Nel 1968, nel pieno della contestazione studentesca, scrisse Il Pci ai giovani!, poemetto che scatenò critiche a non finire, perché il poeta accusò i giovani sessantottini di essere al servizio della nuova borghesia italiana. L’ultima sua raccolta, pubblicata quando ancora era in vita, è Trasumanar e organizzar (1970); l’ultimo romanzo, invece, pubblicato postumo, è Petrolio (1992).
Nel 1975, appena poco prima di essere assassinato, pubblicò Scritti corsari (raccolta di tutti i suoi articoli pubblicati su vari giornali). Non mancò di scrivere testi anche per il teatro.
Fu l’impegno per la poesia e la letteratura che permisero a Pasolini poeta di accorgersi del cinema. Sia pure episodicamente aveva dato già il suo contribuito alla lavorazione di importanti film con Fellini, Bertolucci, Rossellini. Ma il suo esordio vero avvenne con Accattone (1961), film che segnò non solo il suo ingresso nel mondo del cinema, ma che gli diede il primo successo dal quale attorno alla sua persona cominciò a costruirsi quell’aura di prestigio nazionale e internazionale. Grandi autori europei espressero entusiastici giudizi sul film, confermati successivamente nei film Mamma Roma (1962), Il sogno di una cosa (1963), La ricotta (1963, ricostruzione cinematografica sulla Passione di Cristo), L’Edipo re (1967), Teorema (1968), Porcile (1968), Medea (1969), Il Decamerone (1970), I racconti di Canterbury (1971), Il fiore delle Mille e una notte (1974) e Salò o le centoventi giornate di Sodoma, ultimo suo tragico film del 1975.
Tra i film citati non ho elencato uno che più di ogni altro ha impressionato il pubblico degli spettatori e in particolare chi qui scrive. Si tratta de Il Vangelo secondo Matteo (1964). Si sa da dove prese l’ispirazione: da Assisi, la cittadella del Frate Francesco, il santo povero in canna. Pur essendo ateo, sentimento che mai abiurò, Pasolini scrisse la sceneggiatura e registrò questo film con una rara idealità religiosa. Il Vangelo secondo Matteo è un capolavoro cinematografico di straordinaria bellezza. Su di esso lo stesso Pasolini ha scritto:
«Avrei potuto demistificare la reale situazione storica, i rapporti fra Pilato e Erode, avrei potuto demistificare la figura di Cristo mitizzata dal Romanticismo, dal cattolicesimo e dalla Controriforma, demistificare tutto, ma poi, come avrei potuto demistificare il problema della morte? Il problema che non posso demistificare è quel tanto di profondamente irrazionale, e quindi in qualche modo religioso, che è nel mistero del mondo. Quello non è demistificabile».
La bellezza di questo film sta anche sulla scelta dei luoghi sui quali il regista ha girato. Tra gli altri, a Matera la magica, Matera l’incantevole, Matera culla d’un’umanità globale.

Pasolini a Matera. Foto: Domenico Notarangelo.
Chi qui scrive ha avuto la fortuna di incontrare, e quindi divenirne amico, il fotografo, “non autorizzato” per il set del Vangelo. Domenico Notarangelo (Sammichele di Bari, 6 marzo 1930 – Matera, 4 dicembre 2016), è colui che introdusse il regista nei luoghi “sacri” della città dei Sassi. Era il 1964 e Matera accolse Pasolini con affetto e amore filiale, nonostante l’ostilità dei neofascisti, che lo aspettavano per aggredirlo e fargli violenza. Ricorda Notarangelo che il regista chiese alla Federazione materana del Pci la protezione fisica, e questa fu affidata proprio a Mimì Notarangelo che, poco prima di morire, così ha ricordato quel momento storico:
«Matera, dunque, è Capitale della Cultura 2019. […] C’è storia, molta storia alle origini di questo ambito riconoscimento, […] di storia esaltante, con […] i grandi nomi che qui vennero e qui continuano ad approdare per fare cultura, da Giovanni Pascoli […] a Carlo Levi, […] da Federico G. Friedmann, […] a Adriano Olivetti, […] a Pier Paolo Pasolini, il grande Pasolini, per il quale Matera divenne la nuova Terra Santa, portando col Vangelo dinanzi agli occhi stupefatti del mondo lo sconvolgente scenario delle grotte e delle sue millenarie sofferenze, delle sue rughe di fatiche e di stracci. E poi Francesco Rosi e Tornatore, Luigi Zampa e Mel Gibson e tanti, tanti altri».
