“Mi sono spremuto/fino all’ultima stilla/per crescermi Uomo”

È alla campagna che ritorna per ritrovare la dolcezza del ricordo, gli affetti familiari, il calore del nido, il ciclico ed esiodeo ripetersi delle opere contadine. Eppure gli è dolce anche la città, la “sua” città: “La mia città ha un cuore tenero/anche se produce acciaio. Cercatela/nelle vaste campagne di uliveti e vigneti/e sui rugosi volti dei pescatori/che si annidano nell’antico borgo./La mia città ha un cuore tenero/anche se produce acciaio”. E’ nel valore concessivo di “anche se” che crolla quel trasporto, svanisce come le scintille che lavorano l’acciaio che la sua città produce. Ma Taranto non è solo città d’acciaio. E’ anche la Magna Grecia dei poeti, del sole che inonda i campi, è la città dello Ionio “quando, d’estate,/si tinge di blu cobalto/e si culla come un bambino/nelle braccia della Madre./E mi fioriscono gli occhi/nel tripudio del giorno”. Angelo Lippo (che ha scritto per “La Gazzetta del Mezzogiorno”, “Il Tempo”, “La Tribuna”, “La Tribuna del Salento”, “Il Corriere del Giorno”, “Il Gazzettino dello Jonio” e le riviste di cultura “Lunarionuovo”, “L’informatore librario”, “Impegno ’70”, “Spirali”, “Oggi e domani”, Polimnia” e “Silarus”) fu giornalista e critico d’arte per passione. Ma fu poeta perché non avrebbe potuto essere altro. Perché solo con la poesia poteva raccontare le contraddizioni del suo tempo di violenza e di mitezza, inaridito dal consumismo e illuminato dall’innocenza delle “spalle abbronzate dei contadini”. Angelo Lippo leggeva Caproni, Fortini, Sereni, Luzi, Montale, Pasolini, Borges, Vittorini, Sciascia, Pavese. E di questi autori avrebbe meritato la fortuna, perché Angelo Lippo è “uomo del Sud” e poeta del Sud. Ma è anche poeta della Storia e nella Storia e in essa e da essa merita di essere ricordato. Con Le radici nel cielo, scrive Simone Giorgino, ritornano le poesie di Angelo Lippo “tutte da riscoprire, che oggi tornano finalmente nelle disponibilità dei lettori”. Dopo la morte del nonno, Angelo Lippo credeva che di lui sarebbe rimasto solo “il fieno/masticato dai tuoi cavalli/bianchi e neri cavalli/dal muso bagnato”. E che la goccia non sarebbe divenuta mare e la foglia albero. Invece la goccia è divenuta mare, la foglia albero. Il bambino è diventato poeta.

[“l’immaginazione”, gennaio-febbraio 2025]

Questa voce è stata pubblicata in Recensioni e segnalazioni e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *