E padre Gonzati descrive la prima traslazione: “Volgeva il mese di aprile […] il loro Generale ministro appressavi a Padova. Lo precedeva la fama di gran sapere, di una virtù senza pari. Era il p. Bonaventura Fidanza da Bagnorea, già maestro di Teologia nello studio di Parigi, celebratissimo scrittore, che poi si meritò d’essere elevato alla dignità di cardinale vescovo di Albano, conclamato dottor serafico, ascritto da Sisto IV al catalogo dei Santi. La Domenica ottava di Pasqua 7 aprile coll’assistenza dei cenobiti, tra moltitudine di nostrali e stranieri trattivi da devote curiosità, il venerando prelato fece solennissima la traslocazione del Corpo santo dalla dimezzata chiesa di S. Maria alla Basilica di fresco edificata. Riposta l’Arca marmorea nel sito presignato, la scoperchiò a vista del popolo, ed ecco scompaginate ossa, carne ridotta in polvere, ma il capo con la sua cute e i capelli, la mandibola coi denti ancora infissi, teschio rispettato dal tempo e dalla corrusione. Non sente più freno il religioso entusiasmo. Con mano trepidante piglia il sant’uomo quel venerato capo, ne apre la bocca, ci trova la lingua mirabilmente incorrotta, la stacca dall’os hyoide e dalla laringe, la spicca fuori dalle fauci, la mostra al popolo plaudente ed esclama: “O Lingua benedetta che hai sempre benedetto il Signore e Lo hai fatto benedire da molti altri, ora si vede chiaramente quanto sei stata meritevole presso Dio”. Convien dire che il sacro rito producesse negli animi una forte emozione, dappoiché divenne tosto argomento di sacre concion. Nella Biblioteca antoniana esistono tre sermoni sopra questa traslazione, dettati da fra Luca di Padova, lettore di questo convento, ben diverso dal Beato, probabile del 1270. E’ certo che a Padova lo si riguardava avvenimento degno di storia, imperocché i cronisti di quell’età lo registrarono concordi nelle loro pergamene tra le notizie patrie più importanti”.
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Zaramella riporta che “la lingua sarebbe stata posta subito in un reliquario, anche se non prezioso, per tutelarla dall’aria e dalla polvere. Si susseguirono vari reliquari fino all’attuale più bello, opera di Giuliano da Firenze, discepolo del Ghiberti ed eseguito negli anni 1434-1436. Ma anche questo reliquario nel tempo ha avuto vari ritocchi e l’ultimo restauro di cui scrive Sartori risale al 1858 quando fu dato l’incarico all’orefice Andrea Zago per ‘pulire, rimettere ed ove occorra anche indorare di nuovo […] il detto reliquario’. E il lavoro come era stato stabilito fu compiuto entro la fine di gennaio 1859 e il 12 febbraio “il vescovo di Padova, mons. Federico Manfredini, si porta al Santo e poscia nella cappella delle sacre Reliquie per riporre nell’antico suo reliquario la sacra lingua di s. Antonio, onde era stata levata nel passato novembre dal padre guardiano ed interinalmente collocata in un reliquario minore per fare i necessari restauri a quell’insigne lavoro di oreficeria. E il bravo argentiere Sig. Andrea Zago lo aveva “indorato, smaltato e ritornato alla sua primiera magnificenza”.
Il mento di S. Antonio fu messo in un reliquario che ha la foggia di busto, con aureola, e un cristallo in luogo del viso. Eseguito nel 1349, committente il cardinale Guido de Boulogne. Anche questa reliquia ha avuto diversi ritocchi e l’ultimo che ci riporta padre Sartori è del 1860 e il 18 dicembre dello stesso anno il vescovo della città di Padova mons. Federico Manfredini si reca al santo per “rimettere nell’antico suo Reliquario il Sacro Mento di s. Antonio” che dall’11 luglio scorso era stato riposto in un’altra cassettina a “che si facessero alcuni ristauri ed abbellimenti al prezioso reliquario. Questi lavori furono eseguiti dal distinto artefice Sig. Pietro Altieri gioielliere di questa città a spese di due persone divote”.
