Nel 1970 dunque, a cura di Oreste Macrì e Donato Valli, a Lecce rinasce “L’Albero”, la gloriosa rivista fondata e diretta, dal1949 al 1966, da Comi, scomparso nel 1968, e va avanti fino al 1985 per complessivi trentanove fascicoli. Fin dall’inizio, la rivista si propone di continuare, oltre che la prima serie, anche la migliore tradizione letteraria salentina riallacciandosi ai periodici leccesi degli anni Quaranta, da “Vedetta mediterranea” a “Libera Voce”, fino al “Critone”, in quanto, come questi, ristabilisce un rapporto privilegiato con Firenze, che, come ebbe a scrivere Macrì, era “una delle linee del più ampio tessuto culturale d’un Salento europeo”[2]. Priva di un programma preciso per esplicita volontà dei due curatori, “L’Albero” era basata su una rete piuttosto estesa di rapporti di amicizia e di solidarietà umana e artistica. A questo proposito, Donato Valli ha scritto di recente che lui e Macrì ritenevano che “la rivista dovesse ‘farsi da sé’, costituisse cioè il coagulo di esperienze di letterati che continuavano a fare ‘gruppo’ per omogeneità di sentimenti, per amicizia, per libera scelta di aggregazione. Il che non significò rinuncia a una propria linea e a una propria identità culturale”[3]. Unico punto di riferimento era l’esempio e il magistero di Comi, sempre “vivo e presente nelle […] scelte redazionali”[4], di cui la rivista contribuisce a tenere desta la memoria anche attraverso la pubblicazione di alcuni scritti inediti. Nel Preambolo infatti, apparso sul primo numero della nuova serie, Macrì si richiamava esplicitamente a Comi e ai “suoi compagni defunti o superstiti; persuasi già all’origine dal testimonio di Rebora e Boine, Campana e Ungaretti, Onofri e Fallacara, succedendo in continuità il verbo di Montale, Quasimodo, Betocchi, fino ai coetanei”[5].
Era, questa, una sorta di dichiarazione d’intenti che caratterizza dall’inizio alla fine la rivista, la quale resta fedele alla linea ontologica della poesia italiana del Novecento e manifesta, come scrive sempre Macrì in uno uno dei pochi interventi di carattere programmatico, la “totale ripugnanza verso ludismi, sperimentalismi, gratuite alterazioni categoriali della poesia, metalinguaggi, trascritture del ‘desiderio’, inflazioni dell’oggetto testuale, semiologie quantitative e cibernetiche oltre i diritti e doveri del loro ambito scientifico”[6]. E, in effetti, “L’Albero” si caratterizza in ogni suo fascicolo come una rivista di alta, composta e raffinata cultura letteraria, sempre lontana da ogni forma di sperimentalismo e dagli eccessi avanguardistici.
Articolata in varie sezioni (Studi, Testi, Rassegne, Campo aperto, Recensioni e indicazioni), la rivista, che meriterrebbe un’analisi più approfondita e dettagliata che in questa sede non è possibile compiere, può contare su collaboratori prestigiosi, tra i più noti scrittori e studiosi in campo nazionale. Tra i primi basti citare M. Luzi, L. Sinisgalli, V. Sereni, A. Gatto, C. Betocchi, A. Parronchi, R. Bilenchi, P. Bigongiari, S. Solmi, G. Dessì, R. Brignetti, Maria Corti, cioè alcuni tra i maggiori poeti e narratori del Novecento. Tra i critici, ancora Bigongiari, Betocchi, Parronchi, presenti anche in questa veste, e poi C. Varese, S. Baldi, R. Jacobbi, E. Migliorini, R. Assunto, L. Terreni, S. Ramat, M. Machiedo, G. Chiarini, C. Cordié e numerosi altri. Oltre che ai classici e agli autori moderni italiani, viene prestata attenzione alla letteratura straniera (spagnola, francese, inglese, neogreca, tedesca, croata) con studi e traduzioni affidati a specialisti autorevoli, quasi sempre docenti universitari.
