Su Lettere salentine. Poeti e narratori del Novecento di Luigi Scorrano (prima parte)

Passiamo allora rapidamente in rassegna i primi sei saggi, mentre  i restanti sei saranno presentati da Simone Giorgino. In questa prima parte del libro sono compresi gli autori più noti, più storicizzati del nostro territorio, quelli che dovrebbero figurare sempre nelle storie, nelle antologie del Novecento. Mi riferisco, in particolare, ai primi due, Vittorio Bodini e Girolamo Comi, ritenuti unanimemente oramai due poeti di livello nazionale e respiro europeo e ampiamente studiati dagli italianisti salentini e non solo. A Bodini Scorrano dedica il primo saggio, Vittorio Bodini e il vocabolario della Luna. Di questo poeta mi vado occupando ormai da vari decenni con studi, pubblicazioni delle opere, direzione di una collana a lui dedicata, l’organizzazione, nel 2014, di un Convegno internazionale in occasione del centenario della nascita. In questi ultimi anni se ne è parlato anche in Spagna, in alcune università (Madrid Autónoma, Salamanca, Valencia dove gli è stata dedicata una Giornata di studi).

Ma veniamo al saggio di Scorrano “Il vocabolario di un poeta – scrive all’inizio ‒ è ciò che distingue quel poeta da tutti gli altri”, come “il vocabolario di un’opera è quello specifico proprio e solo di quell’opera e di nessun altra”. E Gigi, date queste considerazioni iniziali, esamina il vocabolario della Luna dei Borboni e altre poesie, la raccolta di Bodini del 1962, nella quale confluiscono i primi due libri poetici, La luna dei Borboni 1952 e Dopo la luna 1956. Incomincia dal termine “palpiti” che B. usa ironicamente “ma anche con un sentimento di partecipe pietà” verso la protagonista di Morta in Puglia, di cui ritrova le ascendenze in altri poeti (Leopardi) e nei libretti del melodramma perché, fa notare, “il vocabolario della Luna è anche il vocabolario che ogni poeta ha alle spalle, che frequenta e conosce anche quando sembra prenderne le distanze”. Poi si sofferma su qualche termine tecnico come “calumare” presente in Brindisi, tipico dal linguaggio marinaresco, sull’espressione “pietra lunare” (Quando fu l’ora), ripresa da due titoli di opere dello scrittore inglese William Wilkie Collins e dell’italiano Tommaso Landolfi, e ancora sui due aggettivi “triste e ilare”, presenti sempre in quella poesia,  che derivano da Giordano Bruno. E così continua in questa indagine intertestuale, in cui Scorrano era un maestro (basti pensare ai suoi lavori sul dantismo  novecentesco), rinvenendo ancora riferimenti a Manzoni, Boccaccio, Dante, Govoni, Mallarmé. Alla fine del saggio poi egli fa una considerazione molto acuta, dimostrando che anche da un particolare punto di vista come questo si può giungere a cogliere una caratteristica fondamentale di un’opera. Ed è quando dice che “il vocabolario della Luna è un vocabolario di negazione”, come dimostra la presenza del non fin dall’inizio (“Tu non conosci il Sud”) o del senza in altre poesie o ancora nella scelta dei colori che sono quelli freddi dove predominano il bianco e il nero, e il paesaggio è immerso nell’ombra e nell’oscurità. Ebbene, questa osservazione ci riporta a un dato centrale della poesia e della poetica bodiniana, relativamente alle raccolte “lunari”: il dato sulla condizione esistenziale negativa a cui è associato il Sud, la non-vita, la non-storia del Sud. Per questo Bodini poteva giustamente rivendicare l’originalità di questo suo Sud che non aveva niente a che fare con un Sud di maniera, convenzionale, “di colore”, come spesso purtroppo è stato scambiato dai critici. E Scorrano, ripeto, riesce a cogliere questa caratteristica da questa angolazione particolare, cioè dal vocabolario del poeta, da alcuni termini da lui usati.

Il secondo saggio è dedicato a Comi, Girolamo Comi, la “terrestrità spirituale”. Anche Comi è stato fatto oggetto recentemente di attenzione da parte nostra (pubblicazione delle Poesie nel 2019 con le edizioni Musicaos di Neviano, a cura dello scrivente e di Simone Giorgino, e una mostra per l’anniversario della morte) dopo gli studi fondamentali di Valli. E questo ha provocato interesse anche in Francia dove il poeta si formò e dove sono uscite recensioni del volume sulle principali riviste specializzate.

