Sempre Gonzati riporta; “Passato in Asia e di là in Egitto vi s’intrattenne in lunghe investigazioni; si fermò a Gerusalemme dove divenne medico personale del console veneziano Alvise Corner e concluse studi sulla flora locale; ed Ottavio Ferrari che l’ebbe per molti anni ad amico, ci attesta che scrutò con indefessa costanza le scaturigini e quant’altro ha riguardo alle alluvioni del Nilo. Ricco in tal guisa di sapere molteplice, si rivolse all’Italia; e sapendo per fama quanto fosse la liberalità del veneziano governo, approdò a quell’antica regina dell’Adriatico e vi pose stanza. Egli però non rimase a Venezia che soli quattro anni; giacchè il Senato nel 1632 gli conferiva la Cattedra di Anatomia nello Studio nostro, coll’obbligo d’insegnar altresì chirurgia. E con una ducale del 30 dicembre 1632, il medico di Minden viene chiamato nella città del Santo ed inizia a tenere le lezioni il 17 gennaio dell’anno 1633”.
E ancora il Gonzati: “Ma quando nel 1638 veniva a morte, il celebre professore di Botanica Alpino figlio di Prospero Alpini, il Veslingio era destinato a succedergli: a condizione però, che tralasciando le chirurgiche pertrattazioni, seguitasse a tener quelle di Anatomia. Era il voto più vivo del valentuomo; che tocche le soglie del giardino dei Semplici, fece stima di trovarsi agli orti Esperidi che aveva sognati da lungo tempo. Quanto egli poi s’avanzasse si nell’arte salutare che nella conoscenza dei vegetabili, lo dicono, oltre la fama che lo accompagnò sino alla tomba, gli scritti che tramandava alla posterità e il copioso numero di quelle piante esotiche onde arricchì il giardino botanico. Così nel 1638 è nominato prefetto dell’Orto botanico. Nel 1648 ebbe dal Senato Accademico il permesso di recarsi nuovamente in Oriente per un viaggio di studio, si fermò a Creta e ne riportò molte piante rare.
Cagione della intempestiva sua morte, avvenuta il 30 agosto 1649, fu un morbo contagioso che lo colse, mentre gratuitamente prestava l’opera sua a salvare i più meschini del popolo. Legò di essere sepolto nella nostra Basilica, e dispose della somma di cinquecento ducati perché gli fosse eretto un mausoleo. Questo suo volere era recato ad effetto del suocero Giovanni Pueppa, per cura dei due professori Ottavio Ferrari milanese e Giovanni Rodio danese, i quali gli edificarono un ricco sarcofago di marmo africano e carrarese, nello stile composito, e nello spazio contenuto fra due colonnette ed altrettanti pilastrini sorreggenti un frontespizio, collocarono il busto del Veslingio con sul petto la croce di cavaliere del Santo Sepolcro. Nel suo viaggio in Asia essendosi soffermato il Veslingio a Gerusalemme, venne ivi decorato di codesta insegna a solersi eziandio conferire dal guardiano o custode del santo Sepolcro. Consisteva in una croce, smaltata di rosso, accantonata di quattro eguali crocette”.
Il 22-23 aprile 1650 venne letta la richiesta per il permesso di costruire il monumento a Giovanni Veslingio nella Basilica del Santo.
E Padre A. Sartori riporta “L’eccellentissimo Signor Gio. Vislingo la cui virtù, e fama celebre vive non solo in questa Città, che lui elesse per Patria, ma nei luoghi più remmoti ancora desideroso, che gli fosse per sepoltura destinato un luogo conspicuo, et appresso eretto un epitaffio nella Chiesa del Santo, nel modo che appare nell’infrascritto punto del suo testamento. E il testamento recitava: ‘Il mio corpo voglio che sia sepolto nel tempio di Sant’Antonio. Voglio che mi sia eretto un epitaffio nel sopraddetto Tempio di marmo non molto vasto di mole, ma di forma decora di prezzo di cinquecento ducati al meno. La inscrizione dell’epitaffio voglio che sia fatta dai clarissimi Signori Ottavio Ferrari pubblico lettore ed il Sig. Giovanni Rudio Gentil’ huomo Danese, ricordandosi della modestia, ornamento d’ huomeni letterati. Deve essere posto quest’ epitaffio in luoco conspicuo della Chiesa e se puol essere derimpetto all’Epitaffio dell’Illustrissimo Salla di buona memoria”. La concessione è dell’8 gennaio 1851.
