Il SATOR AREPO di Cavallino e gli altri SATOR del Salento

Dopo aver accennato alla diatriba scoppiata negli anni 1940/50 tra Jérôme Carcopino (difensore delle origini cristiane del Sator) e H. Leclercq (fermo detrattore di ciò), anche Ravasi prende posizione, affermando che «si è sempre più convinti della tesi del Carcopino e della matrice cristiana della palindrome criptografica del Sator Arepo»7.

Nell’assumere tale posizione, il cardinale dà sostanzialmente valore testimoniale al saggio della Sacchi Zaffarana che, nella sua premessa, aveva scritto: «Come per la Sacra Sindone anche per il Sator arepo il certo s’intreccia all’incerto e tuttavia il velo di mistero che si adagia sulle ombre lasciate dalla storia, nulla sottrae all’ineffabile fascino che li accomuna. Si direbbe, anzi, che l’infittirsi degli studi storici e scientifici e degli appassionati confronti che ne scaturiscono, tragga rinnovato stimolo proprio dal fascino suggestivo che suscita la duplice natura, storica e religiosa, del mistero che racchiude la fonte originaria di questi particolarissimi documenti della cristianità»8.

L’autrice è convintissima di ciò che scrive, tanto che il suo saggio si apre proprio con una dichiarazione di principio: «Il “quadrato magico” è l’affascinante palindrome criptografica, ideata dai cristiani, nei primi tre secoli dell’impero romano, come ingegnoso artificio per proteggere i segreti della loro fede dagli oltraggi profani e dalla minaccia di persecuzioni. La sua concezione rientra appieno nell’ambito della simbologia religiosa adottata dai cristiani della Chiesa primitiva, per celare il loro credo. […] L’originale significato religioso del “quadrato magico”, interamente affidato ai simboli e al criptogramma in esso celati […] è rimasto ignorato sino ai primi decenni del nostro secolo, mentre la sua diffusione è documentata in molti esemplari nel corso del Medioevo e nei secoli successivi sino alla fine del 1800»9.

La Sacchi Zaffarana fa poi una puntuale spiegazione della bontà della sua tesi interpretativa sulla quale, personalmente, non ho nulla da obiettare o aggiungere in quanto anch’io convengo sull’origine cristiana del Sator e sul significato della parola Tenet in forma di croce9 bis presente al centro del palindromo. Diversa interpretazione (geometrico-matematica) delle origini del palindromo dà Francesco Pasca o, quantomeno, è quanto egli intende farci scoprire, e ciò è facilmente verificabile leggendo le pagine del libro, comunque il terreno delle interpretazioni del pentagramma è oggi ampiamente seminato tanto da andare da chi pensa che esso sia precristiano, quindi legato a pratiche rituali tribali, chi invece pensa che esso sia la costruzione di un simbolo mitico legato ai rituali esoterici e mistici.

In questa sede a me interessa soffermarmi, piuttosto, sia pure in modo sommario, sulle indicazioni che la Sacchi Zaffarana dà dei ritrovamenti degli esemplari finora rinvenuti. È importante l’indicazione da lei messa in nota rispetto all’«elenco completo e commentato degli esemplari del “quadrato magico” dal Medioevo alla fine dell’Ottocento»10. Ovviamente, si tratta di un vecchio elenco, valido per il tempo in cui è stato redatto, perché oggi abbiamo elenchi di rinvenimenti del palindromo molto più aggiornati. Tuttavia, quello del de Jerphanion è indicativo dell’interesse destato negli studiosi del suo tempo.

Secondo la Sacchi Zaffarana i primi due “quadrati magici” furono «rinvenuti fra le rovine romane di Cirencester (l’antica Corinium Dobunorum, fondata al tempo di Nerone nell’attuale Gloucestershire. L’esemplate del “quadrato magico” è stato rinvenuto inciso sull’intonaco dei resti d’una casa di epoca romana) in Britanna nel 1868 e di Dura Europos (la cittadina di Dura Europos incorporata da Traiano nell’impero e annessa nel 165 alla provincia di Siria, fu completamente distrutta dai Parti poco dopo il 256. Dei quattro esemplari del “quadrato magico” rinvenuti fra le sue rovine, tre sono scritti in lettere latine ed uno in lettere greche) sulle rive dell’Eufrate nel 1932, la datazione del III secolo è pressoché unanimemente accolta. Della stessa epoca, o poco più tardi, si ritiene che sia anche l’esemplare scoperto a Roma negli anni sessanta, sotto la Basilica di Santa Maria Maggiore (il “quadrato magico” è qui presente fra molti altri antichi graffiti, sulla parete di un ambiente databile al III o IV secolo)»11.

In forma problematica la Sacchi Zaffarana introduce la datazione «dei due esemplari scoperti a Pompei nel 1936, graffiti sullo stucco di una colonna della Grande Palestra e nel portico della casa di Paquio Proculo (dei due esemplari di Pompei, quello della casa di Paquius Proculus è mutilo, appare invece integro l’esemplare inciso su una delle colonne della Palestra, sicuramente più antico e forse anteriore al terremoto che nel 62 danneggiò gran parte degli edifici della città, sembra, inoltre, essere stato scritto dalla stessa mano cui appartengono i due vicini graffiti, che rivolgono un saluto ad un certo Sautranus)»12.