Scorrano parte da un verso, anzi da un sintagma, da un’espressione, presente in una versione manoscritta della lirica Di tutti i giorni terrestri, che si può leggere proprio nell’edizione critica dell’ Opera poetica curata da Valli nel 1977 per l’editore Longo di Ravenna: “di una terrestrità spirituale”, espressione che S. interpreta  sia come “una compenetrazione di due piani intesi di solito come divisi e ostili” l’uno all’altro, sia come “osmosi dei due piani-forme, con costante recupero dello spirituale-celestiale nel terrestre”. Anche qui S. riesce a cogliere un motivo centrale della poesia di Comi, l’oscillazione tra richiami terrestri, sensuali e tensioni, aspirazioni spirituali, sovrannaturali, tra immanenza e trascendenza insomma. Un motivo che è presente in tutta la sua produzione poetica e che S. segue con la consueta attenzione ai testi, portando numerose esemplificazioni tratte dalle scelte lessicali, a partire dal primo libro, Lampadario, del 1912 poi rifiutato, in cui questa bipolarità è ancora un po’ vaga.

Essa emerge poi più chiaramente nelle successive raccolte di Comi, come nella prima antologia, Poesia del 1928 che fece parlare un critico come Sergio Solmi di “poesia cosmica”. Qui, scrive Scorrano,  “Terrestrità e spiritualità s’annunciano chiare […]. Terrestrità ancora pagana, ma con un alito di più intensa spiritualità; spiritualità non più completamente laica…”. In effetti questa è ancora la prima fase della poesia di Comi influenzata dalla dottrina antroposofica di Rudolf Steiner caratterizzata da una concezione immanentistica per cui c’è una perfetta unione di terrestre e spirituale. Una vera e propria svolta si nota dopo la conversione di Comi del ’33, nella seconda antologia, Poesia, del 1938, dove la spiritualità è legata al cattolicesimo. E questo si può notare anche nella antologia conclusiva e riassuntiva del suo percorso poetico, Spirito d’armonia del 1954. In Canto per Eva, invece, del 1958, apparentemente sembra che prevalgano i richiami terrestri essendo il libro un canzoniere composto da liriche ispirate al tema dell’amore. Ma “i segni del divino, ancor qui, si manifestano nel carnale e terrestre, che ne garantisce – paradossalmente ‒ l’eternità”. Si torna ai valori spirituali e all’abbandono dei richiami sensuali e terrestri nell’ultima raccolta di Comi, Fra lacrime e preghiere (1958-1965), pubblicata nel 1966. “Il libro – scrive infatti Scorrano – ribadisce il nesso terrestrità-spiritualità, ma questo nesso non appare, come altrove, bilanciato. La spiritualità sembra sorgere completamente vittoriosa sulla terrestrità, fin quasi a staccarsene”. E anche qui l’autore del libro riesce a toccare, come s’è detto, un nucleo centrale della poesia e della poetica di Comi.

Il terzo saggio è dedicato a un narratore, dopo due poeti, Michele Saponaro, che era uno degli scrittori più letti in Italia negli anni Venti e Trenta. Di Saponaro Scorrano prende in esame il ciclo “Un uomo”, che in realtà è un dittico, composto cioè da due soli romanzi, Adolescenza (1924) e La giovinezza (1926) i quali delineano una sua ideale autobiografia Questo saggio venne presentato al Convegno sullo scrittore di San Cesario che organizzai nel 2010 e al quale invitai Gigi che non poté leggere la sua relazione per problemi familiari ma che la mandò ugualmente. Essa infatti figura nel volume degli Atti del Convegno che curai per l’editore Congedo di Galatina nel 2011. Qui all’inizio Scorrano introduce il tema dell’adolescenza nella letteratura europea compiendo un excursus che va da Alain Tournier a Thomas Mann, da Mauriac a Moravia, da Piovene a Cesare Giulio Viola (Pricò). Poi individua un elemento comune alla base dei due romanzi che consiste nell’“ambizione di mostrare come l’uomo e lo scrittore abbiano attinto in quei remoti giorni della propria vita la capacità di guardare lontano, di porsi un traguardo da raggiungere agendo e lavorando in solitudine”. Ma mentre il primo è “il romanzo dell’esercizio della volontà”, l’altro “è quello dell’educazione sentimentale del protagonista”. Essi raccontano comunque non solo le vicende esterne del protagonista ma anche le sue passioni (soprattutto per la poesia, Ariosto e Carducci in particolare). Nell’ultimo paragrafo Scorrano conduce un esame delle figure femminili presenti nei due romanzi.

