Zaramella riporta: “E in quel sito vi era un altarino dedicato a san Rocco, a san Liberale e a san Simeone. Quando nella solennità di tutti i Santi del 1610 fu canonizzato san carlo Borromeo, la confraternita che prendeva il nome del Santo si fece promotrice perché fosse onorato in basilica con un proprio altare, sia perché i Borromeo erano di casa (e pure quelli emigrati a Milano provenivano da Padova) sia perché proprio qui in basilica, davanti alla porta della navata destra, avevano il loro altare di famiglia o meglio l’altare con sepolcro era stato fatto costruire da Pietro Francesco Baldi la cui pronipote Ludovica Baldi andò in sposa a Borromeo Borromeo che a sua volta divenne coerede dell’altare sepolcrale. La pala di detto altare rappresenta la Madonna in trono col bambino, ai lati S. Bernardino e S. Antonio, S. Pietro e S Paolo”.
Il 15 novembre 1613 la Veneranda Arca del Santo, “essendo principiato un altare nella chiesa nostra di s. Antonio Confessore, dedicato a S. Carlo” stabilì che gli venissero dati “ducati cinquanta da essere impiegati in detto altar”. Il 20 dicembre fu incaricato lo scultore Cesare Bovo che realizzò l’altare di s. Carlo nel 1614.
Zaramella: “S. Carlo Borromeo aveva avuto subito culto a Padova, l’onorava anche perché la dinastia Borromeo aveva avuto radici a Padova e i Borromeo persistevano a Padova. C’era anche una confraternita che si onorava del suo nome e ne favoriva il culto meritato”.
Quattro anni dopo la canonizzazione di s. Carlo fu dai devoti eretto nella chiesa del Santo il di Lui altare, cioè nel 1614, perché “restava nel popolo di Padova, ancora viva la memoria del passaggio di S. Carlo e di quanto Egli in essa aveva operato (celebrò la Messa in Cattedrale e comunicò un grandissimo numero di persone). E l’altare che fu eretto è il primo della navata destra della Basilica. Nel 1614 dice Zaramella, venne eretto l’altare in onore di S. Carlo Borromeo, con grande soddisfazione dei padovani, che si sentivano quasi imparentati e lo stimavano come una delle colonne della riforma della Chiesa dopo il concilio di Trento, imitato da altri vescovi italiani ed esteri”.
E Sartori scrive: “Nel 1614 nella basilica del glorioso nostro protettore S. Antonio di Padova colle limosine raccolte dalla pietà de’ fedeli fu eretto un altare in onore di S. Carlo Borromeo Cardinale ed Arcivescovo di Milano. L’altare è di marmo a quattro colonne, con vari ornamenti, e spezialmente due quadri a canto del medesimo altare, nei quali furono dipinti due miracoli del Santo Prelato. La Palla poi è opera del celebre pittore Bissoni. Sopra l’altare era scolpita dentro uno scudo di figura quadrata in marmo nero a caratteri dorati la seguente iscrizione – ex piorum elemosinis Deo divoque Carolo Dicatum anno Domini 1614.
Zaramella scrive: “Fin qui tutto bene e San Carlo per quasi un secolo e mezzo è stato nel possesso del suo altare.. Ma nel 1663 moriva ad Osimo san Giuseppe da Copertino canonizzato (1767) cent’anni più tardi da papa Rezzonico [Clemente XIII, nato Carlo della Torre di Rezzonico, 1693-1769, ndr]. Dopo un periodo di magra, i frati minori conventuali erano felici di aver dato un altro santo alla chiesa, e qui in basilica si cercò subito un posto per onorarlo degnamente. Chissà come venne in mente di spostare proprio san Carlo Borromeo dal primo altare a destra, per porvi san Giuseppe da Copertino. La reazione dei padovani, e dei devoti in genere, non si fece tanto attendere e non si misurarono le parole: come, togliere dall’altare edificato dalla Confraternita di san Carlo, un santo di quel calibro- celebre in tutto il mondo e così importante, nella chiesa della controriforma, per la riforma del clero e l’attuazione delle leggi promosse dal concilio di Trento- per porre al suo posto un frate sconosciuto, cui certamente mancavano le doti e lo zelo apostolico di s. Carlo”.
