Anche Bettina e Novella si dedicarono allo studio delle leggi e da adulte, quando il padre si doveva assentare, per non lasciare vacante la cattedra, una delle figlie assumeva l’ufficio di lui, sostituendolo egregiamente. Ma tra gli studiosi non ci si trova d’accordo nel tramandar il nome di quale delle due, attribuendone l’onore alcuni a Bettina, altri a Novella; anzi di quest’ultima dicevano che, essendo molto bella, per non distrarre gli alunni durante la lezione, soleva insegnare con il volto coperto da un velo o dietro ad una tenda. Questa versione era riferita alla sola Novella ed era riportata da Cristina di Pizzano2 nella sua opera manoscritta del 1405 “La citè des Dames”, in cui scrive: “Novella soleva talvolta leggere in cattedra, quando suo padre era impedito e che accionché gli scolari non fissassero gli occhi più nell’avvenezza di cui era dotata che ne’ sacri canoni, soleva coprirsi il volto di un velo”.
Il Facciolati3 attribuisce a “Bettina ciò che abbian veduto da altri trattarsi di Novella, cioè che essa invece del padre tenesse talvolta scuola e ne reca in prova l’autorità di Giulio Cesare Croce”4, poeta bolognese del XVI secolo che di Bettina scrive: “ Bettina pur del sangue calderino uscita, fu di scienza un chiaro fonte e lesse nello studio patavino un tempo, e ne portò cinta la fronte di somma gloria, e in greco e in latino fu esperta, e di maniere conte che celebrata vien da tutti i lati come stupor de tutti i leterati”. F. M. Colle5 dice che era Novella che “si affacciava alla cattedra coperta il volto d’un velo, affinché le fresche grazie della faccia avvenente non assorbissero dalla fervida gioventù quell’attenzione che questa dovevasi ai canoni”. Ma la storia del velo è vera? Umberto Eco6 nella “Enciclopedia delle donne” sostiene che anche “Bettisia Gozzadini (1209-1261) era così bella che per non turbare gli studenti che seguivano le sue lezioni, si copriva il viso con un velo […]”. Ma la stessa leggenda circola su un’altra donna che ha tenuto pure lezioni di diritto a Bologna, cioè Novella di Giovanni d’ Andrea, che dava lezioni con il viso coperto da un velo o stando dietro ad una tenda. Ed Eco dice: “Era costume di entrambe parlar velato o le leggende si sono ingarbugliate […] e non sapremo mai come sia andata davvero o se la docente si coprisse il volto prudenzialmente per non disturbare i discenti o se i discenti fossero una massa di forsennati […]. Magari Bettisia (o Novella) non si sono coperte, ma non debbano aver avuto vita facile davanti ai propri allievi”. E il Tiraboschi7 dice: “Singolare e strano è ciò che di Novella racconta Cristina di Pizzano”, e continua: “Crederemo noi a questo racconto?”, e ancora: “Tommaso di Pizzano, padre di Cristina, era bolognese ed era in Bologna ai tempi di Giovanni d’Andrea (ad insegnar astrologia dal 1344 al 1356) e perciò Cristina poteva agevolmente aver ciò risaputo da suo padre medesimo e quindi non si può negare che l’autorità di essa non sia di un certo peso”.
Bettina D’Andrea sposò il canonista bolognese Giovanni di San Giorgio (o Sangiorgi) e nel 1347 la coppia si trasferì a Padova per sfuggire alla peste che imperversava a Bologna; nel frattempo il marito ottenne la cattedra di diritto all’Università di Padova e lei sostituiva il marito in caso di occorrenza. F. M. Colle così scrive di Giovanni Sangiorgi: “Fu bolognese, figlio di Guglielmo, compiuti gli studi nella sua patria, promosso al magistero ed aggregato al Colleggio dei canonisti nel 1320, cacciatovi dall’orribile pestilenza che cominciava a desolare la sua patria […]; ebbe a moglie Lisabetta o Bettina, figlia di Giovanni d’Andrea. Non solo i maschi discesi da quel celebre canonista (Giovanni D’Andrea), ma le femmine stesse, a cui precesse coll’esempio Milanzia, la madre, sembra che bevessero alle paterne fonti e si nutrissero della scienza legale. Alcuni autori vogliono che le due sorelle Novella e Bettina assistessero il padre e i mariti, nell’uffizio dell’insegnare e supplissero nelle scuole alle pubbliche letture, quando essi erano da malattia o da qualche altro grave affare impediti”.