Di Pasolini, Notarangelo ha scritto pagine che resteranno nella memoria non solo dei materani ma di tutti noi. Ecco alcuni suoi ricordi, tratti dal libro Pasolini Matera, il libro più bello di Domenico Notarangelo(Edizioni Giannatelli, 2013, in prima edizione pubblicato col titolo Il Vangelo secondo Matera, Città del Sole, Reggio Calabria, 2008). In questo libro Notarangelo pubblicò anche le fotografie che nascostamente aveva scattato sul set del Vangelo, nel quale anche lui svolge una parte come comparsa: quella del centurione romano ai piedi della croce di Cristo. Il capitolo dedicato al regista s’intitola Così conobbi Pasolini, dove scrive:
«“Qui – Notarangelo si rivolge al regista – non ti toccherà nessuno, almeno finché ci sarò io e gli altri compagni giovani comunisti” […] Ogni sera, quando Pasolini, dopo le ore di lavoro scendeva a farsi due passi per la città, noi dovevamo stargli accanto con discrezione e tenere gli occhi aperti».
Pasolini non dimenticò mai la disponibilità e l’affetto del fotografo materano tanto che, in una lettera del 1964, gli scrive:
«Caro Notarangelo,/ mi sento un verme. Lei però ha visto coi suoi occhi cos’è il mio lavoro, durante il giorno. La sera, peggio, perché dovevo preparare la scena del giorno dopo. Arrivato a Roma, peggio ancora, perché ho dovuto montare in pochi giorni i cinquantamila metri girati. E per di più noie, guai, dolori di ogni genere. Deve scusare la mia inadempienza. Risponderò alla sua piccola inchiesta: ma mi dia il tempo. È inutile che m’illuda e che la illuda di poterlo fare prima di aver finito il Vangelo. Rimandi la mia collaborazione al prossimo numero! [si riferisce a una rivistina dei giovani comunisti materani]. E mi rispedisca le domande (magari aumentate e più articolate), ché nel trambusto dei trasferimenti mi sono scomparse./ Riceva i più cordiali saluti dal suo/ Pier Paolo Pasolini».

Come fu che Notarangelo si trovò a fare il fotografo sul set del Vangelo? Il regista-poeta, dopo avere conosciuto Notaralgelo nel ruolo di sua guarda del corpo, gli affidò di fare la comparsa nello stesso film: è il centurione romano che ordina al cireneo di prendere la croce di Cristo, nel momento in cui quest’ultimo, sulla via crucis verso il Golgota, non ce la fa più a reggerla. Nell’occasione delle riprese del film, Notarangelo scattò alcune immagini sul set, divenute ormai famose. Egli non era il fotografo di scena (quel compito lo aveva Angelo Novi, già fotografo di altri grandi registi italiani), tuttavia “scattò”, col tacito consenso di Pasolini quelle foto così straordinarie che mai nessuno di noi avrebbe potuto immaginare. Ma questa, delle eccezionali foto di Mimì Notarangelo è un’altra storia, che merita un capitolo a parte, per cui lascio a lui la parola:
«Approfittando [delle opportunità], pensai di portarmi appresso due macchine fotografiche, una Comet 3 e la Woiglander con l’intento di fotografare Pasolini. Avrei dovuto, però, superare una difficoltà: come portare con me le macchine fotografiche mentre ero vestito da centurione? Escogitai allora un espediente. Allungai i cinturini delle macchine fotografiche, me le passai a tracolla tenendole nascoste sotto le vesti della divisa di centurione, e facendole pendolare fra le ginocchia. A pensarci oggi fu una soluzione felliniana. Ed anche provvidenziale. Quando non ero di scena, tiravo fuori le macchine fotografiche e cercavo le immagini da fissare. Ero incollato a Pasolini, quasi la sua ombra anche se lo facevo con molta discrezione. Lo seguivo sul set, lo osservavo mentre, con l’occhio incollato alla macchina da presa, parlava fitto fitto con Tonino Delli Colli e Maurizio Lucidi, dava disposizioni ai suoi collaboratori […] Nei momenti di pausa Pasolini si appartava, non si sedeva mai e mai mostrava segni di stanchezza. Era evidente che si concentrava sul successivo si gira. Approfittavo di quei momenti per inquadrarlo nel mio obiettivo. Scattavo anche fotografie di scena, soprattutto quelle girate sulla Murgia San Vito con la Madonna [la mamma del regista] che segue il figlio verso la crocefissione e poi verso il sepolcro».

Da sin. Domenico Notarangelo e Maurizio Nocera.
