fa da lievito e sostanza del tempo. Diciotto anni fa Kurumuny pubblicò un libro così: che con immagini e parole spalancava universi di una civiltà: che non esiste più. Il libro è di Gianni Bosio e Clara Longhini; si intitola “1968. Una ricerca in Salento. Suoni grida canti rumori storie immagini”. Che cosa sia questo libro e da dove provenga, lo dice Luigi Chiriatti nel suo intervento: imprescindibile. Lo dice con l’appassionato rigore delle ricerche di antropologia ed etnomusicologia che ha condotto per tutta la vita. Allora. Era il Sessantotto (anno di turbolenze, di concreti e astratti furori), quando Gianni Bosio e Clara Longini vennero in vacanza a Otranto per ricercare, registrare, fotografare, documentare, verificare, raccontare quale fosse lo stato del tarantismo dopo Ernesto de Martino, che qui, in Salento c’era stato nel ‘59. Bosio e Longhini vanno in giro, cercano voci, suoni, scene. A Galatina cercano i suonatori delle tarantate. Non ne trovano. Si erano mostrati a De Martino, poi si erano ritirati, celati nelle rughe millenarie dei volti e dei luoghi del Salento, dice Chiriatti.