di Antonio Devicienti
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UNO: Nel 2011 l’artista statunitense Emily Arthur, nell’ambito di un progetto condiviso con Ca’ Foscari e con la Biennale d’Arte, interviene su di un libro (Il fiore della lirica veneziana – IV pubblicato da Neri Pozza nel 1959) con proprie illustrazioni; è e non è un palinsesto – lo è nel senso che Emily Arthur lavora su di un volume già esistente, ne reimpiega pagine e spazi; non lo è perché l’artista non cancella i testi precedenti per sostituirvi le proprie visioni: le immagini sono compresenti ai testi poetici, perfettamente identificabili sono le pagine e le parti che compongono il libro; efficace rappresentazione di Venezia città-palinsesto sulle cui pagine milioni di sguardi ri-scrivono ogni secondo il proprio vedere; difficile dire quali e quanti sguardi sappiano restare liberi dalle incrostazioni degli stereotipi e delle pigrizie mentali e percettive.
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DUE: Nel 1986 Luigi Ghirri scatta questa foto del Ponte dell’Arsenale: l’arzanà de’ Viniziani si dà a vedere nella nebbia, poche figure umane conversano con una città che appare intima, schiva, silenziosa: facile immaginare attutiti suoni, anzi, è dato vederli.
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TRE: Il Teatro del mondo di Aldo Rossi (1979-1980) è Venezia: teatro eternamente galleggiante, doppio specchio della parola e dell’immaginazione (il palcoscenico al suo interno: il mare al suo esterno).
Un teatro effimero (si smonta e si rimonta poi altrove, fluttua su di una chiatta, non conosce la stasi) perché è proprio l’attimo a toccare l’eternità, così s’accende e torna al silenzio dell’invisibilità.