I resti di Babele 22. Barocco, la pietra parlante nei libri di Cazzato e Manno

di Antonio Errico

Quando qualche giorno fa alcuni amici che vorrebbero venire in Puglia per l’estate mi hanno chiesto quale libro consultare sul barocco, non ho avuto nessun bisogno di pensarci nemmeno un secondo e ho risposto così: Puglia barocca di Mario Cazzato, edito da Capone, dodici anni fa. Un testo scientifico e divulgativo, allo stesso tempo, che analizza le opere e presenta gli autori che hanno fatto dono alla Puglia dello splendore di San Matteo a Lecce, per esempio, o delle Carmelitane Scalze o di Santa Croce, Santa Chiara, che hanno trasformato la pietra in una esperienza dell’anima e dell’arte. In questo libro Cazzato dimostra come per comprendere il barocco pugliese si debba necessariamente assumere una prospettiva interdisciplinare che contemperi letteratura, storia, arte, architettura, religione. Visione dell’esistere e del mondo. Perché il barocco è una visione del mondo e dell’essere al mondo; è una maniera di rappresentare quella visione, è una interpretazione del tempo, dello spazio, della luce, è una combinazione dei concetti di realtà e di finzione. Il barocco è un sentimento confuso e una lucida ragione. E’ una volontà di collocare l’universo in categorie e al tempo stesso di sottrarlo alle categorie. E’ vertigine, vitalità, esuberanza, fantasmagoria, azzardo dell’immaginazione che si muove tra la terra e il cielo, tra una consapevolezza di finitudine e un’ansia d’infinito; è un’identità scolpita nella pietra, strabilio di forme e desiderio di eternità.   Il barocco di Puglia è un linguaggio che si stringe in quella frase incisa sul campanile del Duomo di Lecce che dice: “quae lapis loquor, accipe, ni lapis es”. Se non sei pietra accetta ciò che io pietra ti dico. Ha perfettamente ragione Mario Cazzato che è da Lecce che si deve partire “per ricostruire l’evoluzione di un nuovo linguaggio che ebbe la forza, tra l’altro, di trasformare per la prima volta dal Medioevo il volto delle città”. Già.

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