E così nella Basilica del Santo a Padova si costruì il mausoleo del famoso naturalista Giovanni Veslingio, a ridosso del primo pilastro fra la navata centrale e la laterale destra, entrando nella chiesa, di fronte al monumento di Giandomenico Sala, come lo stesso Vesling aveva domandato.

L’epitaffio riporta: JOANNI VESLINGIO MONDANO EQUITI NATURAE VERIQUE SOLERTISSIMO QUI SAPIENTIAE ATQUE EXOTICARUM STIRPIUM STUDIO AEGIPTO PERAGRATA AB VENETO SENATU REI HERBARIAE ET CORPORUM SECTION PRAEFECTUS EUM LATINITATIS ET GRAECAE ERUDITIONIS CULTUM MUTIS ARTIBUS CIRCUMFUDIT UT ILLIC NATURAE LUDENTIS POMPAM AEMULARETUR HIC SPECTACULI DIRITATEM ORATIONE DELENIRET UT QUANTUM OCULI PATERENTUR TANTUM SIBI PLACERET AURES AD EXTREMUM LABORIBUS FRACTUS DUM MISERAE PLEBI GRATUITAM OPERAM COMMODAT NOXIO CONTACTU PUBLICAE SALUTI VITAM IMPENDIT.
XXX MENS. AUG. AN. CHR. 1649. AETAT LI
JOANNES PUEPPA LOTHARINGUS SOCERO B.M.P.
CURANTIBUS OCTAVIO FERRARIO ET IOANNE RHODIO.
Traduzione (da V. Zaramella): “A Giovanni Vesling di Minden (della Vestfalia) cavaliere, solertissimo scrutatore della natura e del vero, che per studiare le stirpi esotiche percorse l’Egitto, dal senato veneto creato incaricato prefetto della scienza botanica e della vivisezione dei corpi (anatomia), aveva sparso attorno al culto della cultura greca e latina nelle arti mute, così che ne imittassero la pompa della natura che gioca. E qui raddolcisce con l’eloquio la spietatezza dello spettacolo (della vivisezone dei cadaveri) perché quanto ne soffrivano gli occhi (nel veder squartati i corpi) tanto fossero accontentati gli orecchi (da ciò che raccontava). Alla fine sfinito dalle fatiche, mentre presta l’opera gratuita alla misera plebe col contatto nocivo, spende la vita per la salute pubblica l 30 agosto dell’anno di Cristo 1649 a 51 anni. Eresse il monumento il meritevole suocero Giovanni Puppea di Lotaringia, per cura di Ottavio Ferrari e Giovanni Rodo”.
Gonzati sostiene che il “Tommasini, scrittore contemporaneo del Veslingio, ne assicura che la sua salma venne deposta con grandissimi onori nella parte meridionale del primo chiostro che noi chiamiamo del Capitolo; ma non sussiste adesso verun indizio che ci mostri ove sia questa tomba”.

A. J. Fabre, medico francese e storico della medicina, nella sua opera “Les chirurgiens de Padoua” del 2014 così scrive: “Padova tiene un posto maggiore nella Chirurgia“, e tra tutti gli altri cita Vesling dicendo: “fu un pioniere dell’anatomia patologica e dell’embriologia, illustrando il suo insegnamento con le tavole anatomiche”. Esse sono 24 tavole anatomiche incise su rame, che illustrano l’opera del Vesling “Syntagma anatomicum”, dedicata al merito singolare del molto illustre ed Ecc.te Sig. Filoteo Tomasi, primo chirurgo del Pio Ospitale di S. Francesco Grande di Padova. La prima edizione dell’opera del 1641 uscì senza illustrazioni, mentre la seconda del 1647 fu ampliata ed illustrata con le incisioni di Giovanni Georgi (veneziano? padovano? tedesco?- ignoti sono i suoi dati biografici), che fu un incisore attivo in area veneta nel XVII secolo, dimostrando di possedere ottime competenze nell’ambito del disegno anatomico. L’opera comprende il frontespizio che riproduce il teatro anatomico patavino e il ritratto di J. Vesling, sempre incisi dallo stesso autore. Il successo dell’opera fu tale che si ebbero numerose traduzioni in diverse lingue e numerose ristampe fino alla prima metà del Settecento. E nel 1709 furono pubblicate le sole 24 tavole con un semplice commento sotto il titolo di “Tavole anatomiche del Vislingio spiegate in lingua italiana” (Padova, stampate dalla vedova Frambotti e Gio.Battista Conzatti). “E anche l’insigne Giovanni Battista Morgagni (1682-1771) che all’inizio del XVIII secolo prese l’insegnamento anatomico a Padova ne loda l’assetto espositivo e la ripartizione degli argomenti”. E “Il bolive” del 28 agosto del 2019 riporta: “Per lo svolgimento della sua attività didattica e per la realizzazione del corredo iconografico e illustrativo del Syntagma, Vesling utilizza anche dei preparati anatomici a secco che illustrano determinate strutture anatomiche e alcuni di questi, infissi su tavole lignee, sono oggi conservati presso il Royal College of Surgeons”.
