di Pietro Giannini

Il 4 febbraio La Repubblica ha pubblicato una poesia di Grossman scritta a proposito delle operazioni di Israele nella Striscia di Gaza. Nell’intervista che la accompagna lo scrittore israeliano esprime il proprio sgomento per la situazione che si è creata e lamenta che ormai “non resta che vivere nell’odio”. Egli giustifica la sua scelta di esprimersi con una poesia, anziché con un articolo o un discorso, con il fatto che, “dopo “i massacri a cui abbiamo assistito, le parole non bastano” e che la poesia fosse la forma più adeguata per lanciare quello che egli chiama “un urlo”. Ma nei versi scritti si parla solo del dramma israeliano, della ferita del 7 ottobre.
Mi è venuto spontaneo commentarli con altri versi estemporanei.
No, Grossman, no.
I tuoi versi nascondono e confondono.
Urlano (lo dici tu) ma per chi?
Per chi sono le luci che tremano
i tunnel che ululano
il mondo nero e bianco?
Vi compatiamo: tu, tua moglie e il bambino
che avete paura di fuggire.
Ma per i morti di Gaza
nemmeno una parola?
Non sono anch’essi uomini,
ossa e carne viva,
maciullati sotto macerie infrante?
Non patiscono anch’essi la paura
d’esser banditi dalla loro terra?
Solo Israele ha diritto ad una patria?
No, il discorso non regge.
Metti giustizia nelle tue parole e dì
che anche Palestina deve vivere.
Almeno dillo e, se puoi, fallo.
Che il paesaggio lunare
tra cui passano in mesta litania
colonne di esuli sconfitti
ritorni in case e palme verdeggianti.
“Una rivoluzione ci vorrebbe”.
No, non bisogna cedere al destino.
In ogni momento
la storia può cambiare direzione.
Basterebbe avere occhi nuovi
per guardare il vicino, il confinante, il limitrofo,
ognuno il suo.
Questo basterebbe.
Basta tagliare i ponti con la storia:
non più passato, odi e risentimenti
tutto da riscrivere di nuovo.
E non dirlo impossibile.
Basta volerlo.
Tenta anche tu.
Tentiamoci tutti.