L’altro “quadrato magico”, commentato dalla Sacchi Zaffarana è da lei così descritto: «lo studioso J. Szilágyi nel 1954 scoprì ad Aquincum (dal nome della celtica Akink – acqua abbondante – sorgeva nella zona dell’odierna Budapest) un nuovo esemplare del “quadrato magico”, inciso nell’argilla fresca di una tegola che si trovava fra le rovine del palazzo del governatore»13.

Un altro attento studioso del Sator come “simbolo” delle origini cristiane è Rino Cammilleri, il cui saggio14 sul “quadrato magico” è prefato da Vittorio Messori15, il quale autorevolmente sostiene la stessa tesi della Sacchi Zafferana, cioè: «sia come appare (con quei due TENET che si incrociano), sia, soprattutto, come rivela la sua “soluzione” (i due PATERNOSTER, essi pure incrociati), c’è nel Quadrato un richiamo preciso a quello che fu il simbolo cristiano sin dalle origini. […] Nato agli esordi, in penombra, della fede nel Cristo, questo Sator Arepo sembra avere qualcosa di importante da dire (e, forse, di non ancora interamente esplorato) a chi, oggi, si ostini a tenere fermo nella sua scommessa sul vangelo»16.

Sull’interpretazione del Sator quale simbolo cristiano o altro non mi soffermo più di tanto, ciò che a me invece interessa qui, per spiegare l’intreccio del mio percorso con quello dell’autore del libro, cioè Francesco Pasca, è cercare di leggere i modi e le occasioni attraverso cui gli studiosi contemporanei sono arrivati al “quadrato”. Il saggio di Camilleri ci facilita la lettura quando scrive che «nel 1936 fu rinvenuto, negli scavi di Pompei, uno strato graffito. Uno, tra innumerevoli altri. […] Ma quello che qui ci interessa è una specie di gioco di parole tracciato su una delle colonne della Grande Palestra. Una tra le tante scritte che costellano quella colonna e le altre. Pochi centimetri quadrati di lettere, a circa un metro e mezzo da terra. Questo graffito, solo questo, attirò subito un’attenzione che non è più scemata. [a questo punto l’autore evidenzia nella ormai nota formula il quadrato nella scansione delle parole: ROTAS/ OPERA/ TENET/ AREPO/ SATOR]. Gli archeologi si avvidero immediatamente che si trattava di una vecchia conoscenza. Era il cosiddetto Quadrato magico, una formula nota da un paio di millenni e che da un paio di millenni faceva impazzire tutti quelli che cercavano di tradurla o di penetrarne il significato»17.

Il riferimento ai millenni di storia del “quadrato magico” è dovuto al fatto che gli scavi di Pompei riguardano vestigia risalenti al 79 d. C., anno in cui la città fu distrutta dall’eruzione del Vesuvio, per cui, se i graffiti sono stati effettivamente incisi sulle colonne prima di quell’anno, è facile quindi arguire una datazione più o meno certa.

I ritrovamenti del Sator citati da Camilleri nel suo saggio sono rintracciabili «in un manoscritto latino dell’882 conservato presso la Biblioteca nazionale francese. Paracelso18 lo usava come talismano erotico. Girolamo Cardano19 nel suo De rerum varietate lo consigliava come rimedio contro la rabbia. Un càtaro20, l’albigese Qiroi, lo incise su una pietra esterna della chiesa di San Lorenzo a Rochemaure. Lo si vede sul pavimento della sacrestia della pieve di Tremori, ma anche a Capestrano, a Magliano21, in una chiesa a Verona, in diversi edifici sacri medievali francesi e inglesi. È conosciuto in Egitto e in Abissinia, è stampato su una Bibbia carolingia, è dipinto in una cappella dell’Inquisizione spagnola, campeggia su una moneta dell’imperatore Massimiliano II, è scolpito sul fondo di un’antica coppa d’argento trovata nell’isola scandinava di Gotland. E ancora: su un muro della cattedrale di Siena (sul cui pavimento è raffigurato anche il leggendario Ermete Trismegisto22), su ruderi in Francia, a Budapest e in Asia Minore, nell’antica Corium (oggi l’inglese Cirencester), eccetera»23.