Padre V. Zaramella8 scrive ”Bettina, dopo aver imparato dal padre giureconsulto e professore all’Università di Bologna, si esercitò ad insegnarlo […] e si impratichì talmente nell’esporre il mondo delle leggi romane, che quando il marito, lui pure professore di diritto, si spostò da Bologna a Padova, si associò a lui nell’insegnamento e con pieno successo, tanto che gli alunni la acclamavano apertamente “Brava Bettina” e per la chiarezza di esposizione e per la parola pronta e forbita”.
E padre B. Gonzati9 nel suo libro “La Basilica di Sant’ Antonio di Padova” scrive: “E come avviene spesso che la parità delle professioni generi affetto, così Giovanni di Sangiorgi, professore di Giurisprudenza all’Università di Bologna, la chiese a sposa e l’ottenne. Il quale nel 1347 invitato ad insegnare sacri canoni a Padova, lasciò di buon grado la sua natale città, funestata allora da fierissima pestilenza e seco condusse la sposa. E gli annali di questo Studio, più che di lui, ci parlano della sua Bettina, come dottissima espositrice della scienza che talvolta in cambio del marito spiegava con fluidità meravigliosa di latino eloquio alle turbe affollate degli studenti. Non so poi se lei, come alla sua sorella di Bologna, abbisognasse il velo a coprirsi la faccia; so bene che dovea sembrare cosa assai strana e quel prodigio riguardarsi una donna che con profondità di sapere, vastissima erudizione, parola pronta, ornata, efficace si faceva a spiegare dottrine il cui insegnamento meglio si sarebbe addetto ad uomo di chiesa […]”. E ancora il Gonzati scrive che a quel tempo “non è insolita cosa che le giovani donne piglino amore e coltivino con lode gli studi delle umane lettere, ma rarissime ed affatto singolari son quelle che impallidiscano sulle pandette, digesti e decretali e se procaccino fama. E una del raro numero fu Bettina”.
E Bonafede scrive: “Bettina. Moglie a Giovanni Sangiorgi, distintissimo Dottore di Decretali, avevalo seguito in Padova ove venneglì aggiudicata una cattedra nell’Università; e là sul Brenta donde le scienze levavansi sublimi, leggendo Bettina più fiate nelle pubbliche scuole, potè porgere incontrastabile prova che ben a ragione era dovunque decantato lo stupendo sapere delle donne del piccol Reno; stantechè in effetto, di cotanto senno nelle leggi e nella filosofia, forse nessuna città potè mai annoverare tante Dottoresse, quante celeberrime vide succedersi Bologna in meno che nel volgersi di un di secolo. Ben poco ella visse a Padova, ma ciò non tolse alla illustre Bolognese scelta corona di ammiratori, che la onorassero in vita delle più schette lodi; la piangessero quando il 5 ottobre 1355 dipartivasi da questo mondo e di poi ne segnassero un marmo nel gran tempio di s. Antonio per ricordare alla riverenza dei posteri serenamente il nome di lei”.
Anche il Carducci in “Ceneri e faville, edito da Zanichelli, Bologna 189310, a proposito di Giovanni Sangiorgi scrive: “Questi lesse diritto canonico in Bologna e dal 1347 in Padova, marito a quella Bettina di Giovanni d’Andrea di cui vuol la fama che fosse dotta di greco e latino e che talvolta supplisse in consorte in cattedra il consorte”.
Giovanna Baldissin Molli nel suo articolo “Devote e colte: le sepolture trecentesche femminili della Basilica di Sant’Antonio a Padova”, annota: “Le tombe femminili al Santo, comprendendo quelle doppie (marito-moglie, padre-figli e figlie e coppie di defunti la cui parentela talora è meno sicura), rappresentano una netta prevalenza delle sepolture del XIV secolo rispetto a quelle dei secoli successivi e appartengono a famiglie di rango elevato come la signoria dei Carraresi e il suo rapporto con il mondo francescano […]”.
