Una lettera di… 18. Una lettera di Francesco Saverio Dodaro

Nel 1976 fondò a Lecce, dove risiedeva, il Movimento Arte genetica a cui aderirono numerosi operatori (salentini e non) provenienti da settori diversi (arte concettuale, land art, narrative art, poesia sperimentale, nuova scrittura) ma accomunati dall’ipotesi, formulata da Dodaro nel suo manifesto di fondazione, dell’esistenza di profonde implicazioni genetiche all’origine di ogni manifestazione artistica. Nel suo manifesto egli, infatti, aveva sostenuto che «le prime manifestazioni d’arte sono suoni, ottenuti da percussione, riproducenti il tempo genetico, cioè il battito materno ‒ scansione cardiaca che è l’unità di misura dell’armonia», e ancora che il linguaggio «è una congiunzione, il tentativo di riunificazione con la madre».

Organo del movimento fu il periodico  «Ghen-arte», di cui uscirono tre numeri nel 1977, nel ’78 e nel ’79. Saverio, che già conoscevo, me li fece avere e sul numero del 30-31dicembre 1979 del «Quotidiano di Lecce», dedicai a questo singolare giornale a struttura modulare un articolo, dal titolo (redazionale) piuttosto improbabile, «Ghen» e l’arte genetica. Parlando il battito del ventre materno. All’inizio scrivevo così:

«Originale nella veste tipografica esterna (a struttura modulare) e nei contenuti “Ghen” non ricalca gli schemi consueti delle tradizionali riviste di arte figurativa e/o di letteratura ma, in sintonia con le più recenti esperienze si colloca in uno spazio intermedio, inter-estetico nel quale sono annullate le distinzioni fra le varie arti, in nome di quella “perdita dello specifico” che sembra contrassegnare tutta la più valida sperimentazione artistica di questi ultimi tempi».

Poi passavo in rassegna i tre numeri del periodico e osservavo che mentre il primo  numero, apparso nel febbraio del 1977 era prevalentemente composto «di articoli e contributi teorici», tra i quali quello del fondatore, il secondo «era più ampiamente articolato e dava largo risalto alle collaborazioni giunte dall’estero». Nella seconda parte dell’articolo poi mi soffermavo sul terzo numero che sviluppava «i temi dei primi due e ne proponeva degli altri, presentando dei contributi tutti ugualmente stimolanti, anche se non sempre perspicui, con qualche oscurità e compiacimento di troppo».

In particolare, citavo il lungo articolo di Dodaro, Codice di Yem, in cui egli «riprende il problema del rapporto tra origine del linguaggio e componente genetica, giungendo alla conclusione […] che il codice fonematico viene appreso dal bambino nel ventre della madre, essendo il codice primario proprio il battito materno. L’autentica radice dell’arte starebbe quindi, secondo lui, nel meccanismo della ripetizione che cerca di ricongiungere, di rifondare la coppia originaria. Collegata a questa singolare elaborazione teorica è la Dichiarazione onomatopeica dello stesso autore, vergata con inchiostro rosso sulla prima pagine di “Le Figaro” su cui apparve, com’è noto,  nel 1909, il manifesto di fondazione del Futurismo al quale in tal modo il Movimento Arte genetica mostra di volersi, si pure idealmente riallacciare». Alla fine citavo gli altri contributi e gli altri operatori presenti sul periodico.

Saverio fu molto contento dell’attenzione che avevo dimostrato nei suoi confronti con questo articolo che fu, penso, l’unico apparso su «Ghen» e il suo movimento e da allora mi fece avere puntualmente tutte le sue pubblicazioni, come il periodico ligure che continuava «Ghen», dal titolo «Ghen res extensa Ligu«, diretto da Rolando Mignani, di cui a Genova, tra il 1981 e l’85, uscirono cinque numeri e, nel corso degli anni, tutte le numerose collane da lui fondate e dirette, nonché alcune sue creazioni originali.