Interessante è la spiegazione che Camilleri dà della possibile origine cristiana del “quadrato magico”. Scrive: «Il fatto che sia stato ritrovato nell’antica Pompei ci dà una data precisa, il 79 d. C., anno in cui il Vesuvio seppellì la città. Ciò vuol dire che quel Quadrato era già noto prima di tale data, e riconoscibile da parte dei suoi destinatari. Significa che: a) la principale preghiera cristiana era già in uso tra i fedeli; b) essa era già, per loro, “speciale”; c) la croce era già venerata dai cristiani; d) il latino era già, col greco, una delle lingue della liturgia; e) la simbologia dell’alfa e dell’omega era già pacifica. […] Il Quadrato si presenta in due versioni: quella più remota inizia con la parola “rotas”; dal medioevo in poi la prima parola è “sator”. È significativo il fatto che non si conoscano esemplari precedenti all’era cristiana: il nostro Quadrato sembra comparire col cristianesimo. In particolare a Pompei. Uno di tali esemplari è un resto di graffito scoperto nel 1925 sul colonnato meridionale della casa del pompeiano Publio Paquio Proculo. È di età neroniana, quindi di un periodo compreso tra la metà del I secolo e il 79 d. C., l’anno del cataclisma. Sono leggibili solo le lettere “enet, repo, ator”. Un altro […] è inciso su una colonna della Grande Palestra sita a ovest dell’anfiteatro, sempre a Pompei. Scoperto nel 1936, è intero. È di età augustea, dunque della prima metà del I secolo. Segue un mattone trovato nel 1952 nell’antica Aquincum, vicino Budapest. Faceva parte di un muro del palazzo del governatore della Pannonia Inferiore. La decorazione del mattone reca graffito un Quadrato intero, databile al 107-108 d. C. Tre Quadrati, di cui uno in rosso, sono graffiti sul muro esterno di una stanza usata come archivio di truppa della XX coorte Palmyrenorum a Dura Europos sull’Eufrate. Furono rinvenuti durante gli scavi del 1932 al tempio di Artemide Azzanathkona. L’anno seguente vi fu trovato un quarto Quadrato, scritto in maiuscole greche. […] Nel 1960 un Quadrato fu trovato a Roma, nel corso degli scavi sotto la basilica di Santa Maria Maggiore. È databile al III o IV secolo. Dello stesso periodo è il Quadrato scoperto nel 1868 sul muro di una casa romana a Corinium Donuborum, oggi Watermore presso Cirencester, nell’inglese Gloucestershire. La casa in questione è della seconda metà del I secolo. Non si conosce la data di un graffito trovato nel 1968 dipinto sull’intonaco di una fontana nella Place Abbé-LaRue a Lione. È rimasta solo la parola “sator” e la forma non era sicuramente quadrata. […] Ancora di attribuzione incerta, ma sicuramente medievali, due Quadrati rinvenuti in Francia, a Rochemaure e a Jarnac. Lo stesso vale per il Quadrato trovato a Lullingstone Manor, vicino Eynsford, nel Kent. Dicevamo dei papiri e degli amuleti copti ed etiopici. La formula contenuta nel Quadrato […] godette di larga diffusione tra i cristiani dell’Alto Egitto: lo attestano i numerosi esemplari ritrovati e le molte iscrizioni. Addirittura l’ortografia vi è spesso storpiata, segno che ci si preoccupava ormai solo del suo valore “magico”. Tuttavia, molti sono gli esemplari ancora in forma di quadrato. Per esempio, un óstrakon (pezzo di coccio) egiziano copto, scritto in caratteri greci: l’esemplare ha una croce in alto a destra. È conservato a Berlino, così come un amuleto di bronzo proveniente dall’Asia Minore e recante un Quadrato, due pesci, l’alfa, l’omega e altri segni cristiani. Ancora un Quadrato custodito a Berlino: è un amuleto in pergamena, usato come protezione contro le malattie, forse proveniente da Hermopolis. Sempre a Berlino c’è una striscia di pergamena del VII secolo: qui il tutto è scritto in greco ma non in forma quadrata. A Vienna ci sono otto papiri del VI secolo, con alcuni Quadrati scritti in forma lineare. Per completezza, dobbiamo citare anche il cosiddetto papiro Yale, del VI-VII secolo, contenente un incantesimo contro il morso dei serpenti; il Quadrato rinvenuto in una camera funeraria presso Faras, nel deserto nubiano, databile al 739 d. C.; un óstrakon copto di pietra calcarea, conservato al museo del Cairo; uno nel British Museum. Sempre copti sono una pergamena custodita a Londra e un incantesimo di distruzione, su carta, conservato ad Heidelberg»24.

L’elenco dei rinvenimenti del “quadrato magico” compilato da Camilleri continua oltre, ma è necessario fermarsi qui perché, come egli scrive «a partire dal IX secolo il Quadrato comincia a riempire l’Europa. E la sua diffusione ha raggiunto, nei secoli, proporzioni tali da rendere quasi impossibile un inventario completo. In Italia se ne trovano anche a Modena, a Montecassino, a Capestrano, a Verona, nel cremonese. In Germania, anche ad Hamersleben, Halberstadt, Rosenheim, Oberaudorf. In Francia, oltre quelli già citati, nella zona della Loira abbiamo: Bergfried, il castello di Loches, la dimora di Agnes Sorel […] a Bealieu-les-Loches, il castello di Chinon, il castello di Jarnac, una casa a Puy»25.

Tuttavia, “navigando” per pagine informatiche e altre pagine di stampa, scopro che sono stati rinvenuti “quadrati magici” in Perù; a Oppède in Vaucluse; a Riva san Vitale in Svizzera; su una campana della chiesa di Canavaccio di Urbino (Perugia); a Siena sulla parete del Duomo (Santa Maria della Scala) di fronte al Palazzo Arcivescovile; nell’abbazia Certosa di Trisulti (XIII sec.) a Collepardo (Frosinone), dipinto in un affresco nel corridoio esterno all’antica farmacia; a Santiago di Compostela in Spagna; ad Altofen in Ungheria; nell’abbazia di Valvisciolo (XIV sec.) a Sermoneta (Latina) all’interno del chiostro dell’antica abbazia, graffito nell’intonaco originale in forma circolare come di tela di ragno; nella Collegiata di Sant’Orso di Aosta; nella Pieve di San Giovanni a Campiglia Marittima; nella chiesa di San Michele ad Arcè, frazione di Pescantina (Verona), inciso sull’architrave della porta secondaria della chiesetta; nell’abbazia di Montecassino; in un manoscritto della Biblioteca capitolare di Vercelli, in cui le parole sono scritte l’una dietro l’altra; sulla chiesa di Ascoli Satriano, presso la quale, in gita con un’allegra compagnia (Lorenzo Capone, Gianni Carluccio, Maurizio Nocera, Francesco Pasca e Nello Sisinni) ci siamo recati fotografando lo splendido Sator sulla facciata dell’antica chiesa collaterale alla cattedrale.