Inoltre Vesling ha contribuito ”all’osservazione, alla descrizione e ad una migliore conoscenza del circolo arterioso cerebrale”, oggi noto come circolo o poligono del Willis, scoperto nel 1664 dal medico britannico Thomas Willis– 1621-1655), dei vasi chiliferi e del dotto toracico” (Il bolive, 28 gosto 2019).
Giovanni Andres nella sua opera “Dell’origine, progressi e stato attuale d’ogni letteratura” dice: “Padova fu parimente il teatro delle glorie anatomiche d’altro tedesco Vesling […] e i vasi lattei gli diedero merito di nuove scoperte, avendogli egli dimostrato con molte esperienze non solo negli animali, ma eziandio nell’uomo stesso, dove Aselli (1581-1626) non li aveva saputi ricercare e in molte altre parti, oltre le indicate dall’Aselli, primo scopritore (1622). Aselli li aveva scoperti per caso, vivisezionando un cane in piena digestione e si accorse di numerosi filamenti biancastri, da lui presi da principio per nervi; “e la sua sorpresa al vederli stillare latte e per questo li chiamò vene lattee o vasi lattei; e quella de’ suoi dotti amici all’osservare i nuovi fenomeni che faceva loro vedere, provano quanto fossero sconosciuti tali vasi, e quanto fosse nuovo ed originale questo suo ritrovato” che confermò con “replicate esperienze e in differenti animali”. Ma Aselli non aveva minimamente pensato che “questa sua scoperta aveva qualche appoggio nell’antichità: Ippocrate, Platone, Erofilo ed altri antichi conobbero esservi alcune vene destinate pel sangue, altre pel chilo”. Ma alla fine la ”ingenua modestia e la profonda erudizione gli (ad Aselli )ha lasciato tutto intiero il merito della scoperta e Aselli passerà immortale alla dotta posterità”.
Andres sostiene “I vasi lattei furono a quel tempo il soggetto delle ricerche anatomiche, e diedero la materia, o almeno l’occasione di fare nuove scoperte” e ancora. I nuovi lavori ed i nuovi ritrovati del Vesling, del Pecquet (1622-1674) del 1651, del Rudbeck (1630-1702) del 1651, del Bartolino (1616-1680) del 1652 facevano conoscere le segrete ed interne operazioni della natura nella formazione del chilo e del sangue, nella nutrizione e nella vivificazione degli animali, e producevano una nuova e più fina e delicata, più giusta ed esatta anatomia”.
Andres continua: “Nuove osservazioni su la generazione e su lo sviluppo delle parti del pollo, qualche cognizione de’ vasi linfatici che poi fecero tanto strepito, ed altri rischiarimenti di vari punti anatomici resero in pochi anni benemerito dell’anatomia il giovine Vesling, quantunque morto prematuramente a discapito della medesima. Se vorremo stare al testimonio di Maurizio Hofman, già il Vesling avea veduto e fatto vedere allo stesso Hofman nel 1649 in varie parti del corpo de’ vasi linfatici. Ma questa osservazione del Vesling non passò che per una scoperta di nuovi vasi lattei com’egli infatti seguitava a chiamarli, né è giunto a torre presso a posteri al Bartolino la gloria dell’invenzione dei linfatici”. E anche Rudbeck osservò per primo i vasi linfatici che non erano chiliferi, ma li chiamò acquosi, o sierosi e non li pubblicò, mentre il Bartolino lo precedette “nel dare al pubblico tale scoperta”.
E Albrecht von Haller (1708-1777) dice che Vesling fu il primo a fare una figura del mesentere con i vasi lattei “ex humano etiam corpore primus lacteorum iconam dedit”.