Ecco, ho voluto ricordare qui il Pasolini di Domenico Notarangelo, perché, in questa storia viene coinvolto anche il pittore Massimo Marangio, assieme al quale non poche volte siamo stati a Matera sui luoghi del Vangelo.
Uno degli ultimi film di Pasolini fu Uccellacci e uccellini (1965), che la critica ha definito uno dei suoi film più poetici. In questa opera, Domenico Modugno, in un immaginario lunare e nuvoloso, cantò i titoli di testa e quelli di coda. L’incontro tra Pasolini e Modugno fu alla base di una nuova esperienza cinematografica: Che cosa sono le nuvole? (1967), con gli attori Ninetto Davoli e Totò (sua ultima interpretazione).
Che cosa sono le nuvole? è il titolo di una delle canzoni più belle di Modugno, mentre il testo fu scritto dallo stesso Pasolini con variazione di Modugno. Un Pasolini dei sentimenti, della letteratura, della poesia, del cinema, del dolore, della marginalità, della sofferenza. Che cosa quest’uomo non ha subito per le sue idee, per il suo dire pubblicamente quello che pensava.
Torno nuovamente al Vangelo. Il film ripropone fedelmente il testo dell’apostolo Matteo ed è una riflessione pasoliniana sul sentimento della morte: la morte del regista-poeta, la morte dell’umanità. Di questi tempi rivedere il film significa fare i conti con quanto sta accadendo oggi nel mondo con due tremende guerre (Ucraina e Palestina).
E della morte il regista-poeta scrisse:
«È dunque assolutamente necessario morire, perché, finché siamo vivi, manchiamo di senso, e il linguaggio della nostra vita (con cui ci esprimiamo, e a cui dunque attribuiamo la massima importanza) è intraducibile: un caos di possibilità, una ricerca di relazioni e di significati senza soluzione di continuità».
Alla prima del film, apprezzato molto dalla critica cattolica, fu invece molto contestato dalla sinistra, che gli lanciò critiche orripilanti. Ad esse, in modo pacato e inoffensivo, lui rispose:
«Io ho potuto fare il Vangelo così come l’ho fatto proprio perché non sono cattolico [non sono nemmeno cresimato e per il film La ricotta ero stato censurato], nel senso restrittivo e condizionante della parola: non ho cioè verso il Vangelo né le inibizioni di un cattolico praticante (inibizioni come scrupolo, come terrore della mancanza di rispetto), né le inibizioni di un cattolico inconscio (che teme il cattolicesimo come una ricaduta nella condizione conformistica e borghese da lui superata attraverso il marxismo)».
In questa storia dell’amore per il lavoro letterario e cinematografico di Pier Paolo Pasolini, ho avuto una fortuna: il 28 aprile 2014, incontro padre Virgilio Fantuzzi (Mantova, 15 febbraio 1937 – Roma, 23 settembre 2019; gesuita e critico cinematografico), amico personale e consigliere di Pasolini. Era stato amico personale anche di Federico Fellini. Per il regista-poeta, aveva scritto un saggio (Pier Paolo Pasolini, 1978). Quando lo incontrai era presente a Lecce per la rassegna “Cinema d’Europa”. Albergava allora Hotel “Patria”. Mi aspettava con l’ultimo numero della rivista «La Civiltà Cattolica» di quell’anno (2014) che mi regalò perché su di essa c’era una sua recensione sull’ultimo film di Edoardo Winspeare (In nome di Dio), dedicato a don Tonino Bello, il vescovo di Molfetta che aveva speso la sua vita nella lotta per la pace. Da parte mia, in regalo, gli portai alcuni libri: Il morso del ragno (Capone editore, 2014), Sparai su di lei per troppo amore (Diari di Santo Stefano) e il volumetto Figli, uccidete vostro padre!, dedicato a Edoardo Winspeare. L’incontro era stato fissato da lui. Voleva sapere del fenomeno del tarantismo e il ruolo di san Paolo in esso; io invece volevo sapere da lui il tipo di amicizia che c’era stata tra lui e Pasolini.
Mi disse che aveva conosciuto Pasolini dopo aver visto il film Il Vangelo secondo Matteo. L’incontro avvenne nella casa del regista (Roma, via Eufrate). Pasolini stava seduto dietro una scrivania e scriveva. Quando lo vide, ovviamente sorpreso dall’abito talare (abitino bianco dei seminaristi gesuiti), gli chiese cosa volesse da lui, «perché mi cerchi?».