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Nel Trecento la Basilica del Santo divenne un luogo privilegiato di sepoltura e molti venivano inumati nel chiostro del Capitolo, detto anche della Magnolia, come collocazione adatta al ricordo e alla preghiera dei fedeli. La tomba sepolcrale di Bettina è una delle nove sepolture femminili singole e si trova nel chiostro del Capitolo, lato nord. Sulla “lastra funeraria vi è scolpito una “gisant” con le mani incrociate al petto e il capo appoggiato ad un guanciale: su entrambi i lati c’è uno stemma: a destra due rami d’alloro col motto Siero (da leggere sic ero), insegna del padre, acclarato dalla scritta Hinc genita; a sinistra, uno scudo trinciato da spranga dentata con sei palle da ciascun lato ed è lo stemma del marito, come assicura la scritta Hic nupta. L’epitaffio inciso ai quattro lati della lastra terragna conferma i legami di parentela e riporta l’anno di morte: “Sepulcrum Dominae Betinae filiae quondam domini Iohanis Andreae, de Bonomia archidoctoris decretorum, et uxori domini Iohanis de Santo Georgio, de Bonomia doctoris decretorum, quae obiit anno domini MCCCLV, die lune quinto octubris”. Gli stemmi fanno pensare che la sepoltura al Santo di Bettina era dovuta ai vincoli familiari, ma importante è cogliere ugualmente anche i labili indizi del vissuto femminile.
E qui la prof.ssa Baldissin Molli descrive gli indumenti indossati al momento della morte come si vede dalla lastra tombale: “Bettina si presenta abbigliata in modo lussuoso e accurato. Il sistema di veste, con le maniche strette chiuse da una filza di bottoncini, sopravveste, con le maniche ampie, larghe e ingombranti, tutto avviluppato nel mantello […] la capigliatura si intravede sotto un velo corto e di fattura fine. Ci sono due accessori che potrebbero convalidare l’attività universitaria di Bettina. Il mantello è chiuso davanti da un cordoncino con un sigillo….sistema di chiusura non abituale nell’abbigliamento femminile….un paio di guanti, veramente poco comune nelle raffigurazioni di donne trecentesche e questo fa pensare a un ruolo universitario della Bettina o della sua famiglia, considerato che guanti, anelli, scettri erano parte del sistema auto-rappresentativo dell’Università, nei suoi gradi accademici più elevati e potrebbero significare un suo impegno universitario in forma non istituzionalizzata e quindi non oggetto di memoria scritta”.
Ancora nella lastra accanto al cuscino a destra c’è lo stemma del padre, a sinistra quello del marito. In genere nell’ araldica femminile il posto d’onore, a destra, è riservato al coniuge. Qui l’inversione probabilmente è motivata dalla fama maggiore del padre (Archidoctoris Decretorum), rispetto a quella del marito (Doctoris Decretorum) come scrive il Tomasi12. E Bettina era un dottore in legge, figlia e moglie di giureconsulti che rappresentavano una categoria di prestigio come cavalieri, giudici, notai, dottori in arte e medicina per poter essere sepolta al Santo. E infine come dice Baldissin Molli11, anche se i meriti della donna non sono evidenziati dalla lapide, è la lastra figurata stessa che “costituisce nella sua modalità silente un passo avanti perché a parlare è la figura stessa”. E dello stesso parere è Wolfang Wolkers13 che, “malgrado l’usura della pietra, sottolinea la raffinatezza della lastra tombale originaria, come si vede dalla cura del vestito, dai ricami dei cuscini (un altro sotto i piedi) e dal gioiello che cade sul petto”.
Molti sono gli scrittori che esaltano le capacità di insegnamento di Bettina, a cominciare da Facciolati, Croce, Gonzati, Carducci, Foladore14, e solo pochi quelli che come Guido Rossi15 ridimensionano “il ruolo di queste figure femminili, soprattutto quella di Bettina dicendo che nel suo caso la padronanza giuridica sarebbe stata scambiata con quella storicamente accertata di Bettina o Bettisia Gozzadini, giurista formatasi nello Studium bolognese un secolo prima”.