Nel quarto saggio il critico affronta la produzione letteraria di Pantaleo Ingusci, una nobile figura di uomo politico antifascista, avvocato, fondatore del partito repubblicano nel Salento, che non era un letterato di professione. E qui si conferma la tesi che alle idee avanzate, progressiste in campo politico corrispondono spesso posizioni arretrate in campo letterario. Infatti Ingusci si inserisce, possiamo dire, in una linea antimoderna che contrasta con quella dei precedenti autori affrontati (soprattutto Comi e Bodini), pienamente immersi invece nella modernità. Qui Scorrano prende in esame prima la raccolta di versi Sonetti salentini, pubblicata nel 1955, caratterizzata, come dice lo stesso autore, da un “lessico poetico ormai usurato” in cui il modello sembra esser ancora Carducci. Anche la stessa forma metrica usata, il sonetto, appartiene alla tradizione lirica italiana (mentre il Novecento ha privilegiato il verso libero o comunque una metrica liberata), così pure i temi sono tipicamente ottocenteschi. Oggetto delle composizioni sono, infatti,  alcuni centri del Salento, vicende e personaggi storici come Gesù, Dante, Mazzini, Garibaldi, Matteotti. E non mancano nemmeno gli autoritratti che sono un genere coltivato da tanti poeti della tradizione italiana. Ingusci scrisse pure un romanzo, L’ora di Nardò apparso postumo nel 1986, cinque anni dopo la sua morte. Al centro del romanzo c’è una storia sentimentale di due giovani, ma sullo sfondo del romanzo ci sono le vicende dell’Italia postunitaria fino al secondo dopoguerra viste da un centro periferico come Nardò. Anche quest’opera risente di modelli narrativi ottocenteschi e, in particolare, ovviamente, della lezione manzoniana, anche se, come fa notare S. “dentro vi fermentano gli apporti della narrazione e dell’epica popolare come del saggio filosofico e storico-politico”,

I saggi successivi affrontano due figure appartenenti a generazioni più giovani rispetto ai precedenti: Vittore Fiore (1920) e Giovanni Bernardini (1923). Del primo Scorrano ripubblica la sua prefazione al poemetto Qualcosa di nuovo intorno (Parabita, Il Laboratorio, 1993). Qui c’è una riflessione sui problemi del Sud, sui “mali” del Sud, e sulle soluzioni proposte dai meridionalisti, che sono i grandi modelli di Vittore, che era figlio di Tommaso Fiore. Non stupisce perciò la presenza di una forte componente autobiografica nella rievocazione di vicende personali e di episodi storici, nonché dei maestri del meridionalismo continuamente citati. Si tratta quindi, come afferma Scorrano “di una poesia politica per vocazione, civile, per persuasione, epica per intonazione, colloquiale per volontà di non escludere nessuno dalla possibilità di comunicare. Il rifiuto è quello di una poesia compiaciuta di sé, d’una dizione che ami solo l’eco di quel che dice, indifferente alle cose del mondo, alla riflessione sulla storia, all’intervento critico”. Cioè, per dirla in modo diverso, una poesia impegnata lontana da certi modelli come quelli ermetici o della poesia cosiddetta “pura”. In questo poemetto, sostiene il critico, c’è anche il tema dell’amore ma prevale una dimensione civile, “c’è il rifiuto, nettamente dichiarato, del ‘poetabile’ di maniera, c’è lo slancio d’una poesia che odia indugi e ripiegamenti e atteggiamenti solipsistici”. Poesia, quindi, “come liberazione anche dall’io privato, dalla tentazione dell’autocommiserazione del lamento”.