Sartori scrive: “Nel 1752, essendosi nei primi giorni di settembre, dai PP Conventuali fu celebrata con solenne triduo la Beatificazione del Ven. Giuseppe da Copertino, in questa occasione fu dai medesimi coperta la pala di S. Carlo ed in suo luogo vi fu apposta la statua del Beato Giuseppe, la quale vi rimase sin tanto che, essendo terminata la pala rappresentante un Ratto del B. Giuseppe, fu levata la pala di S. Carlo, ed in sua vece vi fu posta la nuova del B. Giuseppe. Ed acciocchè non vi rimanesse alcuna memoria del Santo Prelato strapparono ancora dai lati dell’altare i due miracoli del medesimo. E nel 1767 veniva canonizzato S. Giuseppe da Copertino dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, e come avrebbero fatto nel 1979 per il beato Massimiliano Kolbe, cos’ fecero anche i frati del Santo nel 1772”.
E Zaramella scrive: “Capisco che non era facile trovare un altare libero per onorarvi il nuovo Santo (Giuseppe), ma andare a spodestare dal suo altare proprio s. Carlo, che la gente sentiva quasi come concittadino, è stata una decisione sconsiderata. E la gente devota reagì di istinto, dicendo che non era giusto che un fraticello sconosciuto abbattesse un santo così famoso e benemerito della Chiesa come s. Carlo. Circa due anni dopo la sopraccitata solennità (cioè la beatificazione di s. Giuseppe da Copertino), il Santo Prelato restò come discacciato dalla Basilica di S. Antonio, e privo del culto, che sin allora aveva goduto in tutto il soprammentonato lunghissimo tempo, con universale mormorazione e indignazione dei cittadini”.
Zaramella continua “La diatriba tra frati e padovani assunse toni accesi”, e Sartori riporta: ”Le riflessioni fatte da un preposto padovano -mons. Pietro Magagnotti- sopra la sospensione del Titolo ed Altare di S. Carlo Borromeo fatta dai PP Conventuali nel 1752”. E scrive ancora: “Ma i Religiosi Conventuali del Santo né potevano, né dovevano come nel fatto esposto innalzar uno su le rovine dell’altro. Che non potessero, questo in primo luogo costa dalla iscrizione sopra riferita che è una testimonianza della divozione dei fedeli verso s. Carlo e del fine preciso e diretto, a cui indirizzarono le loro contribuzioni, cioè perché a Dio venisse eretto un Altare, in onore e memoria di questo Santo. E questo è una specie di contratto che si chiama “do ut facias”, vale a dire “i devoti hanno contribuito le loro limosine affinché fosse eretto un altare sotto l’invocazione di s. Carlo […] in altri quelle limosine, frastornarle ad altro fine colla soppressione del fine inteso dai fedeli e divoti contribuenti […] è una ingiusta defraudazione delle obbligazioni religiose dei medesimi divoti”. Inoltre, le leggi ecclesiastiche e civili stabiliscono che “quando è passato un certo determinato tempo, il possessore non può essere discacciato dalla sua possessione o sia questa di cose mobili o sia di cose immobili. E allora per qual demerito adunque Egli è stato spogliato tanto del possesso corporale del suo altare quanto del possesso incorporeo o spirituale del culto religioso? Inoltre quando una chiesa è stata eretta “sotto un Titolo, cioè in onore, in memoria, ed invocazione di qualche Santo […] consuetudine è sempre stata che questo Titolo venisse conservato e se si dovesse introdurre il Titolo di qualche altro santo, ciò fu sempre fatto restando sempre saldo e intatto il Titolo precedente. Un esempio è quello della cappella di S. Giacomo Maggiore costruita con questo Titolo nella Basilica di sant’Antonio e poi nel 1503 fu chiamata di S. Felice per aver accolto i resti di papa Felice II. La cappella aggiunse al Titolo di San Giacomo quello di san Felice e lo stesso la chiesa di Sant’Antonio una volta si chiamava con il Titolo di Santa Maria Mater Domini o Santa Maria Maggiore e poi a questo Titolo si accoppiò il nome di Sant’Antonio Confessore. Quindi i religiosi Conventuali avrebbero potuto unire il titolo del Beato Giuseppe da Copertino col Titolo antico del glorioso S. Carlo”.
