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Non metterei direttamente a confronto una motocicletta e i telescopi per cui tornisci lenti, eppure hanno in comune una serie di caratteristiche: hanno bisogno entrambi di essere puntati con cura, entrambi riducono la distanza, ad entrambi offrono un tunnel di attenzione e la sensazione della velocità.
Quando smetti di guardare attraverso il telescopio, anche se stai osservando attraverso un telescopio, anche se stai osservando una linea costiera o una stella fissa, quando smetti di guardare attraverso la lente hai l’impressione che la vista rallenti. Nel tunnel della velocità c’è anche una specie di silenzio, e quando scendi dalla moto o togli l’occhio dall’oculare, i suoni ripetitivi e lenti della vita quotidiana ricompaiono, e quel silenzio svanisce […] Per anni sono stato affascinato da un certo parallelismo tra l’atto di pilotare una moto e l’atto di disegnare. È un parallelo che mi affascina, perché può rivelare un segreto. A che proposito? A proposito di movimento e visione. Guardare avvicina. […] Una moto la piloti con gli occhi, con i polsi e con l’inclinazione del corpo. Gli occhi sono i più importuni dei tre. […] Se guardi fisso un ostacolo che puoi evitare, corri seriamente il rischio di andare a sbatterci contro. Cerca con calma un modo per scansarlo e la moto prenderà quella strada. […] L’atto di disegnare. Ogni contorno fisso è in natura arbitrario e temporaneo. Quel che si trova sull’uno o sull’altro dei suoi versanti cerca di spostarlo spingendo o tirando. […] La sfida consiste nel mostrarlo, nel far vedere sulla carta o sulla superficie da disegnare non solo cose riconoscibili e distinte, ma anche che l’estensivo è un’unica sostanza. E, essendo un’unica sostanza, tormenta l’atto di disegnare» (Sulla motocicletta, op. cit. pp. 85 – 88).
Sono passaggi tratti dal testo-racconto Blackbird, leggibile anche nel Taccuino di Bento (Neri Pozza Editore, Milano 2014), dove Bento è il nome con cui veniva familiarmente chiamato Spinoza e Blackbird la motocicletta di John Berger: disegnare, andare in motocicletta, scrivere sono dunque atti conoscitivi che accadono more geometrico, la velocità non ha niente a che fare con la fretta o con l’altro tipo di velocità, maligno, imposto dai ritmi di produzione e di consumo, né con quel tipo ancora di velocità che pretenderebbe di dover scattare per primi al semaforo o superare tutti i veicoli in strada, la velocità com’è qui intesa è, addirittura, manifestazione del silenzio e della concentrazione mentale, viaggio del corpomente traverso i luoghi e incontro con le persone.
Non è un caso, allora, che Sulla motocicletta (e il titolo suggerisce una doppia interpretazione: “in sella alla motocicletta”, oppure “intorno alla motocicletta”) offra racconti e testi di John Berger, suoi disegni relativi al tema e fotografie, insieme con interventi e riflessioni di persone che conoscevano Berger e la sua passione, compreso il bello scritto conclusivo di Maria Nadotti.
Come sempre John Berger celebra la vita e, con lei, la gioia che dona lo sguardo sul mondo, rivendica la libertà che, sola, dà senso alla scrittura e al viaggio, racconta il rapporto del corpo con la motocicletta, della mente con la motocicletta, ci fa capire come siano parti di un rito solenne il colpo del piede sul cavalletto, la messa in moto, i mutamenti precisi e impercettibili dell’inclinazione del corpo, l’intesa con l’eventuale passeggero, ma anche la scelta dei guanti: i guanti del motociclista possono essere allora protagonisti di una visita alla tomba di Borges a Ginevra, per esempio, oppure si può leggere la suggestiva ipotesi che i motociclisti siano gli eredi diretti dei cavalieri, o, ancora, ogni lettore sarà in grado di riconoscere in questi scritti le differenti ways of seeing che John Berger propone – a ragion veduta faccio riferimento al titolo delle trasmissioni che la BBC mandò in onda nel 1972 e che resero famoso Berger, ché da quelle riflessioni deriva un modo di rapportarsi col mondo libero da pregiudizi e da condizionamenti, esattamente come l’andare in motocicletta libera l’individuo dalle costrizioni: «Dopo qualche ora di guida attraverso la campagna, avete l’impressione di esservi lasciati alle spalle non solo le città e i villaggi da cui siete passati. Vi siete lasciati alle spalle certe costrizioni familiari. Vi sentite meno terrestri di quando vi siete messi in viaggio» (pp. 37 e 38) o lo porta in luoghi che si guardano in modo inedito: «[…] ricerca di un territorio che sta tra il familiare e il mai visto. E, per raggiungerlo, bisogna viaggiare in un modo speciale.
Non basta guardare da una finestra. E non vi ci porterà nessuna autostrada. Nessuno vi saprà dire come arrivarci, dal momento che non sapete che indicazioni chiedere. In questo viaggio un sentiero troppo battuto è un monito a starne alla larga piuttosto che un invito a imboccarlo. Allo stesso tempo, non è detto che si tratti di un luogo desolato o selvaggio. Può essere proprio lì accanto, dove il panettiere parcheggia regolarmente la propria automobile. L’arte consiste nell’arrivarci per caso. È così che lo si coglie di sorpresa, e che la sua sorpresa ci sorprende.
[…] ho l’impressione di esserci appena arrivato in motocicletta, che è a sua volta un modo particolare di viaggiare. Salvo l’equipaggiamento protettivo che indossate, tra voi e il resto del mondo non c’è nulla. L’aria e il vento premono direttamente su di voi. Siete nello spazio in cui state viaggiando. Intorno a voi non c’è nessun involucro. Inoltre, essendo su due ruote e non su quattro, siete molto più a contatto con il terreno. Non necessariamente più vicini. […] Quando dico “a contatto”, voglio dire che il rapporto di intimità è maggiore” (pp. 33 e 34).