Quindi la lingua fu subito messa in un reliquario, ma il mento no. E Zaramella dice: “Nel 1263 fu aperta la cassa della sepoltura, cioè quella del 1231; e con la ricognizione fatta da P. Bonaventura si costruì un’altra cassa più piccola che si inserì nella prima più grande. La pianeta rosso-oro della prima cassa fu divisa in quattro parti e sarebbe servita per deporvi le ossa, le ceneri, la tonaca, riposte nella cassa più piccola del 1263, come abbiamo trovato la sera del 6 gennaio 1981, data della seconda ricognizione. Nella quarta parte, mancante all’appello nel gennaio 1981 [,..] sarebbe stato messo il mento del Santo con altre parti come il braccio e due dita, che sarebbero poi stati utilizzati come reliquie. E l’espressione che il cardinale Guido di Montfort […] aveva riposto le spoglie del santo di Padova entro una cassa d’argento, la sera del 6 gennaio 1981 […] le spoglie furono trovate entro le povere casse di legno”. …..D’argento era solo il reliquario del mento”.
Emanuele de Azevedo, a proposito della ricognizione di p. Bonaventura, riporta: “Questa traslazione fu delle più strepitose e pel concorso del popolo, e pel insigne personaggio che la celebrò, e pel prodigio fino a quel tempo non più veduto, né udito d’altri Santi, che lingua, parte facilissima alla corrusione, fosse rimasta intatta e rubiconda, quando si era corrotto tutto il corpo”.
E Gonzati scrive ancora: “Qual fosse il sito dove l’Arca fu collocata da s. Bonaventura ne ‘l dice la tradizione, meritevole di rispetto perché costante tra noi. Non essendoci peranco apposita cappella degnamente ornata, fama è che si poggiasse il prezioso deposito sotto la cupola della crociera tra due dei quattro pilastri che la sostengono, circa un mezzo metro di qua dei presenti gradini del presbiterio. Quivi erigevasi l’altar maggiore”.
L’intenzione di s. Bonaventura era quella di spostare il corpo di S. Antonio dalla piccola chiesetta di S. Maria Mater Domini in cui era stato seppellito quattro giorni dopo la morte, ma la scena che si presentò ai suoi occhi era che, mentre tutto il corpo presentava i segni di naturale decomposizione, la lingua era invece rimasta intatta,” rubiconda e pulchra” come la descrisse, appunto, S. Bonaventura. E nel nuovo sepolcro, come segno di riconoscimento, venne messa di nuovo “una pietra rossa di sepoltura vecchia e rotta, e rotti ancora i contorni […] da parte della quale sepoltura verso tramontana vi è scolpita la lettera L maiuscola. E’ una semplice lettera L romana ma secca su marmo rosso di Verona […]. E su di essa sono state fatte svariate interpretazioni: alcuni dicono che significa Lingua, altri dicono Locus cioè luogo per eccellenza dove s. Bonaventura pose le spoglie del Taumaturgo; e altri dicono che L significherebbe Loculus e quindi starebbe per feretro, sepolcro, arca”.
E ancora Gonzati dice: “E’ la prima e la più solenne traslazione onde ci parlan le istorie cittadine e dell’Ordine […]”. E poi continua: “Questo dì fu sempre presso noi di solenne ricordanza, la quale dura tuttavia nel pio costume di celebrare in tal giorno le lodi del Santo con orazione panegirica che si recita nella mattina dall’oratore quaresimale. Quella di cui non si celebra memoria alcuna è la traslazione che si fece della veneranda Arca dal mezzo della chiesa alla cappella ove si trova, nell’ottava di Pentecoste del 1310. A quell’epoca la basilica già completata vi aveva accolto una nuova cappella, costruita intenzionalmente per porvi in modo stabile, definitivo l’Arca del Santo”.
E a proposito Zaramella riporta: “I frati erano stati convocati a partecipare al Capitolo generale, che in quell’anno benedetto si sarebbe svolto a Padova, nel convento presso la basilica del Santo, proprio per dare maggiore solennità alla traslazione della tomba del Santo dal centro della chiesa ormai cupolata, alla nuova cappella a sinistra, oltre la navata sinistra, cioè l’attuale cappella detta ‘Arca del Santo’. Sappiamo che i frati presenti al capitolo del 1310 non erano per nulla entusiasti della nuova cappella dedicata al Santo, anzi richiesero che fosse rifatta con nuove idee, altro disegno e altri ritrovati. E credo si giungesse alla cappella del 1350, affrescata da Stefano da Ferrara, che a detta dei contemporanei, era allora la più bella della basilica”.