Il saggio su Bernardini deriva invece dalla presentazione di una sua opera, Allegoria (semiseria) del viaggiatore e altri epiloghi, tenuta nell’Aula consiliare del Comune di Tuglie nel 1984. Fino a quell’anno lo scrittore di Monteroni aveva pubblicato soltanto quattro libri, tre di prosa e uno di poesia, mentre la sua produzione diventerà sempre più fitta col passare degli anni e alla fine ammonterà a diverse decine di volumi e volumetti. A mio avviso, però, questo primo momento è quello più significativo, quello che resterà nel tempo, e mi riferisco in particolare ai primi due libri, Provincia difficile e Compare brigante, pubblicati entrambi dall’editore Adda di Bari nel 1969 e nel 1973, anche se i racconti e le prose ivi raccolti risalgono agli anni Cinquanta-Sessanta. Proprio da questi due libri parte nel suo intervento Scorrano che traccia un profilo di Bernardini, almeno fino a quell’anno. La sua produzione, all’inizio, fa notare giustamente, si colloca nell’ambito del neorealismo. Non a caso cita l’esperienza della rivista leccese “Il campo” di cui Bernardini è stato uno dei direttori, che proprio delle istanze neorealistiche si fece portavoce nel Salento. Ma, precisa Gigi, il neorealismo di Bernardini non è “rozzo, o grezzo, ritrarre la realtà circostante in quel particolare momento storico, ma volontà di rappresentarla come volevano le ragioni e i mezzi dell’arte. Un’esigenza di nitore formale sentito come rispetto profondo di valori, quelli della letteratura, che non erano da barattare con sciatterie e approssimazioni”. Poi esamina più da vicino questi due libri che “respirano la stessa aria anche se differiscono per più puntuali articolazioni interne”, perché in effetti mentre Compare brigante è composto soltanto da sei racconti, Provincia difficile comprende un racconto lungo, Chi rimane, e alcuni reportage da vari centri della provincia che valsero allo scrittore il Premio Salento per il giornalismo nel 1957. In Chi rimane, poi pubblicato nel 1994 col titolo Il profumo dei gelsomini, che è una delle prove più felici di Bernardini, il protagonista,  che ritorna nel paese natio dopo la guerra e la prigionia, sceglie di restare nel Sud per dare uno specifico contributo alla risoluzione dei problemi del suo paese proprio come fece Giovanni Bernardini che per un breve periodo fu pure sindaco di Monteroni.

Nell’81 esce la raccolta di versi, Segni del diluvio, edito da Lacaita di Manduria, che comprende poesie composte in un lungo periodo (dal ’46 all’80), divise in varie sezioni. Nelle sezioni più antiche si ritrovano le poesie neorealiste degli anni Cinquanta, mentre in altre più recenti vi sono composizioni che sviluppano temi esistenziali e amorosi. Nel libro quindi, osserva Gigi, “è possibile trovare tutti i motivi che lo scrittore ha tessuto nelle sue prove narrative […] il sentimento di un tempo che ha mantenuto poche promesse””. Nell’ultima sezione invece c’è invece una riflessione sulla società italiana degli anni ’70-’80 caratterizzata da un incalzante progresso tecnologico ma anche da una crescente disumanizzazione che produce effetti negativi (i “segni del diluvio” appunto). “Ciò che viene in primo piano, scrive quindi Scorrano, “è un senso di maturata delusione”. L’ultima opera presa in esame è Allegoria (semiseria) del viaggiatore e altri epiloghi, pubblicata da Bastogi di Foggia nel 1984, un’opera caratterizzata da un moderato sperimentalismo con cui Bernardini cerca di superare la scrittura realista (o neorealista) precedente. Qui emerge tutta la delusione dello scrittore nei confronti di certi sviluppi della società italiana dopo le speranze del dopoguerra, che era evidente già, come s’è detto, nelle poesie più recenti di Segni del diluvio. Per questo Scorrano può riassumere così il senso dell’opera: “Il libro non è un elenco di capitolazioni, se mai di deluse ricapitolazioni. Fine delle speranze e dell’amore, fine dell’uomo e caduta delle cose e delle memorie trovano collocazione sullo stesso piano; abolite le differenze che connotarono diversamente uomini ed eventi o le cose tra loro resta appena la pietà di un baluginio della memoria che non conduce però all’autocompassione”.

[Testo della presentazione del libro di Luigi Scorrano Lettere salentine. Poeti e narratori del Novecento, a cura di Antonio Montefusco e Antonio Resta (Pisa, ETS, 2024) tenuta a Tuglie il 20 febbraio 2025]

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