La storia dei rinvenimenti, ovviamente, può continuare fino a citare l’ultimo rinvenimento del luglio 2007 di un Sator inciso sulle travi dismesse di un vecchio scheletro d’abitazione in località Sciara di Scorciavacca nel territorio di Presa (Catania), oppure, altro più recente rinvenimento, di cui ci dà notizia eslcusiva la rivista «Fenix» con queste parole: «La scorsa estate [2008] il curatore del Museo Civico Antiquarium di Nettuno, Arnaldo Liboni, ha mostrato al noto paleontologo Italo Biddittu la fotocopia di una pergamena, di circa 46 x 47 cm, da lui scoperta. Biddittu, incuriosito dai simboli disegnati nella parte inferiore del documento, croci, un triangolo, una doppia circonferenza, un Nodo di Salomone e il palindromo del “Sator”, ha avvisato i ricercatori. […] In Italia è nota circa una ventina di palindromi, che risalgono ad un arco temporale che va dal I secolo d. C. (Pompei) al XIX secolo (Cerosa di Trisulti)»25 bis.

Ma forse qui, a questo punto dell’elencazione, è bene fermarsi, perché sorge potente una domanda: ma in Salento questo “quadrato magico” è mai esistito? A pensare al crocevia di culture che si sono avvicendate nei millenni, a pensare che il territorio salentino (l’antica Messapia precristiana) è stata terra di passaggio dall’Oriente a quello che noi oggi definiamo Occidente, a sapere che i primi cristiani, evangelizzati da Paolo di Tarso, necessariamente sono dovuti passare da queste terre (vedi la storia di San Giusto) e, soprattutto, sapere  che questo territorio abbonda di un tipo particolare di pietra arenaria e tufacea, molto disponibile a fare da supporto a graffiti e quant’altro, mi è sembrato naturale pensare che sicuramente qui da noi il Sator oppure qualcosa di simile ad esso doveva pur esserci stato. Mi sono quindi messo alla ricerca.

Dunque, la prima esplorazione da fare era quella di andare a verificare se nella bibliografia salentina26 esistevano dei libri sui graffiti. Dopo alcune ricerche, scopro sul «Bollettino Storico di Terra d’Otranto» un articolo sulle Iscrizioni latine del Salento leccese, con la foto di un Sator e l’indicazione dov’esso era ubicato26 bis. L’autore dell’articolo, Vincenzo Peluso, rinvenitore del Sator salentino, scrive: «Un’insospettata presenza è costituita dalla famosa iscrizione bustrofedica SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS che nel 1808 fu incisa all’ingresso di un fabbricato rurale in località “Casino” in agro di Nociglia; alcuni anni addietro il fabbricato è stato demolito ma l’iscrizione è stata fortunatamente recuperata dal proprietario prof. Giuseppe Casto»26 ter. Inoltre, in una nota dello stesso articolo, leggo un’altra importante notizia, e cioè che l’«iscrizione, già conosciuta nel medioevo e che compare tra le annotazioni aggiunte sui margini dei fogli di un codice greco salentino della prima metà del XIII secolo (Parisinus Gr. 549, f. 158 v.), si veda A. JACOB, Une bibliothèque mediévale de Terra d’Otrante (Parisinus gr. 549)»26 quater. A tutt’oggi continuo a cercare l’immagine di quest’antichissimo Sator salentino. 

In quello stesso periodo della ricerca mia e di Pasca per il Sator, lo studioso di graffiti salentini Gianni Carluccio pubblicava il suo importante saggio Messaggi dal passato27, con un bell’apparato iconografico. Attentamente mi sono studiato e ristudiato i 68 graffiti da lui pubblicati, ma in essi non ho trovato alcun riferimento al “quadrato magico”. Interessante invece quanto egli afferma a proposito dell’abbondanza in questo territorio dei graffiti. Scrive: «I ‘graffiti’, incisi quasi sempre nella ‘pietra leccese’ con strumenti di metallo o di osso o pietre dure, sono dappertutto nel Salento, proprio grazie alla facile reperibilità del ‘tenero’ supporto: sulle facciate ed all’interno di edifici religiosi (chiese, campanili e conventi) o militari (castelli e torri, soprattutto nei vani adibiti a carcere) o civili (soprattutto complessi storici e palazzi nobiliari) ed anche nelle piazze dei nostri centri abitati. Si possono, inoltre rintracciare pure nella ridente campagna salentina, dove il tempo sembra scorrere più lentamente: nelle masserie, nei frantoi ipogei, nelle torri colombaie, nei ‘pagliari’, nelle costruzioni rupestri, su alcuni muri a secco. Significative ‘incisioni’ si ritrovano parimenti su manufatti in pietra leccese di età messapica (soprattutto a Vaste, a partire dal VI sec. a. C.) o su antichi reperti ceramici (come la famosa ‘Mappa di Soleto’, risalente al V sec. a. C., che reca graffiti i nomi di dodici città messapiche)28 o ancora sui muri dell’ambulacro sotterraneo dell’Anfiteatro romano di Lecce e sulle pareti di numerose grotte, frequentate a partire dalla preistoria, con disegni spesso rilevanti»29.