Gonzati riferisce la traslazione del 15 febbraio 1350: “Il 15 febbraio 1350 avvenne un’altra traslazione del Corpo di S. Antonio ed è quella fatta dal cardinale Guido di Montfort, arcivescovo di Boulogne sur Mer, vescovo portuense, cardinale del titolo di santa Cecilia, e legato apostolico, riavutosi per intercessione d’Antonio da mortal malattia, volle a bella posta portarsi a Padova a porger azioni di grazie al suo liberatore. Vi giungeva egli nel 1350 quando compiuto l’abbellimento della cappella già edificata in onore del Santo, si pensava a farvi la dedizione col riporvi più decorosamente le sacre reliquie. Crebbe pompa alla funzione il Patriarca d’Aquileia b. Bertrando che in quel dì avea chiamato a sinodo provinciale nella nostra città i vescovi suoi suffraganei e tra essi l’arcivescovo di Zara fra Nicolò Matafari dell’Ordine dei Minori, Ildebrando Conti romano vescovo di Padova, fra Giovanni de Naso dell’Ordine dei Predicatori e vescovo di Verona ed altri vescovi e prelati. Il 15 febbraio fu il giorno destinato alla gran festa. In quel dì il cardinale vestito pontificalmente scoperchiò l’Arca santa ed estrasse di sua mano il Mento, questo collocò dentro un magnificentissimo busto d’argento fatto preparare a tal fine, aggiungendovi quell’osso del braccio che è detto il radio. Il restante delle sacre reliquie chiuse dentro piccole urne d’argento, ripose nell’Arca di marmo che forma tuttavia la mensa del santo altare. La sacra cerimonia fu celebrata con quella splendidezza che si conveniva alla fede dei tempi e alla devozione riprofusa verso il Taumaturgo, e all’illustre pellegrino che di principesco casato e in sì eminente dignità voleva testificare al mondo ne’ modi più luminosi i devoti sentimenti ond’era compreso. E sarà proprio da questa ricognizione che nascerà la tradizionale ricorrenza cosidetta “Traslazione delle Reliquie del Santo”, popolarmente nota come “Festa della Lingua” che viene celebrata non l’8 aprile, il giorno del suo ritrovamento da parte di s. Bonaventura, ma appunto il 15 febbraio. E padre Patassini a tal proposito scrive che la traslazione del 1350 è messa in dubbio, forse fin dal 1310 il corpo del Santo si trovava nel luogo attuale. Sicuramente il cardinale fece costruire un prezioso reliquario per il mento del Santo, portandolo poi in processione fino all’altare dell’Arca dove celebrò una messa solenne. E lo scrittore Zaramella dice che il giorno in cui avvenne la traslazione non era la ottava di Pentecoste, ma era proprio la solennità di Pentecoste”.
Alla terza traslazione del 1350 era presente Francesco Petrarca, come asserisce lo stesso in una delle sue lettere e precisamente la IX, 13 delle Familiares: “E’ qui da noi, come tu sai, il famosissimo padre Guido, vescovo di Porto, legato della sede Apostolica. Oggi con grande concorso di popolo ha trasferito il corpo di Antonio, frate minore, e sol questa fu la ragione di una sosta un po’ più lunghetta a Padova; a questa traslazione fui presente anch’io, uno dei molti che ammirarono la solennità e la importanza dei sacri riti. Domani egli riprenderà il viaggio [….] “ .
E padre V. Zaramella scrive invece “Francesco Petrarca stesso, che per motivi personali non si mosse di casa, si fece raccontare da amici che forse non erano stati presenti e prese lo spunto dal grande avvenimento per farne l’argomento di una sua lettera familiare. Naturalmente poi ritrattò quella lettera, dicendo che era solo un falso letterario “.