Le sue opere più importanti sono: De plantis Aegyptiis, pubblicato nel 1638, che è l’opera delle annotazioni e note al libro di Prospero Alpino del 1592 e quindi si tratta di aggiunte personali sulla scorta della sua esperienza in Egitto. Del 1641 è l’opera Syntagma anatomicum, publicis dissectionibus in auditorum usum, diligenter aptatum; questa opera ebbe una seconda edizione nel 1647 ed era ampiamente illustrata. Si tratta di un trattato di medicina molto stimato in quell’epoca, tradotto in molte lingue ed ebbe diverse edizioni. Del 1644 sono le opere Opobalsami veteribus cogniti vindiciae. Del 1664 è l’opera Oservationes anatomicae ed Epistulae medicae, a cura del suo allievo Thomas Bartholin (1616-1680).
Bibliografia
G. Andres, Dell’origine, progressi e stato attuale d’ogni letteratura, Napoli, 1837;
A.J. Fabre, Les e-mémoires de l’Académie Nationale de Chirurgie, Les chirurgiens of Padoua, 19 février 2014;
B. Gonzati, La Basilica di Santt’Anatonio di Padova. Ed. a Bianchi, Padova 1853:
A. Sartori, Archivio Sartori. Documenti di Storia e Arte Francescana, voll. I-IV, a cura di G. Luisetto, Padova, Biblioteca Antoniana, Basilica del Santo, 1983-1989;
V. Zaramella, Guida inedita dela Basilica del Santo. Quello che della Basilica del santo non è stato scritto. Padova, Centro Studi Antoniani, 1996;
www.il bolive.unipd.it, Medicina a Padova nei secoli: Johann Vesling, a cura di Maurizio Rippa Bonati e Andrea Cozza, 28 agosto 2019.
Note biografiche
Prospero Alpini (n. 1551) si laurea in medicina a Padova nel 1578; nel 1580 va in Egitto, ma la nave per le condizioni metereologiche non favorevoli si ferma a Creta. Alpini scende e ne approfitta per studiare la flora dell’isola, conosciuta già all’epoca dei Romani per le numerose piante medicinali. Giunto in Egitto, rimane fino al 1584. Nel 1594 ottiene la cattedra dei semplici all’Università di Padova e dal 1603 la carica di prefetto dell’Orto botanico e l’ostensione dei semplici. Muore nel 1616 ed è sepolto nella Basilica del Santo a Padova. A Prospero Alpini è da attribuire la descrizione dell’uso dei semi della pianta del caffè di cui raffigurò un rametto nella sua pubblicazione, descrivendo il suo portamento e i suoi effetti terapeutici. Prospero vide che la pianta veniva coltivata e se ne usavano i semi, una volta tostati e macinati, chiamati Bon o Ban, per fare un decotto, cioè il caffè denominato localmente Caova. Al suo rientro a Venezia portò con sé un carico di caffè e lo diede ai suoi amici farmacisti e ai suoi colleghi istruendoli sulle buone proprietà della droga che comparve nominata sulle ricette. Gli arabi bevevano il caffè al posto del vino. Quindi l’uso del caffè a Venezia non era ancora conosciuto (da Atti e Memorie dell’Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere, Verona 2003-2004). Egli fu il primo autore europeo che abbia parlato del caffè, di cui vide la pianta al Cairo. Il caffè si diffuse rapidamente in Italia e in tutta l’Europa nella seconda metà del seicento, nonostante il parere avverso di alcuni esponenti della Chiesa cattolica che incitavano papa Clemente VIII ad interdire la “bevanda del diavolo” ai fedeli. Ma il papa assaggiandone una tazza non fu contrario al suo uso e grazie alla sua approvazione e benedizione il caffè venne acclamato come bevanda intellettuale esaltandone non solo il gusto, ma anche le proprietà curative. Inizialmente il caffè veniva venduto in farmacia ad un costo molto elevato. Nel 1630 nacque la prima bottega del caffè a Venezia in piazza s.Marco. Alpini ha scritto diverse opere, tra cui De plantis Aegypti del 1592. E Vesling riporta che ai suoi tempi “si contavano al Cairo quasi mille botteghe di caffè”.
Ottavio Ferrari (1607-1682), archeologo, filologo e bibliotecario italiano. Nel 1634 coprì la cattedra di umanità latina presso l’Università di Padova con la promessa di 450 fiorini l’anno più 100 fioroni per le spese del trasloco e del viaggio. Nel 1639 coprì anche la cattedra di umanità greca ottenendo uno stipendio di 800 fiorini l’anno. Nel 1645 fece parte dell’Accademia patavina dei Ricovrati. Morì a Padova nel 1682 e fu sepolto nella chiesa di Ognissanti dove fin dal 1675 aveva fatto predisporre il suo sepolcro. Nel 1684 il suo erede e nipote Giulio gli fece erigere un monumento funebre nella basilica del Santo.