In parte soddisfatto delle ricerche bibliografiche fatte, ho cominciato ad osservare pareti, portali di conventi e di chiese, palazzi nobiliari e semplici abitazioni. È questa un’abitudine che a tutt’oggi ormai mi porto dietro e che difficilmente abbandonerò, perché in me cova sempre la speranza d’incontrare su un concio o su un qualsiasi altro supporto un qualcosa che mi metta in comunione col Sator, di cui ormai conosco, almeno credo, un’ampia bibliografia. E comunque, l’abitudine di osservare e studiare il mondo delle origini dell’umanità è sempre stata per me una passione fin dalla gioventù, da quando negli anni ’70, gli archeologi dell’Università del Salento, in particolare il compianto prof. Giuliano Cremonesi, mi permisero di scendere nell’oscurità della Grotta di Parabita, per puro caso ubicata sui confini di un campo di ulivi di proprietà della mia famiglia. Fu allora che in quella grotta vennero rivenute le due Grandi Madri Salentine in osso, le cosiddette Veneri di Parabita30.

Una volta scoperto il fascino delle immagini del mondo antico è difficile poi perderlo. Per me è accaduto con la Grotta delle Veneri di Parabita, ma anche con la Grotta dei Cervi di Porto Badisco, per me la Grande Madre Salentina31.

E tutto questo è accaduto anche a Francesco Pasca che, da più tempo del sottoscritto, ha inseguito, rimanendone fascinato, il mondo delle immagini, un po’ perché era questa la sua professione di docente di storia dell’arte e un po’ anche perché anche lui attratto dal mondo misterioso e magico dei numeri, delle linee geometriche, dei contorni e delle forme. Ecco perché in questo libro, egli descrive il percorso comune dei rinvenimenti del Sator, oltre che aggiungervi la sua interpretazione che, come quella della Lopardi, ruota intorno alla magicità geometrica del “quadrato”.

Il nostro lungo e comune viaggio in terra d’Abruzzo è in parte descritto in queste pagine. Abbiamo ammirato e fotografato i Sator di Monterubbiano (Ascoli Piceno) nella chiesa di Sant’Agostino (XIII), adiacente l’ex convento degli Eremitiani, chiesa ricostruita successivamente tra i secc. XVIII e XIX ma conservando sempre il “quadrato magico”; di Paggese di Acquasanta Terme (Ascoli Piceno) nella chiesa di san Lorenzo (XIII sec.), ubicato nella parete di fondo della sala detta “del Parlamento”, in un affresco a fianco della chiesa; di San Felice del Molise (Campobasso) nella chiesa di S. Maria Ester di Costantinopoli (XI sec.) in uno stemma murato sopra l’arco del campanile; a Magliano dei Marsi (L’Aquila) sulla facciata di una chiesa dedicata a Santa Lucia.

Dopo questa sorta di viaggio iniziatico, l’interesse per il Sator salentino, invece che sedarsi, gonfiò ancor più. Tornati in Salento, ci recammo subito a Nociglia a vedere il Sator che è in quella casa, quindi, quando insieme quando ognuno per proprio conto, ci siamo messi a osservare chiese, conventi, chiostri, palazzi, castelli, e quanto altro nel Salento potesse contenere il “quadrato magico”. In non poche occasioni, abbiamo individuato figure geometriche incise o disegnate sulla pietra che, se non proprio sul tipo del Sator destato comunque attenzione. Ad esempio, in agro di Galugnano, c’è inciso di epoca relativamente recente (qualche secolo) un rettangolo con inscritte delle lettere [Ad/W/D(?)] sul Menhir delle Lete (neolitico); sullo stesso lato del stesso menhir, poco sopra ci sono ancora altri tre quadrati, uno inscritto all’altro, probabilmente della stessa datazione. Ma di figure geometriche, incise sulla pietra è pieno il Salento, a cominciare da una delle più antiche chiese, quella di San Nicolò e Cataldo a Lecce (XII sec.) sui cui portali (facciata esterna dalla parte dell’ingresso del cimitero storico e facciata interna dalla parte dell’ex convento degli Olivetani) abbandono i quadrati, i rettangoli e quant’altro.

Ma la sorpresa delle sorprese sta nel Sator di Cavallino. Come siamo arrivati alla scoperta? Aspettavo l’editore Lorenzo Capone che scendesse dalla sua casa prospiciente la Chiesa madre della città che diede i natali a Sigismondo Castromediano, studioso e fondatore degli studi archeologi nell’antica Terra d’Otranto, quando l’abitudine a osservare i graffiti anche su quella chiesa, mi portò davanti alla facciata centrale e quindi al portale, luogo questo scelto spesso dagli antichi graffitisti. Ed è qui, sulla destra del portale che, ad altezza d’uomo, vedo inciso il “quadrato magico” o quanto meno quello che indiscutibilmente è il Sator. Non molto distante dall’incisione, ce n’è un’altra, molto più evidente, uno dei simboli templari (croce maltese), infine vi sono ancora altri segni incisi. Evidente è il “quadrato magico” ed evidenti sono le parole SATOR AREPO TEN. Il resto sembra non inciso oppure cancellato dal tempo. Pasca è riuscito a ricostruire il mancante, dando forma e bellezza al più significativo Sator salentino.