E anche Dino Cortese, nel suo articolo “Petrarca e le traslazioni di s. Antonio (Il Santo, 1978), conclude che “il poeta toscano non fosse presente in quell’occasione”. E padre Patassini dice” la festa della Lingua solitamente viene celebrata nella domenica più vicina alla festa liturgica e quest’anno il 16 febbraio. Tuttavia nei secoli la devozione ha messo al centro la reliquia della Lingua del Santo portata in processione anch’essa fino a fine seicento, miracolo evidente che offre spazio alla meditazione sull’importanza del linguaggio, sull’uso che ne facciamo e sulla predicazione così eloquenta e profonda di Antonio”.
Ma perché dopo la fine del Seicento la reliquia della Lingua non viene più portata in processione? Sartori riporta che in data 14 febbraio 1687 ” osservata la Lingua, si delibera di non levarla più dal suo nicchio nel Santuario” e ancora che “il 27 febbraio 1688 un teste afferma che il giorno della Lingua invece che portar la Lingua in processione portarono la reliquia del Mento. E il 17 marzo 1739 la presidenza dell’Arca delibera di non muovere mai più dal sito suo la Lingua del Santo, solo eccettuato il caso in cui dovrà esser trasportata nel nuovo Santuario (in quel periodo stavano ultimando i lavori per la costruzione della cappella del Tesoro, ove saranno trasferite tutte le reliquie il 20 giugno del 1745).
Nell’anno 1351 il capitolo Generale dei Minori, congregato a Lione, decretò che della traslazione fatta dal Cardinale Guido de Montfort si celebrasse perpetuamente l’officio il 15 febbraio. Coll’andar degli anni in questa commemorazione si comprendono eziandio tutte le altre traslazioni cioè quella fatta da s. Bonaventura del 1263, quella del cardinale Guido de Montfort del 1350 e quella del 20 giugno 1745 del cardinale Carlo Rezzonico, vescovo di Padova e futuro Clemente XIII quando tutte le reliquie dalla Sacrestia, furono traslate nella cappella delle Reliquie o del Tesoro. E a proposito di questo avvenimento così riporta De Azevedo “il cardinale Carlo Rezzonico, allora vescovo di Padova […] vestito pontificalmente, presenti tutti gli ordini del clero e della nobiltà e sorprendente concorso di popolo fece la solennissima traslazione dell’incorrotta Lingua del Taumaturgo e delle reliquie de’ santi dalla sagrestia, dove pel corso di cinque secoli erano state custodite e venerate, alla nuova cappella, dentro la quale si venerano presentemente”.
Nel 1470 i presidi dell’Arca giudicarono la cappella del Santo, in confronto alle altre cappelle, troppo povera di decorazioni, mentre doveva essere la più ornata e magnifica. Gli affreschi di Stefano da Ferrara erano deperiti e poco decorosi, non dicevano più nulla ai pellegrini. Passarono 27 anni e si accese maggiormente il bisogno di importanti ristauri. Arrivò a Padova, tra gli ultimi giorni di febbraio e i tre primi di marzo 1497, il generale dell’Ordine, fra’ Francesco Sansone, grande amatore delle arti e mecenate degli artisti; non tollerava che la cappella del Santo apparisse inferiore ad altre parti del Tempio; parlò con i rettori della Basilica e lasciò la somma di 3.000 ducati per il restauro. Si iniziarono i lavori che si completarono intorno al 1530: e una lapide posta nel presbiterio ricorda la traslazione. Ma nessuna altra memoria parla del modo con cui fu eseguito il trasporto delle spoglie del Santo, come nemmeno viene ricordato il luogo dove giacque il sacro deposito nei trent’anni che durò quel lavoro.
Gonzati così descrive la festa della Lingua: “Antichssima per origine tra le nostre feste è quella che si celebra nel 15 febbraio. Poiché essa risale al secolo XIII, quando cioè nel 1263 il cardinale s. Bonaventura, nella solenne trasposizione del Corpo di s. Antonio, ne scopriva intatta la Lingua. Nella mattina di questo giorno la Comunità religiosa e la Confraternita s’avviano processionalmente alla cappella delle sacre Reliquie, ove si custodisce eziandio la s. Lingua. Tra lo splendore dei doppieri, il fumar degli incensi, e il canto d’inni devoti, levasi dal santuario il gran busto d’argento dorato che rinchiude il Mento del Taumaturgo, e di là si trasporta al suo altare; sopra il quale rimane visibile a tutti durante il tempo che si canta la Messa. Indi coll’ordine stesso si riporta al luogo primiero, e si chiude la funzione salutando devotamente la s. Lingua colle medesime parole di s. Bonaventura.”