Nel 1985, nella collana di testi d’avanguardia “Le brache di Gutenberg”,  diretta da Luciano Caruso per l’editore Belforte di Livorno, uscì una sua opera, Disianza congiuntiva, contenuta in una cartella di soli 25 esemplari con una poesia di Caruso, che il 4 maggio di quell’anno presentai alla Biblioteca provinciale “N. Bernardini” di Lecce. Su questa collana scrissi anche un articolo che apparve sul «Quotidiano di Lecce» il 29 maggio 1985, con il titolo redazionale, anche questo piuttosto infelice, Se Gutenberg sapesse. A proposito di questo lavoro, di cui mi donò l’esemplare n. 7, così scrivevo:

«Qui Dodaro sviluppa, in due serie distinte, un motivo a lui caro e lungamente al centro della sua riflessione: il desiderio di ricongiunzione con la madre. E mentre la serie con la radice dis è quella del distacco, della scissione, della dissociazione, la serie con la lettera e rappresenta invece il polo opposto, quello della ricongiunzione, della riunificazione. Da notare, in quest’opera, il supporto di cartapesta, che rinvia a una precisa realtà culturale e ambientale, quella salentina, e il contrasto tra il bianco del fondo e il nero dei dispersi frammenti delle lettere che paiono in cerca anch’essi dell’originaria unità perduta».

Lo stesso anno Saverio mi chiese di scrivere una nota di commento sulla sua Dichiarazione d’innocenza, che apparve insieme ad essa nel n. 2-3 del marzo-giugno 1985 della rivista «Pensionante de’ Saraceni» di Antonio L. Verri. Qui, dopo averlo brevemente presentato, così scrivevo di questo testo:

«Una forma d’espressione tipica di Dodaro è la “dichiarazione”, che sta a mezza strada tra il manifesto e la composizione creativa vera e propria […]. Anche qui Dodaro col suo “scafo” immaginario, compie la consueta scorribanda nella letteratura e nel pensiero filosofico mondiale, senza limiti di tempo e di spazio (si va dal Libro dei morti, riscoperto e reinterpretato come testo surrealista ante litteram, a Breton, da Jacopone a Propp, a Frazer, a Lacan) alla ricerca degli archetipi della cultura e del linguaggio. In essa egli propone un capovolgimento dell’interpretazione del Pianto della Madonna di Jacopone da Todi, sostituendo al lamento della madre che piange per il figlio morto, quello del figlio per la perdita irrimediabile della madre. Al tempo stesso offre un’originale spiegazione del pianto, mettendo in relazione lo sgorgare delle lacrime con un inconscio desiderio di ritorno alle acque amniotiche, analogamente a quanto avviene nei riti di comunione e purificazione di varie religioni.

Va sottolineato inoltre – continuavo ‒ il tono intensamente lirico della composizione, la quale non mira alla dimostrazione logica delle tesi esposte, ma è tutta basata su una serie di immagini assi suggestive e sulle martellanti iterazioni, che rinviano anch’esse, secondo Dodaro, al tempo genetico, al battito materno».

Quando, nel 2005, ripubblicò la sua Dichiarazione d’innocenza (leggi allegato), come primo numero della collana “Locandine letterarie”, Saverio Dodaro la dedicò a me. Ma questa è solo una delle numerose collane da lui  ideate e realizzate tra il 1981 e il 2000, nelle quali, quasi sempre, conta più l’idea che la concreta realizzazione e la qualità delle singole opere, come d’altra parte succede con i movimenti d’avanguardia. Esse sono un tentativo di contaminazione tra  arti e settori diversi (la poesia, la narrativa breve e brevissima, la grafica, la pubblicità, il giornalismo, la fotografia), anche attraverso l’utilizzazione di nuovi media, come Internet, nel tentativo di adeguare costantemente la comunicazione poetica e letteraria alle novità tecnologiche dei nostri tempi.