Johan Rode o Rhode, latinizzato come Johannes Rhodius e italianizzato come Giovanni Rodio, era nato a Copenaghen nel 1587. Medico ed umanista danese. Nel 1622 si trasferisce a Padova per il dottorato. Entra a far parte della natio germanica. Nel 1632 gli fu offerta la cattedra di Botanica abbinata alla gestione dell’orto botanico patavino, ma rifiutò e rimase practicus. Nel 1640 rifiutò la cattedra di fisica a Copenaghen. Morì a Padova nel 1659 e fu seppellito nella chiesa di san Francesco Grande. La biblioteca privata fu ereditata dal nipote Thomas Bang. La maggior parte dei suoi manoscritti era pervenuta a Thomas Bartholin che avrebbe dovuto pubblicarli, ma gran parte andò distrutta insieme alla biblioteca dello stesso Bartholin in un incendio del 1670, compresa l’edizione del “De Medicina “ di Aulo Cornelio Celso.
Giovanni Domenico Sala, nato a Padova nel 1579, laureato in medicina presso l’università di Padova, insegnò medicina a Padova dal 1607 fino alla sua morte avvenuta nel 1644. Scrisse un trattato De Alimentis con ricette e consigli per una dieta sana. I figli Giacomo e Francesco eressero un mausoleo nella Basilica del santo a Padova. La richiesta per costruire il Mausoleo porta la data del 1645 e la concessione fu data nel 1647.
Werner Rolfinck (1599-1673), medico, scienziato e botanico tedesco; venne a Padova e si immatricolò il 26 settembre 1922 nella natio germanica e tre anni dopo, nel 1625, ricevette il dottorato in filosofia e medicina. Nel 1628 fu chiamato a tenere la cattedra di anatomia, chirurgia e botanica presso l’università di Wittenberg e poi, rifiutando la chiamata a Padova, si trasferì all’Università di Jena dove fece costruire il teatro anatomico, l’orto botanico e un laboratorio chimico. Di lui al palazzo del Bo dell’Università patavina, precisamente nella sala dei quaranta, esiste un ritratto che lo raffigura in piedi, col volto di tre quarti verso sinistra, con barba e baffi corti; indossa un ampio mantello giallo che lascia scoperta la parte superiore del busto.
G. Andres (1740-1817), ha scritto “Dell’origine, progressi e stato attuale di ogni letteratura”, opera in otto volumi, di cui il I parla di letteratura; il II di poesia; il III di eloquenza; il IV di scienze naturali; il V di chimica, fisica e botanica; il VI medicina e anatomia; il VII storia teologica e le eresie; l’VIII le scienze bibliche. Era nato a Planes (oggi in provincia di Alicante-Spagna) nel 1740; entrò nella compagnia di Gesù, si perfezionò in scienze umanistiche, poi in filosofia e scienze e dal 1759 al 1763 studiò teologia e fu ordinato sacerdote. Nel 1767 avvenne l’espulsione di tutti i gesuiti dalla Spagna per decreto di Carlo III e Andres con altri gesuiti arrivò in Italia, si stabilì a Ferrara e poi a Mantova e qui ebbe il periodo di maggior raccoglimento spirituale, si dedicò alla preparazione delle sue opere, viaggiò in Italia e all’estero e si dedicò alla intensa corrispondenza con i principali dotti italiani, spagnoli e di altri Paesi. La sua opera, scritta tra il 1782 e il 1799, ebbe un clamoroso successo in tutta Europa, fu più volte ristampata in Italia, tradotta per intero in spagnolo e in parte in francese. Con l’invasione napoleonica, Andres fuggì da Mantova e terminò il suo ultimo periodo di attività a Napoli dove nel 1806 venne nominato prefetto della Biblioteca Reale di Napoli. Annessa di nuovo la Compagnia di Gesù da Ferdinando VII di Spagna, dopo la restaurazione dell’Ordine fatta da papa Pio VII gli fu offerto di ritornare in patria, ma preferì restare in Italia. Nel 1816 rimase cieco per le conseguenze di un intervento agli occhi e allora lasciò Napoli e si ritirò a Roma presso la casa dei Gesuiti dove morì nel 1817.