Emmanuele de Azevedo riporta che una volta la Lingua è stata involata dopo la ricognizione fatta da S. Bonaventura: “Indi a poco tempo cercando un generale dell’Ordine nostro occultamente portarla altrove, volendo uscir fora dalla chiesa con la lingua, che occultamente havea già tolta, non vedeva porta alcuna per la qual uscir potesse; onde confuso e dubitandosi di peggio, la pose sotto un certo altare nascosta; e questo suo secreto revelò a un frate comandandogli che a nissuno tal cosa revelar dovesse; remase la cosa così occulta trenta doi anni che della lingua non si seppe cosa alcuna; et mai dal luogo ove il Generale la pose fu remossa: e questo per divino consiglio finalmente venuto a morte il frate, a cui questo secreto era stata revelato, prima che morisse narrò alli circumstanti frati il tutto; i quali da quell’altare removendola in un bellissimo tabernacolo di cristallo la interclusero fornito riccamente di argento purissimo, e di folvo e finissimo oro ed oggi integra e sana tra le altre sante reliquie in la sacrestia del santo si vede”. E Azevedo aggiunge: “Si vede che quel generale voleva nobilitare qualche convento suo prediletto, ma il nostro Antonio ha voluto nobilitar sempre Padova”
E anche Gonzati riporta quello che scriveva a tal proposito padre Valerio Polidoro: “Un Generale dei frati minori aversi attentato rapire la santa lingua, ma esserne stato divinamente impedito: ché non vide né seppe modo di uscire dal tempio: non volendo poi discoprire il sacro furto, la celava sotto l’altar maggiore. Soggiunge il buon padre che quivi rimase incognita gran tempo, finché un cenobita, il solo consapevole dell’accaduto, in sul morire manifestò il sepolto tesoro”.
E questo avvenimento riporta alla memoria anche quando il 10 ottobre 1991 venne rubata la “Reliquia del Mento del Santo” da Felice Maniero, ritrovata poi settantuno giorni dopo ed esattamente il 20 dicembre 1991. E nella intervista del 27 settembre 2011 Maniero diceva: “Avevo ordinato di prendere la lingua del Santo, reliquia considerata più preziosa, anche per la venerazione dei fedeli, ma quegli zucconi mi arrivarono con il mento”.
La festa della “Traslazione delle reliquie di Sant’Antonio” è considerata la festa invernale del Santo e, come dice padre Patassini: “La giornata del 15 febbraio può essere considerata a giusto titolo la giornata antoniana della comunicazione, un invito a riflettere su come oggi comunichiamo e su quanto ancora ha da insegnare la vita e l’esperienza di Sant’Antonio”.
In definitiva le traslazioni sono state diverse, ma le ricognizioni sono solo due e cioè quella di s. Bonaventura del 1263 e quella del gennaio 1981, in occasione del 750° anniversario della morte di S. Antonio e con l’autorizzazione di S. Giovanni Paolo II.
Bibliografia
D. Cortese, Il Petrarca e le traslazioni di sant’Antonio di Padova, Il Santo, 18, 1978;
E. De Azevedo, Vita di S. Antonio di Padova Taumaturgo Portoghese, Venezia, Tip. Alvisopoli 1818;
B. Gonzati, La Basilica di Sant’Antonio di Padova descritta ed illustrata, Ed. A. Bianchi, Padova 1853;
M. Patassini, Festa della Traslazione di S. Antonio, Messaggero di Sant’Antonio, 15 febraio 2024;
Idem, La voce di Antonio, Messaggero di Sant’Antonio, 16 febbraio 2025;
V. Polidoro, Le religiose memorie scritte dal R. padre Valerio Polidoro Padovano, In Venezia, appresso Paolo Meietto, 1590:
A. Sartori, Archivio Sartori. Documenti di Storia e Arte Francescana, voll. I-IV, a cura di G. Luisetto, Padova, Biblioteca Antoniana, Basilica del Santo, 1983-1989;
V. Zaramella, Guida inedita della basilica del Santo. Quello che della Basilica del Santo non è stato scritto, Padova, Centro Sudi Antoniani, 1996.