Da Vento a Tindari (1930) a Nell’isola (1966): la Sicilia di Quasimodo (prima parte)

di Antonio Lucio Giannone

Salvatore Quasimodo, 1953.

La Sicilia, com’è noto, è stato uno dei temi fondamentali della poesia di Salvatore Quasimodo. Il motivo della terra d’origine ricorre costantemente in tutto l’arco della sua produzione, da Acque e terre (1930) fino a Dare e avere (1966), anche se assume connotazioni diverse, a seconda dei vari periodi, in rapporto alle particolari scelte ideologiche e di poetica dell’autore. A questo proposito, bisogna dire che a Quasimodo spetta il merito, come ho avuto occasione di scrivere in altre occasioni, di avere inserito il Sud nella geografia lirica italiana fin dagli anni Trenta, dando il via a una linea importante, anche se spesso trascurata, della poesia del Novecento che comprende anche i nomi del campano Alfonso Gatto, dei lucani Leonardo Sinisgalli e Rocco Scotellaro, dei pugliesi Raffaele Carrieri e Vittorio Bodini, per citare solo i maggiori esponenti di essa[1]. Non a caso Bodini, in un articolo del 1955, lo definì «l’iniziatore della poesia meridionale».[2] Ma su questo particolare argomento ritornerò tra poco.

Vediamo allora di ripercorrere rapidamente il tema della Sicilia in alcuni momenti della produzione poetica di Quasimodo, per notarne le differenze e i rapporti con altre composizioni appartenenti a periodi diversi.

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