Sempre Sartori: “La storia della vita di s. Carlo è piena di monumenti insigni di pietà e di zelo lasciati da Lui negli stati della Serenissima Repubblica, pei quali la insigne pietà e divozione della medesima tanto onorò la di lui sacra Persona: cosicché tutto ciò doveva somministrare ai PP Conventuali un riguardo particolarissimo, onde astenersi dal sopprimere il Titolo e l’Altare di S. Carlo nella chiesa di Sant’Antonio, massimamente non potendo essi in veruna maniera ignorare quali siano i sovrani diritti in questo santuario.
In secondo luogo, quandanche i Padri Conventuali avessero potuto senza verun riguardo commettere quest’attentato, non lo dovevano fare in riguardo alla relazione grande e memorabile che S. Carlo ha col loro Ordine. Imperciocché non solamente fu egli vivendo assegnato dal Sommo Pontefice per Protettore di tutti gli Ordini di s. Francesco, come riferiscono gli scrittori della sua vita [,..] ma inoltre il nostro Santo ebbe particolar protezione ed attenzione sull’Ordine dei Padri Conventuali […]. Avendo dunque il popolo di Padova colle loro limosine eretto nella Chiesa di Sant’Antonio un altare a S. Carlo, non sarà egli in insoffribile disordine che i Padri Conventuali lo abbiano a nostri giorni soppresso, ed abbiano in questa maniera negletta ed annullata la memoria del loro universale Protettore, e particolarmente Riformatore, mentre dovevano riputare a loro gloria il vedere sugl’ altari quel Prelato che, vivendo, era stato tanto interessato per il bene di tutto il loro Ordine?
Finalmente non dovevano, quand’anche avessero potuto, sopprimere nella loro Chiesa il Titolo dell’Altare di S. Carlo, in riguardo alla divozione comune di tutto il popolo cristiano verso del medesimo […]. La iscrizione che rimane sopra di questo altare chiama il suo antico Titolo, la restituzione del quale si implora e si spera egualmente dalla Pubblica Religiosissima Pietà e dalla sovrana Autorità”.
E la diatriba continuava: “Finché qualcuno si offrì come mediatore proponendo una soluzione di compromesso: perché non associare i due Santi in un’unica pala, come si riscontrava in altri altari della stessa Basilica? Si commissionò allora al restauratore Francesco Zannoni di Cittadella, che da tempo era all’opera in Basilica per effettuare tanti restauri (per la verità non troppo felici), di dipingere una pala che stesse entro le colonne del primo altare a destra e che presentasse i due Santi in estasi davanti alla Croce. Erano ambedue grandi mistici innamorati della Croce. Ebbene, la Croce li avrebbe uniti nello stesso altare”. La statua di S. Giuseppe andò a Noale (VE) e la vecchia tela di S. Giuseppe andò a Lendinara (RO).