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L’arca funebre di Giovanni d’Andrea esposta al Museo civico di Bologna.
La lastra tombale di Bettina richiama l’arca del padre che inizialmente era posta nella chiesa di san Domenico e oggi collocata nel Museo Civico Medievale di Bologna. Anche il padre è raffigurato giacente sul coperchio dell’Arca, mentre sulla parte frontale è in cattedra tra due ali di studenti. E siccome Bettina è morta prima del marito, è verosimile che il coniuge sia stato coinvolto nella definizione della lastra tombale e dell’arredo funerario della moglie. La lastra funeraria di Bettina è semplice, senza le formule funerarie frequenti nelle altre sepolture femminili, per dar maggior risalto alla immagine della donna. Il Gonzati parla di una lastra funeraria fissata alla parete, asserendo che un tempo era a terra, dove poi fu risistemata in un momento non precisato. E Sartori16 riporta che “Nel 1856 furono eseguiti lavori per la sistemazione del pavimento del Chiostro del Capitolo; le lapidi non andarono disperse, ma si rizzarono in luoghi opportuni; la sola che rimase al suo posto ricorda il nome e la figura della celebre donna Bettina di Giovanni d’Andrea che nel secolo 14° insegnava diritto canonico nella nostra Università”.
Nicoletta Giovè Marchioli17, a proposito del monumento di Bettina scrive: ”Da pochissimo restaurato e recuperato a nuova e piena visibilità; a spiccare è la notevole lastra che raffigura una donna giacente, ai due lati della quale si trovano gli stemmi sia del genitore che dello sposo. Non si può tuttavia non suppore che l’onore tributato a Bettina sia stato determinato dai grandi meriti culturali del padre e, naturalmente anche dei propri, se pensiamo alla sua erudizione ed in particolare alla sua conoscenza del diritto canonico, non certo consueta e ovvia per una donna, ma tradizionale tra le donne della sua famiglia”.
Luisa Santinello18 nel “Messaggero di Sant’Antonio” del 4 marzo 2017 scrive nel suo articolo dal titolo “C’è del rosa in Basilica”: “Dalla Vergine Maria a santa Chiara, da Bartolomea Scrovegni a Costanza d’Este, le donne abitano da sempre la Basilica del Santo“. In vista dell’8 marzo 2017 è stato programmato un tour guidato dal titolo “Sante, colte e coraggiose. Alla scoperta delle figure femminili nella Basilica di Sant’Antonio di Padova, tour che ripercorre attraverso lapidi, iscrizioni ed affreschi le storie di donne che hanno lasciato una importante traccia nella nostra città di Padova e non solo sante, ma anche mogli, madri e figlie, intellettuali, religiose e benefattrici. È un modo, per ricordare nel giorno della festa della donna, come al progresso e alle conquiste della civiltà hanno partecipato donne che con fatica si imposero e si emanciparono fino a diventare protagoniste nella storia della nostra fede in campo sociale, politico, artistico e filosofico”. E ancora: “Figure femminili che hanno trovato sepoltura o memoria nella Basilica del Santo, un privilegio riservato quasi agli uomini: solo poche hanno potuto godere di un così grande privilegio in funzione del nobile marito con cui venivano sepolte o del noto padre a cui venivano associate. Ma per molte hanno giocato un ruolo importante le doti e le virtù manifestate in vita”. E durante la visita organizzata alla Basilica di S. Antonio di Padova in occasione della Giornata della Donna del 2017, la lastra tombale di Bettina di Sangiorgi era una delle tappe.