Sull’ “Albero” sono presenti ovviamenti anche i maggiori critici e scrittori salentini, di riconosciuto valore a livello nazionale. Tra i primi si ricordano M. Marti, M. Tondo, E. Esposito, A. Mangione, L. Panarese, N. Carducci, oltre ai due curatori Macrì e Valli e ad alcuni più giovani, come G. Rizzo, L. Galante, G. Cillo e altri. Per quanto riguarda la letteratura creativa, figurano pochi nomi scelti tra quelli più rappresentativi che operavano in quegli anni: dallo stesso Bodini, che, prima della morte, fece in tempo a mandare una lirica per il primo numero, a Vittorio Pagano, dal tarantino Michele Pierri a Giovanni Bernardini, dal pittore Lino Suppressa, di cui si pubblicano le prose “leccesi”, a Luciano De Rosa, da Vittore Fiore ai due dialettali Nicola De Donno e Pietro Gatti, che “L’Albero” contribuisce a scoprire e a valorizzare, al più giovane Ercole Ugo D’Andrea. Quasi in ogni numero è presente uno studio, corredato da alcune tavole, su un artista salentino, come L. P. Suppressa, G. Re, V. Ciardo, N. Della Notte, M. Delle Site, M. Massari, C. e F. Barbieri, ecc. E anche qui, come si vede, si tratta di un’ideale galleria della maggiore arte di Terra d’Otranto del secolo passato.
“L’Albero”, come s’è detto, va avanti fino al 1985, anzi l’ultimo fascicolo della seconda serie (il trentanovesimo) risulta finito di stampare nel 1987. Diciotto anni, quindi, durante i quali si assiste a numerosi e profondi cambiamenti nel campo della letteratura e della società, anche nel Salento.
Ecco, all’ombra del grande “Albero”, nascono in questo periodo, come tante piantine selvatiche si potrebbe dire, numerosi periodici e fogli letterari, che si collocano tutti, è bene chiarirlo subito, in un ambito assai più limitato e circoscritto rispetto a quello della rivista di Valli e Macrì, e anche con risultati oggettivamente (e per forza di cose vorrei dire) assai più modesti. In ogni caso però essi documentano e confermano il fervore, la vivacità culturale di una regione come il Salento, che nel secolo passato ha saputo recepire, quasi in contemporanea e non con ritardo, come si pensava fino a qualche tempo fa, quasi tutti i movimenti letterari e artistici, anche quelli più elitari e ardui, come il futurismo, il Novecento (in pittura), l’ermetismo, il neorealismo, la neo-avanguardia. Ebbene, anche questi periodici, dalla vita a volte estremamente breve, si aprono di solito al più avanzato sperimentalismo in campo letterario e artistico di quegli anni.
È il caso, ad esempio, di “Gramma”, bollettino trimestrale di cultura contemporanea, di cui nel 1971, nel capoluogo salentino, escono quattro fascicoli per complessivi cinque numeri. Tre redattori, Giovanni Corallo, Salvatore Fanciano e Bruno Leo, provenivano dalla pittura e nel 1964 avevano dato vita a un altro gruppetto d’avanguardia, il Prismagruppo. A questi si aggiungono Francesco De Blasi e, in qualità di coordinatore, il critico e scrittore Enzo Panareo, una presenza costante nella pubblicistica letteraria salentina, ma non solo, di questi anni. “Gramma” rappresenta, come meglio non si potrebbe, la linea alternativa, underground, antiistituzionale, antisistema, della cultura salentina con chiare connotazioni ideologiche legate alla situazione italiana postsessantottesca. Stampato con lo strumento, ormai obsoleto, del ciclostile, che, come venne scritto da Franco Manescalchi nel primo numero, poteva assolvere “ad una funzione anticapitalistica e disalienativa”[7], questo bollettino nasce in collaborazione con il Centro Tèchne di Firenze, diretto da Eugenio Miccini, uno dei fondatori della poesia visiva. E, in effetti, i quattro fascicoli si caratterizzano per la presenza di numerose composizioni visive e concrete di autori come E. Miccini, M. Perfetti, T. Kemeny, A. Buttazzo, B. Piano, F. De Blasi. Ma sono presenti anche poesie e racconti di tipo più tradizionale, accanto a articoli, interventi, riproduzione di opere. Tra i nomi dei collaboratori che si incontrano su queste pagine, citiamo quelli di Sarenco, A. Bonito Oliva, O. Panaro, E. Migliorini, S. Greco, C. Lorenzo, I. Apolloni, P. Civitareale, M. Grillandi.