E Sartori continua: “Il nob. Sig, Co. Antonio Borromeo in una delle Feste di Pasqua 1758 parlò di quest’affare col sig. Card. Rezzonico, vescovo di Padova, il quale si impegnò di parlarne col R.mo Padre Generale de’ Conventuali che si ritrovava a Padova. Il Cardinale si incontrò con il padre Generale, gli espose i lamenti dei cittadini. Il padre Generale gli rispose che con dolore aveva rilevata la faccenda e gli promise che […] comanderebbe che ne fosse rimessa la Palla di S. Carlo. Il Padre Generale restituì la visita al Vescovo “il quale aveva in mano la soprariferita Scrittura e tra loro concertarono che si farebbe una nuova Palla a spese dei frati, stando s. Carlo a parte dritta, come in Altare proprio, con il B. Giuseppe a parte sinistra […] e dovendo pure essere rimessi li due quadri laterali rappresentanti i due miracoli di S. Carlo, e dovendo restare sempre fissa la iscrizione antica di S. Carlo sopra del detto Altare. Il soprascritto Generale si portò il 19 aprile a far visita al sig. Co. Antonio Borromeo, e dargli ragguaglio del concertato col Sig. Cardinale. In seguito di ciò poco giorni dopo furono restituiti dai PP Conventuali i due Quadri che riportavano due miracoli di s. Carlo nelle loro nicchie. Finì la diatriba, si trovò una soluzione di ripiego e si ripristinò il culto di S. Carlo associato a quello di S. Giuseppe da Copertino”.
Sartori riporta che il 14 maggio 1833 la Veneranda Arca del santoscrive alla Congregazione municipale di Padova dicendo: “L’altare di S. Giuseppe da Copertino di questa basilica, che giace presso la porta della navata sinistra (in realtà è la navata destra entrando in chiesa, ndr), è indecente in confronto degli altri è molto più in faccia a quello di S. Stanislao che sta ad esso di fronte nella navata opposta. L’amministrazione possiede il grand’Altare già della Madonna del Rosario di S. Agostino di questa città il quale deperisce ove rimanga più abbandonato nel locale ove le parti staccate se ne trovano custodite. La spesa di porlo nel luogo di quello di S. Giuseppe sarebbe gravissima e questa fu sempre la contemplata sua destinazione”.
Il 30 giugno il Municipio risponde dicendo: “Vista l’istanza di questa nobile amministrazione 14 maggio anno corrente con cui vien chiesto di poter nella chiesa di S. Antonio cambiare l’attuale altare di s. Giuseppe di Copertino con altro più splendido, cioè quello della Madonna del Rosario già esistente un tempo nella demolita chiesa di s. Agostino, la municipale congregazione conviene pienamente […] ma prima che se ne effettuasse il cambiamento venissero a questo ufficio rimessi due disegni, l’uno indicante lo stato esistente dell’altare di s. Giuseppe, l’altro dimostrante la forma in opera dell’altare del Rosario che sostituire al primo vorrebbesi”. E il 10 agosto 1833 la congregazione municipale risponde: “Nulla osta per parte sua onde sia eseguita la progettata sostituzione, calcolando che l’ornato interno della chiesa con tale operazione vada ad avantaggiare di molto”. E il 13 agosto la presidenza dell’Arca affida il lavoro a DomenicoToninello “purchè l’opera sia compiuta e collaudata entro mesi 6 da questo giorno”.
La tela di S. Carlo e S. Giuseppe viene restaurata nel 1834 da Luigi Pinzon, “ridonata a vita un’opera abbastanza pregevole e ben degna del nuovo altare in cui fortunatamente poté collocarsi, risparmiandosi così qualche migliaio di lire per costruirne una nuova che degna fosse della basilica”. L’altare della Madonna del Rosario della Chiesa di s. Agostino prima era in legno e poi si decise di farlo in marmo nel 1673. La chiesa di S. Agostino era un grande edificio religioso del Duecento che si innalzava ai piedi del ponte di S. Agostino nella riviera di S. Agostino, ora riviera Paleocapa. Era la chiesa del contiguo convento dei domenicani e, secondo Pietro Selvatico, era il più bell’edificio del Medio Evo che aveva Padova dopo la Basilica del Santo. Fu rasa al suolo per ordine del governo austriaco e al suo posto si voleva costruire un ospedale militare convertito in caserma, l’attuale caserma Piave. Il materiale fu utilizzato per la caserma, le colonne per costruire il nuovo Macello opera di Giuseppe Jappelli e che sarebbe divenuto poi l’istituto d’Arte Pietro Selvatico.