La datazione è chiaramente risalente ad alcuni secoli fa, probabilmente all’epoca in cui la chiesa parrocchiale fu costruita, cioè durante il XVII secolo. Da uno studio fatto da Antonio Garrisi, sappiamo che «i Cavallinesi […] verso il 1630, diedero l’avvio a una rilevante opera architettonica di pertinenza e di patronato della Comunità, quindi del Comune: la costruzione della nuova più grande Chiesa matrice […] di Maria SS. Assunta in cielo»32.

Le lettere del Sator incise sono chiaramente latine, precise e definite, un po’ sghembe, forse a causa della posizione scomoda dell’incisore.

Dopo tante ricerche, ecco che anche il Salento ha il suo Sator, pur se di un’epoca non molto antica. È probabile, qualcuno lo scrive e lo dice pure, che vi siano ancora degli altri “quadrati magici” più antichi incisi sulle pietre di questo territorio, ma qui quello che a noi appare essere significativo è questa incisione, che risponde alla domanda che ci eravamo posti all’inizio di questo scritto.

Francesco Pasca, che è bravo interprete di soluzioni enigmistiche, capace di dare una sua interpretazione dei misteri dei calendari (si è già cimentato con i misteri di uno dei calendari qunramiani solari utilizzati per allineare i calendari lunari), oltre ad essere studioso dei paradossi dell’arte, nonché egli stesso artista astratto concettuale-informale, ha dato al “quadrato magico” sorprendenti interpretazioni, soprattutto adattandolo al mosaico (anni 1163-65) di Pantaleone nella Basilica-cattedrale di Otranto. Nel suo precedente libro, Otranto, il luogo delle parole (Raggio Verde, Lecce 2008) egli, pur sapendo che in tutta la cattedrale otrantina mai quadrati magici sono stati trovati, ugualmente è riescito a interpretare il mosaico in chiave “satoriana”, dando significato anche al suo nome di famiglia PASCA.

Bibliografia essenziale

T. BRESCIA, Il vero significato dell’Arepo Sator, il quadrato magico, in «Mystero», anno V, n. 60, Roma, maggio 2005, pp. 42-46.

G. GAGOV, La soluzione di un antico crittogramma, Miscellanea francescana, 1961, 61, pp. 276-82.

Margherita GUARDUCCI, Il misterioso Quadrato magico, l’interpretazione di Jérome Carcopino e documenti nuovi, in «Rivista di archeologia classica», XVII, 1965, pp. 219-270.

J. GRIFFITS, Arepo in the Magic Sator Square, in «The classical review», new ser., vol. 21, n. 1, marzo 1971.

F. P. MAULUCCI VIVOLO, E l’acqua zampillerà dal deserto. Testimonianze cristiane a Pompei prima del 79, Carcavallo, 1990.

R. CAMILLERI, Il quadrato magico, Rizzoli, 1999.

[“Il pensiero meridiano” del 21 gennaio 2025]


1 M. G. LOPARDI, Il quadrato magico del Sator. Il segreto dei Maestri costruttori, Edizioni Mediterranee, Roma, set. 2006. Del volume è stata tirata una seconda edizione (2008) con una nuova introduzione dell’autrice, secondo la quale «Sulle mura di chiese e castelli il Quadrato magico, la più famosa struttura palindroma, ha segnalato un suo collegamento con l’arte della costruzione [corsivo mio] e si è cercato di dargli un significato simbolico, di tradurlo in latino o in greco, di anagrammarlo per rinvenire un senso a parole oscure» (p. 9).

2 Id., p. 9.

3 Alberto TALLONE (Bergamo 1898 – Alpignano 1968) fu editore e stampatore. Fondò nel 1938 a Parigi la sua Stamperia. Dal 1932, fu apprendista nella stamperia di Maurixe Darantière a Châtenay-Malabry, rilevando la stessa direttamente dal Maestro francese nel 1938, fondando la propria Casa editrice con sede a Parigi. Dal 1957 trasferì la sua Stamperia nella proprietà materna di Alpignamo (To). Nel corso degli anni ’60 gli fece visita Pablo Neruda, per il quale pubblicò tre opere in prima edizione mondiale.

4 M. C. SACCHI ZAFFARANA (a cura), Sator arepo. Palindrome criptografica crsitiana, Tallone Editore, Alpignano 2000. Si tratta di un libro nel tipico formato talloniano (cm 16,3 x 14,8) con astuccio, sulla cui copertina è riprodotto il Sator con gli stessi caratteri con i quali è stato composto il testo, impresso «In Anno Jubilari et Ostensionis/ Sacræ Syndonis in Ecclesia Cathedrali/ Metropolitana Taurinensi/ XII VIII – XXII X// MM». Questo il colophon: «Questa edizione, composta/ a mano con i tipi Caslon originali, è stata/ impressa in 370 copie su carta Magnani/ allestita espressamente e 45 su carte/ al tino di Fabriano. Licenziata/ dalla Stamperia Tallone ad/ Alpignano nell’agosto/ 2000// Carta Magnani di Pescia// esemplare n. 308».

