di Rocco Orlando
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Rinaldo (o Rainaldo) Scrovegni, capostipite della famiglia, dall’usura trasse tanti guadagni che contro di lui insorse Dante Alighieri che lo collocò nell’Inferno (canto XVII, terzo girone del VII cerchio dove sono puniti gli usurai). “Egli è quell’usuraio che d’una scrofa azzurra e grossa, segnato avea il suo sacchetto” (Inferno, canto XVII, vv. 64-75). Gli usurai, secondo il Sommo Poeta, si riconoscevano dal fatto che intorno al collo avevano un sacchetto decorato con il loro stemma. Rinaldo, quando un creditore non poteva restituire il prestito, veniva rimborsato in beni immobili, principalmente terreni. Fu una di queste terre, detta “peta de Scrufa”, ad attribuirgli il soprannome e poi, tra il 20 e il 30 del Duecento, a dare il cognome alla famiglia e lo stemma con la scrofa azzurra in campo bianco. E Dante individua Rinaldo proprio dallo stemma.
Rinaldo e sua moglie Capellina, figlia di Enrico Malcapella, ebbero nove figli. Tre maschi: Bellotto, Manfredo ed Enrico, e sei femmine. I maschi seguirono il mestiere del padre.
Le figlie erano Alessandrina, che sposò Frassalasta Capodivacca, Adeleta, che sposò Albertino Papafava da Carrara, Alice, che sposò Forzatè Forzatè, Leonora, che sposò Giacomo Patario, Beatrice, che sposò Vitaliano Dente- Lemizzi; inoltre c’era un’altra figlia di nome Costanza di cui non è noto il matrimonio. Gli Scrovegni con le strategie matrimoniali cercarono di consolidare sia la posizione sociale sia quella economica.