Candidamente Virgilio gli rispose che non credeva alla bugia che aveva ascoltato alla Tv in merito alla sua non credenza religiosa. Gli disse che aveva visto al cinema Il Vangelo secondo Matteo e che era rimasto folgorato da diverse scene, molto corrispondenti alle sacre scritture, soprattutto era stato scosso dalla scena in cui Gesù (magistralmente interpretato dal catalano Enrique Irazuqui) entra in Gerusalemme durante la Pasqua ebraica. Quella scena, con le donne che si tolgono di dosso gli abiti e li stendono a terra per impedire ai piedi di Cristo di profanarsi, l’aveva molto scosso. A quel tempo Fantuzzi non aveva ancora deciso di farsi ordinare sacerdote, per cui era ancora in quella situazione di dubbio sul proprio futuro, però la visione del Vangelo gli stava dando l’opportunità di dire il definitivo sì all’ordinazione. L’unico dubbio ancora rimasto era appunto quello relativo alla risposta che Pasolini aveva dato al giornalista sulla sua non credenza religiosa. Il regista-poeta gli rispose:
«Guarda che quella domanda il giornalista non l’avrebbe dovuta proprio farla. Quelle non sono domande che si possono fare in pubblico. E comunque questo è un problema mio, strettamente personale».
Conversarono per un po’ sulle vicende del cinema in quel momento, poi si congedarono, perché Pasolini aveva da lavorare. Quell’occasione comunque diede a Virgilio Fantuzzi l’opportunità di conoscere la mamma del regista. Cominciò così la frequentazione del giovane seminarista della casa in via Eufrate. Di solito trovava lì la mamma del regista, con la quale rimaneva a parlare per lunghe ore. Decise di farsi prete e fu ordinato nel 1969. L’amicizia con Pasolini si era ormai consolidata, sia pure occasionalmente per via dei viaggi che il regista faceva. Per quanto riguarda lui invece, per approfondire meglio il mondo della comunicazione e del cinema, si iscrisse ai corsi del prof. Met all’università di Parigi, che frequentò da prete.
Gli chiesi cosa aveva provato quando aveva saputo della morte del regista nel 1975. Mi risponde:
«Ho sentito come un colpo d’arma al cuore. Ho sofferto moltissimo. Subito fui preso da una afasia totale, che mi è perdurata per più di un anno, in cui non ho fatto nulla, non ho scritto, non ho vissuto una vita sociale così come a noi preti viene richiesta. I padri della rivista furono con me molto compassionevoli. Aspettarono che mi riprendessi da quel durissimo colpo».
L’intervista era finita. Uscimmo dall’allora Hotel “Patria” e andammo a prendere un caffè all’allora bar “Tito Schipa” di piazza sant’Oronzo.
L’intervista col padre Virgilio Fantuzzi mi aveva dato nuovo interesse per il regista-poeta, tanto che mi venne in mente di scrivere:
«Per Pier Paolo Pasolini// Mi avevano detto:/ non devi Vedere/ Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini/ non devi Pensarlo/ non devi Leggerlo./ Ma io/ suonato come un Mago delle stelle/ volevo vederlo pensarlo leggerlo/ e pure ricordare il regista-poeta./ Così, come fu come non fu,/ cominciai a conoscere i suoi miti/ – Edipo re e Medea –/ poi vagolai./ Alle sue Ceneri di Gramsci/ rimasi incollato per mesi/ forse anni/ ma sono ancora lì/ attaccato come il mare alla scogliera/ perché in me fusi friulano sardo salentino./ Accattone e Uccellacci e uccellini/ segnarono la mia iniziazione/ del corsaro europeo/ e del rivoluzionario comunista./ Rimasi confuso quando scrisse dell’omologazione./ Ma aveva ragione./ Fu allora che il partito mi vietò d’incontrarlo:/ gonfiava nei vecchi compagni la preoccupazione del neofascismo./ Mi adeguai …/ dolente./ Non capivo perché Pasolini corresse/ su spericolate macchine sportive,/ tuttavia continuai a sognarlo/ triste romita/ affacciato agli spalti dei Sassi di Matera/ e mascherato da frate avvinazzato/ me lo gustai quale novello Matteo/ che riscriveva un altro Vangelo./ I suoi Versi divennero/ quotidianità estrema/ rifugiato com’ero tra gli arsapi salentini/ verdi ramarri e Veneri parabitane./ I suoi racconti di Canterbury/ mi fecero scoprire la normalità della sua diversalità/ e tuttavia riuscii a sopportarli/ mi si contorsero le budella invece/ le crudeltà fasciste di ciò che fu Salò./ In una manifestazione di piazza contro ogni fobia/ mi buscai al petto un lacrimogeno/ acceso come un cero a san Paolo di Galatina/ ma non mi arresi/ e non mi pentii quando il giudice giustamente mi condannò./ Quando con spietatezza/ dei farabutti lo uccisero/ sporcandoLo di fango melmoso/ sentii il mio corpo divenire martoriato come il suo/ in tanto puzzo di gomme d’auto intorno:/ il poeta moriva // la sua anima profumava».