Un’altra testata che si colloca sempre nell’area della sperimentazione interestetica, nella quale sono annullate le distinzioni fra le varie arti secondo le tendenze dell’epoca (la cosiddetta “perdita dello specifico”), è “Ghen”, giornale a struttura modulare fondato e diretto da Francesco Saverio Dodaro, di cui apparvero tre soli numeri a Lecce tra il 1977 e il ‘79, ma che trovò una continuazione inaspettata a Genova con i cinque numeri di “Ghen res extensa Liguria”, diretto da Rolando Mignani, apparsi tra il 1981 e l’85. Questo periodico era l’organo ufficiale di un movimento d’avanguardia sorto a Lecce nel 1976, il “Movimento arte genetica”, che raggruppava un certo numero di operatori estetici, salentini e non, provenienti dai più svariati settori della ricerca artistica e letteraria e accomunati dall’ ipotesi di profonde implicazioni genetiche all’origine di ogni manifestazione artistica. Questa ipotesi era stata formulata proprio da Dodaro, un operatore barese proveniente dalla pittura, il quale aveva sostenuto che “le prime manifestazioni d’arte sono suoni, ottenuti da percussione, riproducenti il tempo genetico, cioè il battito materno – scansione cardiaca che è l’unità di misura dell’armonia” e ancora che il linguaggio “è una congiunzione, il tentativo di riunificazione con la madre”. In verità non tutti gli aderenti al movimento seguono rigidamente queste indicazioni teoriche e preferiscono invece abbandonarsi al loro estro creativo. Tra i collaboratori di “Ghen” citiamo i “genetici” di più stretta osservanza, anche se poi dissidenti, come A. Massari, F. Gelli, I. Laudisa, V. Balsebre e inoltre C. A. Augieri, R. Nigro, D. Giancane, A. Marrocco, T. Carpentieri, F. Miglietta, S. Greco, C. Lorenzo, E. Miglietta, ma su questi fogli si incontra anche un maestro della sperimentazione artistica novecentesca come Bruno Munari.
A Dodaro si deve anche l’ideazione e la realizzazione di numerose collane, che vedono la luce tra il 1981 e il 2000, quali: “Violazioni estetiche” (1981); “Scritture” (1989) e “Spagine” (1991), quest’ultima curata insieme ad Antonio Verri, definite di “nuova scrittura”; “Compact Type” (1990), “Diapoesitive” (1990) e “Mail Fiction” (1991), anche queste curate insieme a Verri, definite di “nuova narrativa”; “Mail Poetry” (1991), “Wall Word”(1992), “International mail stories” (1993), “Internet poetry” (1995), “Walkman fiction. Romanzi da ascoltare” (1995), “European literature” (2000) e “Pieghe narrative” (2001). Queste collane, che spesso non vanno oltre il primo titolo, sono un tentativo di contaminazione tra arti e settori diversi (la poesia, la narrativa breve e brevissima, la grafica, la pubblicità, il giornalismo, la fotografia), anche attraverso l’utilizzazione di nuovi media, come Internet, nel tentativo di adeguare costantemente la comunicazione poetica e letteraria alle novità tecnologiche dei nostri tempi.