4 bis A proposito della formula “quadrato magico” è interessante la definizione data da Stefano BARTEZZACHI, teorico degli enigmi il quale, in una recensione al libro del brasiliano Osman Lins, Avalovara (Il Quadrante, 1988), scrive: «Un quadrato magico è un casellario in cui vengono scritte delle parole, lettera per lettera o sillaba per sillaba, che si potranno leggere poi sia in orizzontale che in verticale, come in cruciverba senza caselle nere. Il quadrato magico per eccellenza è quello testimoniato già in vari reperti dell’eruzione pompeiana (79 d. C.). È formato da una frase latina di cinque parole (ognuna di cinque lettere), la cui prima caratteristica è di essere una frase palindroma”.  […] Il quadrato magico si ottiene incasellando le cinque parole una sopra l’altra […] La frase si potrà leggere allora in quattro sensi diversi (partendo da sinistra, in alto, e procedendo orizzontalmente o verticalmente; partendo da destra, in basso, e procedendo orizzontalmente o verticalmente» (v. S. Bartezzachi, Un quadrato così magico che mette le ali, in «Tuttolibri», 2 gennaio 1988.

5 Gianfranco RAVASI (Merate, 18 ottobre 1942) cardinale, arcivescovo cattolico e biblista italiano, teologo, ebraista ed archeologo. Dal 2007 è presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e Presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra.

 5 bis A proposito del termine, interessante è quanto scrive il filosofo Giulio GIORELLO: «Nella mia fine il mio principio è il titolo di un romanzo di Agatha Christie che bene illustra il fascino delle scritture palindrome (quelle che restano invarianti se si inverte l’ordine di lettura). Pensiamo a parole come ala, radar … o al nome di un celebre intellettuale come Asor Rosa. Per non dire del mondo dei numeri. Pensiamo alla data del prossimo primo febbraio: 01.02.2010. Eppure, quello che è palindromo per noi non lo è necessariamente per altri che magari usano lingue, notazioni e calendari differenti (noi scriviamo 19, e non ci vediamo nulla di palindromo; ma provate a scriverlo come facevano gli antichi romani: XIX). Si tratta, dunque, di coincidenze; ma come ci insegna un memorabile carteggio tra il grandissimo fisico Wolfgang PAULI e uno dei padri della psicanalisi, Carl Gustav JUNG, le coincidenze possono essere estremamente rivelatrici, informandoci non tanto come degli oggetti del mondo, ma delle modalità simboliche con cui noi ci riferiamo a essi. La malia delle scritture palindrome (presente in moltissime civiltà e divenuta oggetto di studio e di logici, psicologi e matematici: basti per tutti il caso di Douglas HOFSTADTER, l’autore del fortunato Gödel, Escher, Bach) è un caso particolare dell’incanto delle simmetrie, che sembrano mettere ordine in un Universo caotico. Eppure, come già intuiva il filosofo Francesco Bacone, per capire la bellezza e la vita stessa occorre sempre che qualche simmetria venga infranta. Se fossimo rimasti schiavi della palindromia non avremmo, da bambini, imparato a leggere e a scrivere, a distinguere la destra dalla sinistra o magari il passato dal futuro. A meno che non ci fossimo dati alla politica, dove qualche tipo “palindromo” fa carriera, passando disinvoltamente da Sinistra a Destra o viceversa» (vd. «Corriere della Sera», L’incanto di un giorno palindromo, 30 gennaio 2010, p. 22).

6 Sator arepo, op. cit., pp. 14-15.

7 Id., p. 19.

8 Sator Arepo, op. cit., pp. 11-12.

9 Id., pp.21-23.

9 bis Sulla presenza della croce all’interno di un palindromo, interessanti sono gli studi di Giovanni POZZI, pubblicati nel libro La parola dipinta (Adelphi, 1981), la cui terza edizione del 2002 mostra in copertina uno splendido quadrato cruciforme, tratto dal libro di Rabano MAURO, De laudibus sanctae crucis (Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, ms. Reg. lat. 124). La parola dipinta è un classico della composizione geometrica iconico-linguistica.

10 Id., Nota 1, in cui la Sacchi Zaffarana precisa che per l’elenco «si rimanda a G. de JERPHANION, La formule magique, Sator Arepo ou Rotas Opera. Vieilles théories et faits nouveaux, in «Recherches de science religieuse», XXV, 1935. Si veda inoltre per più aggiornate indicazioni bibliografiche, il saggio di M. GUARDUCCI, Dal gioco letterale alla crittografia mistica, in Aufstieg und Niedergang der Römischen Welt. Miscellanea in onore di J. Vogt, XVI 2, Berlin-New York, 1978», p. 63.

11 Id., p. 35 più note.

12 Id., p. 36, più nota.

13 Id., pp. 40-41 più nota.

14 R. CAMILLERI, Il Quadrato magico. Un mistero che dura da duemila anni, Rizzoli, Milano 2004..

15 V. MESSORI è nato a Sassuolo (Modena) ma cresciuto a Torino, dove ha avuto per maestri i laici Luigi Firpo, Norberto Bobbio e Alessandro Galante Garrone; nel 1964 si converte al cattolicesimo, divenendo uno degli autori più ascoltati da città del Vaticano. Il suo primo libro è Ipotesi su Gesù, risultato di una ricerca sulle origini del Cristianesimo, ambito di studi e di fede che gli resterà caro per sempre.

16 Il Quadrato magico. Un mistero …, op. cit., pp. 6 e 8 della prefazione.

17 Id., pp. 11-12.

18 Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim detto Paracelsus o PARACELSO (Eisiedeln, 1493 – Salisburgo, 1541), alchimista, astrologo e medico svizzero. Paracelso o “Paracelsus” (“eguale a” o “più grande di” Celsus), si riferisce all’enciclopedista romano del primo secolo Aulus Cornelius Celsus. Si tratta di una delle figure più rappresentative del Rinascimento.