Ne do l’elenco: “Violazioni estetiche” (1981); “Scritture” (1989) e “Spagine” (1991), quest’ultima curata insieme ad Antonio Verri,  definite di “nuova scrittura”; “Compact Type” (1990), “Diapoesitive” (1990) e “Mail Fiction” (1991), anche queste curate insieme a Verri, definite di “nuova narrativa”; “Mail Poetry” (1991), “Wall Word”(1992), “International mail stories” (1993), “Internet poetry” (1995), “Walkman fiction. Romanzi da ascoltare” (1995), “European literature” (2000) e “Pieghe narrative” (2001) «Pieghe poetiche» (2001), «Pieghe della memoria» (2001), «Foglie nude» (2003), «Locandine letterarie» (2005), «Romanzi nudi» (2006-07), «Carte letterarie» (2009); «792 Mail theatre» (2009), «New Page. Narrativa in store» (2009), «New Page. Theatre in store» (2010).

Successivamente cercai di storicizzare l’esperienza di Dodaro, collocandola all’interno di un periodo piuttosto vivace della cultura artistica e letteraria salentina, tra gli anni Settanta  e i primi anni Duemila, anche se privo di figure di particolare rilievo. Ne parlai nei seguenti lavori:  L’attività letteraria nel Salento (1970-2005) e Due riviste sperimentali degli anni Settanta: «Gramma» e «Ghen» (in Modernità del Salento. Scrittori, critici, artisti del Novecento e oltre, Galatina, Congedo, 2009); La Puglia e la poesia visiva (in Scritture meridiane. Letteratura in Puglia nel Novecento e oltre, Lecce, Edizioni Grifo, 2020).

Ma veniamo ora, per finire, al motivo del turbamento da lui confessato nella lettera, nella quale traspare anche un senso di amarezza nei confronti dell’ambiente culturale leccese che riteneva da sempre ostile verso di lui. Essa contiene notizie preziose sulla sua formazione e sulle tappe principali sua attività (Bari, Bologna, Parigi, Lecce), tra teatro, pittura, letteratura e sperimentazione poetico-visuale. Nel corso della presentazione del volume curato da Catalano, Letteratura del Novecento in Puglia. 1970-2008, in effetti, avevo collocato Dodaro tra gli “artisti” che operavano nel Salento, perché mi sembrava che la qualifica di “scrittore” non rispecchiasse in maniera precisa la sua personalità e di questo sono ancora convinto. La sua attività si colloca infatti, a mio avviso, all’incrocio di varie discipline, cioè proprio all’interno di quello spazio inter-estetico di cui avevo parlato nel mio articolo su “Ghen”. Ma Dodaro evidentemente si sentiva più uno scrittore che un artista e nella lettera rivendicava proprio questo aspetto che invece, a suo giudizio, lo caratterizzava.

Questo episodio non incise però sui nostri rapporti che rimasero cordiali anche dopo. L’ultima volta che lo vidi fu un paio di mesi prima della morte. Lo incontrai per strada e mi fermai per salutarlo. Fu, come sempre, gentile e affettuoso.

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1 risposta a Una lettera di… 18. Una lettera di Francesco Saverio Dodaro

  1. Antonio Devicienti scrive:

    Apprezzo molto il fatto che “Iuncturae” dia voce pubblica a scambi epistolari illuminanti per capire diversi aspetti di relazioni, fatti, realizzazioni artistiche e culturali; in questo caso in particolare ricordare chi (e che cosa) sia stato Dodaro è altamente meritorio, anche perché la cultura salentina (e non solo) può vantare proprio in questi anni uno spazio web come UTSANGA che esplicitamente si richiama e s’ispira alla lezione umana e artistica di Francesco Saverio Dodaro puntando lo sguardo su ricerche che si muovono travalicando i confini tra i generi e tra le arti e che posseggono un respiro sovranazionale.

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