Baiadere in Gennaio

di Paolo Vincenti

Scennaru ssuttu se ccoje tuttu, secondo il detto popolare salentino. Ma questo gennaio, come del resto tutti gli altri mesi, è infestato da un insopportabile scirocco sicché il vento umido credo favorisca ben poco la raccolta (allora, scennaru muddhatu, furese rruvinatu). L’aria malata che si respira la mattina quando si apre la porta di casa smorza quel caldo tepore procurato dagli umori soppannati del sonno appena lasciato, sottrae davvero le energie e la voglia di fare, toglie il consiglio che, secondo il noto adagio, la notte porta, strappa l’oro in bocca che, secondo un altro adagio, il mattino ha con sè; insomma, quando si esce a ritirare il secchio della spazzatura, in quel clima malarico e umidiccio, si vorrebbe solo ritornare a letto e rimandare gli impegni lavorativi al giorno dopo. Se poi il paese è avvolto da una fitta coltre di nebbia, peggio mi sento. Quella pioggerella sottile che titilla il cranio e impregna di vapore acqueo i vestiti, gli scialli, le scarpe, rende sgradevole il pensiero di dovere attraversare la giornata, sicché, se fosse possibile, chiunque annullerebbe tosto gli impegni e gli sposatmenti in macchina, che diventano più rischiosi con la scarsa visibilità. Non tutti, però, hanno il privilegio di potere organizzare la propria giornata a seconda degli umori o degli agenti atmosferici: in genere chiunque deve seguire una tabella di marcia già fissata, una prestabilita agenda giornaliera. Ieri, mentre meditavo sugli scherzi del tempo che subiamo qui a sud, e ristavo, tutto preso da simili burbanze, nel paesaggio bircio che mi si stagliava davanti, in quel vedo-non-vedo tipico dell’ora primomattutina, quando la foschia allaga la città, mi è sembrato di scorgere una figura femminile a me famigliare procedere a grandi passi verso casa mia sulla strada principale. In realtà, man mano che si avvicinava mi diveniva più chiaro che non si trattava di un’amica o una parente, bensì di una perfetta sconosciuta. Avevo scambiato le sue fattezze per quelle di una donna a me cara. Ero stato confuso dalla caligine che rende i contorni incerti, come quando si ritorna al tramonto a casa, in macchina, e nel lusco e brusco dell’ora non si afferrano perfettamente le fattezze delle cose e le fisionomie delle persone. Si trattava di una bella donna, a giudicare dalla sua silhouette.

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