Ma per completare il panorama artistico e letterario salentino negli anni post-sessantotteschi, qui particolarmente vivaci, prima di passare oltre, meritano di essere segnalati alcuni gruppi sorti in vari campi, che scelgono tutti la strada della ricerca e della sperimentazione. E qui non posso che citarli rapidamente: in campo artistico, il Centro ricerche estetiche di Novoli con Sandro Greco e Corrado Lorenzo, che operano all’inizio nel settore della land art e sono tuttora attivi; in campo teatrale l’Oistros, che si collega col salentino Eugenio Barba, uno dei padri fondatori dell’avanguardia teatrale; in campo musicale, il Canzoniere grecanico salentino, animato dalla scrittrice Rina Durante.
Per tornare ora a territori più vicini alla letteratura, ma sempre legati alla sperimentazione, ai primi anni Settanta risale l’inizio di un’altra originale esperienza che merita di essere ricordata in questa sede, quella di Enzo Miglietta e del suo Laboratorio di poesia di Novoli. Miglietta, dopo aver pubblicato alcune raccolte di versi, dai primi anni Settanta si indirizzò verso le ricerche poetico-visuali, vale a dire verso quel genere di ricerche basate sul rapporto variamente articolato tra parola e immagine, tra elemento verbale ed elemento visivo. Questo argomento venne da lui studiato e approfondito anche attraverso una tesi di laurea e intensi rapporti personali con i maggiori esponenti di questa neo-avanguardia: da V. Accame a E. Miccini, da A. Spatola a L. Pignotti, da U. Carrega a L. Caruso e a numerosi altri. A questi e ad altri operatori vennero dedicate anche mostre e dibattiti appunto nel Laboratorio nel corso degli anni Ottanta. Miglietta in quegli anni attraversò un po’ tutte le tendenze in questo campo, dalla poesia motoria alla poesia visiva alla poesia concreta, fino ad arrivare alla cosiddetta “scrittura” o “nuova scrittura”. Nel 1993 fece una sorta di consuntivo del suo lavoro svolto in quasi due decenni in una mostra organizzata nel Castello di Carlo V a Lecce, intitolata Manoscritti e altro. E bisogna dare atto a Miglietta che in questo specifico settore è riuscito ad affermarsi anche a livello nazionale potendo vantare presenze in numerose mostre e manifestazioni svoltesi in varie città italiane e straniere.
[In A. L.
Giannone, Modernità del Salento. Scrittori, critici, artisti del Novecento e
oltre, Galatina, Congedo, 2009]
[1] Su questo periodo si rinvia a: D. VALLI, Cento anni di vita letteraria nel Salento (1860-1960), Lecce, Milella, 1985, pp. 133-219; M. MARTI, La vita culturale, in Storia di Lecce. Dall’Unità al secondo dopoguerra, a cura di M. M. Rizzo, Bari, Laterza, 1992, in particolare le pp. 615-625; E. BONEA, Subregione culturale. Il Salento – vol. II. La svolta, Lecce, Milella, 1993, pp. IX-LVIII; D. VALLI, Rapporto su mezzo secolo di letteratura nel Salento, in “Studi salentini”, LXXX, 2003, pp. 7-33, poi in ID., Aria di casa. Esperienze di volontariato letterario, serie III, tomo II, Galatina, Congedo, 2005, pp. 147-166.
[2] O. MACRI’, “L’Albero”, consuntivo e futuro, in “L’Albero”, fasc. XXXII, n. 65, giugno 1981, p. 6.
[3] D. VALLI, L’Albero. Il cuore dell’Accademia salentina, in “Almanacco Salentino 2004”, a. XV, gennaio 2004, p. 166.
[4] Ibid.
[5] O. MACRI’, Preambolo alla nuova serie, in “L’Albero”, fasc. XIV, n. 45, 1970, p. 3.
[6] O. MACRI’, “L’Albero”, consuntivo e futuro, cit., p. 6.
[7] F. MANESCALCHI, Il ciclostile fra antieditoria e gesto privato, in “Gramma”, n. 1, gennaio 1971.