Continuai a interessarmi di lui e della sua opera. Il 1985 fu l’anno di Pier Paolo Pasolini. Erano trascorsi 10 anni dalla sua tragica morte, e tutti lo celebrarono: giornali, riviste, docu-film. La rivista «Rinascita» pubblicò il libro-omaggio Dialogo con Pasolini. Scritti 1957-1984.

Pomeriggio del 21 ottobre 1975, Pasolini a Calimera.
Anche il Salento aveva avuto occasione di conoscere il regista-poeta. Il 16 ottobre 1975, Rocco Aprile, un intellettuale amante del griko (un antico dialetto gregofono parlato nella Grecìa salentina) e delle tradizioni salentine, ricevette a Calimera Pier Paolo Pasolini, accompagnato dal fotografo Paolo Di Paolo, per partecipargli le storie e le vicende di questo lembo d’Italia. Quel mattino Pasolini aveva partecipato a una assemblea di studenti e docenti al Liceo Classico “Palmieri” di Lecce, dove aveva assistito, prendendo parte ad una conferenza sull’etnie linguistiche del Salento. Egli era già stato un produttore creativo di pagine e pagine letterarie come di film entrati ormai nella leggenda del cinema mondiale. Oltre a Le ceneri di Gramsci (1957), che per me resta uno dei suoi capolavori per via anche del riferimento al fondatore in Italia del Partito comunista nel 1921, altre sue raccolte poetiche sono La meglio gioventù (1954), dentro la quale compaiono i suoi primi versi di Poesie a Casarsa (1942), scritti in dialetto friulano – L’usignolo della chiesa cattolica (1958) – La religione del mio tempo (1961) – Poesia in forma di rosa (1964) – Trasumanar e organizzar (1971) – La nuova gioventù (1975). I suoi poeti di riferimento, quelli che quotidianamente leggeva erano: Pascoli, e poi Umberto Saba, Sandro Penna, Attilio Bertolucci, Giorgio Caproni e molti altri poeti dialettali, anche minori e sconosciuti.
Altre opere che hanno fatto ormai testo come la raccolta di saggi in Passione e ideologia; e ancora saggi postumi come Scritti corsari (1975), Lettere luterane (1976), Le belle bandiere (1977), Il caos (1979); e i romanzi Ragazzi di vita e Una vita violenta; le raccolte poetiche La religione del mio tempo.
Di straordinaria bellezza sono i suoi film, Accattone (1961)- Mamma Rosa (1962) – La ricotta (1963) – La rabbia (1963) – Comizi d’amore (1963-64) – Sopralluoghi in Palestina per il Vangelo secondo Matteo (1963-64) – Il Vangelo secondo Matteo (1963-64) – Uccellacci e uccellini (1965) – La terra vista dalla luna (1966) – Che cosa sono le nuvole? (1967) – Edipo re (1967) – Appunti per un film sull’India (1967-68) – Teorema (1968) – La sequenza del fiore di carta (1968) – Porcile (1968-69)
Appunti per un’Orestiade africana (1968-69) – Medea (1969-70) – Il Decameron (1970-71) – Le mura di Sana’a (1970-71) – I racconti di Canterbury (1971-72) – Il fiore delle Mille e una notte (1973-74) – Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975).

Sulla figura e l’opera poetica, teatrale e filmica di Pasolini la letteratura e la critica sono oggi sconfinati. Alcuni titoli: Pasolini. Uno gnostico innamorato della realtà (ed. Le Lettere) di Filippo La Porta; Intervista a Pasolini (ed. Biblioteca dell’Immagine) di Davide Toffolo. Libri indimenticabili come I Meridiani (Mondadori) all’interno del quale sono pubblicati suoi scritti teatrali inediti. È del 1968 il suo Manifesto per un nuovo teatro. Pasolini è stato un anticipatore in tutto ed è stato contro ogni tipo di conformismo: odiava il capitalismo e il suo comunismo era un comunismo letterario e filmico. Amava le tradizioni popolari, ed amava i dialetti.
Impossibile dimenticarlo.
[“Il pensiero meridiano” del 12 marzo 2025]