19 G. CARDANO (Pavia, 1501 – Roma, 1576), matematico, medico e astrologo.

20 Càtaro s. m. e agg. [dal lat. mediev. catharus, gr. καϑαρός «puro»]. – Appartenente alla setta dei catari, nome col quale sono comunemente indicati gli eretici dualisti medievali (detti anche albigesimanicheipublicani o paulicianiarianibulgaribogomili, ecc. e, in Italia, patarini), diffusi soprattutto nella Francia settentr. e merid. nel sec. 13°, i quali, in polemica con la Chiesa, predicavano un rinnovamento morale fondato sull’antitesi tra bene e male, spirito e materia, e su un esasperato ascetismo (condanna del matrimonio, della procreazione, della proprietà privata, della guerra, ecc.). Come agg., dei catari, relativo ai catari: l’eresia catara [Trecccani].

21 Di questi ultimi due Sator abruzzesi ne parla Pasca in questo libro.

22 Ermete TRISMEGISTO, di lui non si conoscono dati originari, si tratta di un personaggio leggendario della Grecia ellenistica, considerato a volte come un dio o un semidio, altre come uomo; è stato comunque venerato come maestro di sapienza e ritenuto l’autore del Corpus hermeticum, a cui si fa risalire l’origine della filosofia, conosciuta come ermetismo.

23 R. CAMILLERI, op. cit., p. 17.

24 Id., pp. 19-23. 

 25 Id., pp. 24-25.

25 bis Vd. «Fenix», La Pergamena di Nettuno, a. II, n. 12, ottobre 2009, p. 10.

26 Il repertorio bibliografico salentino è un capitolo sconfinato, redatto nel tempo da Gianfranco SCRIMIERI e Dino LEVANTE.

26 bis Vincenzo PELUSO, Iscrizioni latine del Salento leccese, in «Bollettino Storico di Terra d’Otranto», Società di Storia Patria per la Puglia (Sezione di Galatina), n. 8, Congedo editore, Galatina 1998, pp. 134-136.

26 ter Id., p. 136. Avuta questa notizia, anch’io e Pasca ci siamo recati sul posto, trovando che il vecchio rudere è in parte ancora in piedi, mentre il blocco di marmo con inciso il Sator si trova presso la casa del proprietario indicato. Evidente è il committente di questo manufatto, cioè la Società dei Gesuiti (in sigla J. M. J.) come pure ben inciso e l’A. D. 1808., il tutto inscritto in un ottagono stilizzato al cui interno c’è il “quadrato magico”.

26 quater  Ivi.

27 Il saggio dell’Ing. G. CARLUCCIO è nel volume di Pierluigi Bolognini, Un’idea di Salento. Paesaggio, mare, architettura, arte e tradizioni, Edizioni del Grifo, Manduria, 2007, alle pp. 89-106.

28 La Mappa di Soleto (cittadina in provincia di Lecce) è stata rinvenuta il 21 agosto 2003 durante gli scavi archeologici diretti dal prof. Thierry van COMPERNOLLE, dell’Università Paul-Valéry Montepellier III. Così ce la descrive lo stesso archeologo: «La Mappa di Soleto è incisa su di un frammento di ceramica (ostrakon) di 5,9 x 2,8 cm, proveniente da un pelike a figure rosse o a vernice nera. Chi osserva la Mappa rimane stupito dal carattere evocativo della forma del disegno della penisola salentina. […]: tredici toponimi, quasi tutti abbreviati, occupano lo spazio geografico, delimitato dal disegno di una linea costiera, nella quale si può riconoscere l’estremità della penisola salentina. Uno dei toponimi è greco (Táras), gli altri sono messapici. […] Sulla base delle ricerche di Gianni Quarta il graffito potrebbe essere stato realizzato con un oggetto dotato di una punta dura, arrotondata e molto sottile». (da Thierry van Compernolle, La Mappa di Soleto, in Le scienze geo-archeologiche e bibliotecarie al servizio della scuola ( a c. di Medica Assunta Orlando), Pubblicazioni scientifiche del Museo Civico di Paleontologia e Paletnologia “Decio de Lorentiis” di Maglie, Editrice Kollemata, Monteroni 2005, pp. 19-31. Secondo le prime ipotesi formulate sul periodo del manufatto, alcuni fanno risalire La Mappa di Soleto al periodo di Erodoto (V sec. a. C.). 

29 Vd. G. CARLUCCIO, op. cit, pp. 90-91.

30 Si tratta di due statuette femminili di piccole dimensioni con i caratteri sessuali molto pronunciati quale simbolo di fertilità. Sono datate all’era Gravettiana (27.000-20.000 anni fa). In Italia sono state rinvenute in tutto 19 statuette similari, 15 cosiddette Veneri dai Balzi rossi (Ventimiglia); una cosiddetta Venere di Savignano (Modena); una cosiddetta Venere del Trasimeno; più le due parabitane.

31 Si tratta di una meraviglia delle meraviglie. Di essa e delle sue migliaia di pittogrammi, ha scritto Paolo GRAZIOSI nel libro Le pitture preistoriche della grotta di Porta Badisco, Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, Firenze 1980.

32 A. Garrisi, Cavallino/ i luoghi della memoria, autoedizione, Lecce 1998, pp. 119-120.

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