Padre B. Gonzati nella sua opera “La Basilica di sant’Antonio di Padova”, edita da A. Bianchi nel 1853, così descrive l’altare di S. Carlo e S. Giuseppe da Copertino: “I marmi di che è composto si trasferirono qui nel 1833 dalla distrutta chiesa di S. Agostino; e le colonne d’ordine corintio, sono di un bell’africano. Demolito il vecchio, al nuovo altare s’adattava la tela di Francesco Zannoni, di quel medesimo che tutto operò nella nostra chiesa sul finire del secolo scorso. Perciò il s. Giuseppe da Copertino, che si dovrebbe vedere nell’atteggiamento di volar verso la croce posta nell’alto, comparisce appena sollevato da terra; ed anche s. Carlo, a cui un angelo porta i pastorali arredi, non dà il debito effetto. Certo il Zanoni, eccellente nell’arte di ristorare quadri ed affreschi, non era gran pittore. Sentiva però ben addentro nel colorito”.
Francesco Zannoni (1709-1782) è stato un pittore e restauratore italiano, attivo principalmente a Padova; viene definito abile restauratore, ma incerto e mediocre pittore. Sua è la pala per l’altare di s. Giuseppe da Copertino e s. Carlo Borromeo. E il messaggero di sant’Antonio del 23 maggio 2015 così riporta “In effetti lo slancio di s. Giuseppe da Copertino verso la Croce solleva ‘il santo dei voli’ solo di qualche centimetro dal pavimento. Altrettanto mummificato ‘il compagno di tela s. Carlo. I Santi sono in estasi davanti alla Croce sostenuta da un Angelo”.
E l’abate Giuseppe gennari nel suo libro “Memorie inedite sopra le tre chiese in Padova Cattedrale, S. Giustina e il Santo”, edito da Tipografia del Seminario, Padova 1842, a proposito dell’altare di S. Carlo dice “ è stato eretto dalla pia congregazione dei poveri vergognosi e la tavola del Bissoni stette un tempo nella cappella di S. Antonio, dove era stata collocata quella di S. Carlo e del S. Giuseppe da Copertino, opera del nostro Zannoni”.
Bibliografia
G.B. Bissoni, pittore italiano, 1576-1636.
B. Gonzati, La Basilica di Sant’Antonio di Padova, Ed. A. Bianchi, 1853;
Pietro Magagnotti, mons., Riflessioni fatte da un preposito padovano sopra la soppressione del Titolo ed Altare di S. Carlo Borromeo fatta dai PP Conventuali nella Chiesa di S. Antonio di Padova l’anno 1752, Miscellanea della Biblioteca del Seminario Vescovile di Padova.
A. Sartori, Archivio Sartori. Documenti di Storia e Arte Francescana, voll. I-IV, a cura di G. Luisetto, Padova, Biblioteca Antoniana, Basilica del Santo, 1983-1989;
V. Zaramella, Guida inedita della Basilica del Santo: quello che della Basilica del santo non è stato scritto, Padova, Centro Studi Antoniani, 1996;
www.messaggerosantantonio.it Via Mariana, 23 maggio 2015
Note biografiche
Federigo Cornaro (1531-1590) fu vescovo di Padova dal 1577 al 1590.
