I resti di Babele 19. Luigi Malerba. Quella sceneggiatura che poteva essere un romanzo

Gino Ruozzi ricorda che anche in Donne e soldati il tema della fame è decisivo: “Nel paese del castello intanto la gente langue per la fame” e la fame mette in discussione ogni cosa, lede ogni principio e morale, perché la fame è più forte della dignità.

Con sapienza critica, Ruozzi mette in relazione Poveri homini con le tematiche e le scelte linguistiche adottate da Malerba nelle sue opere, sostenendo, tra l’altro, la capacità di narrare e interpretare il medioevo, la lungimiranza con cui ha esteso l’età e il concetto di Medioevo dalla decadenza dell’impero romano alla rivoluzione industriale. Ma poi, ogni libro di Malerba è anche un’occasione per dire di lui o di altri libri suoi o di libri su di lui. Così, ora, qui, vorrei ricordare Il pallone di stoffa di Walter Pedullà, in particolare quel passo in cui dice che l’ italiano di Malerba era della marca nazionale più pregiata. Poi si chiede a che cosa pensasse quando con i suoi occhi che parevano uscire dalle orbite per vedere a centottanta gradi, osservava la vita quotidiana con la curiosità di un entomologo, estraendo leggi statistiche dalla ripetizione degli eventi e arrivando in anticipo sulle ossessioni con cui la dissennatezza si distrae dalla vita saggia, cioè naturale.

La sceneggiatura di Poveri homini non è diventata un film com’è successo per Il pataffio. Allora viene da domandarsi per quale motivo non sia diventato un romanzo. Aveva la struttura, i personaggi, il linguaggio. (Dice un personaggio dei Cani di Gerusalemme: “Il linguaggio, Ramondo, ricordatelo. Il linguaggio è tutto. Prima viene il linguaggio e dopo, se c’è, viene il mondo”). Sarebbe stato un bel romanzo. Come tutti i romanzi di Malerba. Un ricordo. Parlammo a lungo, un pomeriggio di giugno del Novantotto, nella sua casa romana di via Tor Millina. Era uscito da qualche giorno il libro conversazione dal titolo Elogio della finzione a cura di Paola Gaglianone, che si chiudeva con un saggio mio. Mentre andavo via mi parlava del linguaggio delle rondini di Lecce.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Giovedì 6 febbraio 2025]

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