S. Giuseppe da Copertino, al secolo Giuseppe Maria Desa, nato a Copertino (LE) nel 1603, è stato un frate francescano e riconosciuto come protettore degli studenti. Aveva limitate capacità intellettive, ma tanto si impegnò nello studio della teologia e della filosofia, dimostrando una profonda comprensione spirituale che lo portò a farsi frate francescano. Seppe superare le sue difficoltà con l’impegno e con l’aiuto di Dio. È ricordato per le sue estasi, spesso veniva sollevato da terra durante la preghiera e mentre partecipava alla Messa; per questi fenomeni viene chiamato “il santo dei voli”. Questi doni furono per lui causa di grandi sofferenze e persecuzioni, dovette vivere molti anni da recluso presso Assisi e altri conventi per finire i suoi giorni ad Osimo dove morì santamente l’8 settembre 1663 e dove ancora oggi riposa. Visse con profonda umiltà e semplicità, avendo fiducia nella Provvidenza e devozione alla Vergine Maria che lo accompagnarono sempre lungo il cammino spirituale. Fu fatto beato da Benedetto XIV nel 1753 e canonizzato da Clemente XIII nel 1767. L’unico ritratto conosciuto di fra Giuseppe da Copertino, dipinto a Osimo l’anno prima della sua morte come è attestato dall’iscrizione “ Ver Eff Fr.I Ioseph a Guper. Or. M. Con. Depicta aanno aetat suae LIX (59) MDCLXII a UXIMI”. Il frate è raffigurato a mezzo busto, con il viso scarno ed emaciato, segno delle sofferenze e delle privazioni che ne accompagnarono tutta la vita. E come riportato in “Il Frate Volante. San Giuseppe da Copertino nella cultura e nella memoria”, Manni editore, 2003, il quadro è attibuibile a Paolo Albertoni, pittore del XVII secolo, nativo di Lendinara e lo avrebbe realizzato trovandosi a Osimo nel 1662. L’opera era in possesso della figlia del pittore a Lendinara e poi del frate Francesco Padovani, più volte custode del convento dei Conventuali di quella città, da dove nel 1769 venne trasferito prima a Rovigo e poi nel Convento di Padova, recando con sé il dipinto che ora è conservato nel Museo Antoniano di Padova.
La famosa città di Cupertino in California prende il nome proprio dalla chiesa di San Giuseppe da Copertino così come altre città come Los Angeles per Santa Maria degli Angeli, San Francisco, San Diego ecc..
Le origini della famiglia Borromeo risalgono al XIII secolo. Erano originari dei dintorni di Roma e si trasferirono in provincia di Pisa dove presero il nome di Buon Romei, come venivano chiamati tutti quelli che venivano da Roma, nonostante non fossero pellegrini. Filippo Borromeo sposò Talda, sorella di Beatrice di Tenda, moglie di Facino Cane e poi di Filippo Maria Visconti. Intorno agli anni 60-70 del XIV secolo i Borromeo si trasferirono a Milano e a Padova per gestire l’attività commerciale di bancheri. Un ramo della famiglia si stabilì a Firenze. A Padova arrivò Margherita Borromeo che sposò Giacomo Vitaliani, ricco esponente della famiglia Vitaliani che vantava la discendenza da Santa Giustina, protettrice di Padova. Giacomo Vitaliani sperperò tutte le sue ricchezze e alla morte (1409) il figlio Vitaliano Vitaliani fu adottato dallo zio materno Giovanni Borromeo, che si era stabilito a Milano e che non aveva figli. Giovanni fece arerivare a Milano anche Margherita, rimasta vedova, e nel 1406 adottò il nipote con l’obbligo di assumerne il cognome Borromeo; così Vitaliano divenne il capostipite della famiglia milanese con il nome di Vitaliano I Borromeo.
G. Iappelli (1783-1852), ingegnere, architetto e paesaggista italiano; fu uno dei maggiori esponenti dello stile neoclassico nel Veneto; noto progettista di giardini romantici di cui l’opera più nota è il caffè Pedrocchi di Padova realizzato tra il 1826 e il 1842.
P. Selvatico (1803-1880), architetto, critico d’arte e storico dell’arte italiano. Nel 1867 fondò l’Istituto d’Arte di Padova, che porta il suo nome.