Giovanni Sangiorgi, dopo la morte della moglie probabilmente si trasferì a Bologna o fece spola tra Bologna e Padova per un determinato periodo; nel 1362 – 1363, come scrive Andrea Bartocci19 era a Firenze ad insegnare diritto canonico. In quel periodo conobe Francesco Bruni, uomo colto e caritatevole e lettore di retorica fin dal 1360 allo Studium di Firenze. Questi lasciò Firenze e si recò ad Avignone su invito del papa Urbano V che lo elevò nel settembre 1362 al rango di proprio segretario, carica che tenne anche con i successori Gregorio XI e Urbano VI. Giovanni Sangiorgi scrisse due lettere a Bruni per intercedere presso il pontefice affinché gli procurasse un impiego più lucroso nella Curia. Bruni lo invitò a recarsi ad Avignone; Sangiorgi aderì all’invito, ma dichiarò di non potersi allontanare dalle due giovani figlie avute da Bettina e che egli aveva sposato entro il 1342. È probabile che Giovanni Sangiorgi sia morto alla fine del 1363.
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Bettina Calderini, busto in terracotta dello scultore di Casa Fibbia, 1680-1690 ca.
Onorificenze
Di Bettina c’è un busto di terracotta dello scultore di Casa Fabbia (periodo 1689-1690), che è ora conservato nella sala della Cultura del Museo della Storia di Bologna, a Palazzo Pepoli. Il busto fa parte del ciclo di sculture di 12 donne bolognesi dello scultore di Casa Fabbia eseguito tra 1680 e 1690. Gli altri busti sono Bitizia Gozzadini (giurista 1209-1261), Giovanna Bianchetti Bonsignori (giurista 1314-1354), Novella d’Andrea, Bettina d’Andrea, Maddalena Bianchetti Bonsignori (giurista,?—1396), Ippolita Paleotti (poetessa in latino e greco, ? – 1581), Elisabetta Sirani (pittrice, 1638-1665), Properzia de’ Rossi (scultrice, 1490- 1530), Lavinia Fontana (pittrice, 1552- 1614), Costanza Bocchi (filosofa, ? – 1566), Dorotea Bocchi (medico e filosofa, 1360- 1436), Cornelia Zambeccari (erudita in lingue e poetessa, 1562-1609).
Note
1 C. Bonafede, Cenni biografici e ritratti d’insigni donne bolognesi, Tipografia Sassi nelle Spaderie, Bologna, 1845.
2 Cristina di Pizzano era figlia di Tommaso di Pizzano che tenne la cattedra bolognese di astrologia dal 1344 al 1356. Era nata a Venezia nel 1364. E’ stata una scrittrice e poetessa francese di origine italiana. Il padre su invito del re di Francia Carlo V si trasferì in Francia nel 1369. Cristina a 15 anni sposò Etienne Castel il cui padre apparteneva alla casa del re. Nel 1380 muore il re Carlo V e gli affari di Tommaso cominciano a declinare. Il padre muore nel 1387.Nel 1390 muore il marito di Cristina e lei si trova vedova a 25 anni con a carico la madre e tre figli. Per vivere ricorre alla propria penna e divenne la prima scrittrice professionista della letteratura francese. Muore nel 1430 nel monastero di Poissy dove c’era una figlia suora. Si batté contro l’inferiorità femminile che aveva causato l’assenza dalla scena culturale e fu a favore dell’istruzione femminile dicendo “una donna intelligente riesce a far di tutto e anzi gli uomini ne sarebbero molto irritati se una donna ne sapesse più di loro”. E scrive contro coloro che dicono” che non sta bene che le donne imparino le lettere” e sottolinea un fatto importante di Giovanni d’Andrea che “non era d’opinione, che fosse male, che le donne fossero letterate”. La sua opera più importante è “La citè des dames” pubblicata a Parigi nel 1405.
3 J. Facciolati, Fasti Gymnasiii patavini, dal 1517 al 1756, Tipografia del Seminario, 1758.
4 G.C. Croce, La gloria delle donne, Bologna, 1590.
5 F.M. Colle, Storia scientifico-letteraria dello Studium di Padova, Tipografia della Minerva, Padova, 1824-1825. Francesco Maria Colle, nasce a Belluno nel 1744; entrato giovanissimo nella Compagniia di Gesù, studiò lettere a Piacenza, filosofia e matematica a Bologna, diventando poi docente di retorica in diverse scuole a Mantova, Verona, Vicenza. Con lo scioglimento della Compagnia di Gesù (1773) tornò allo stato laicale, si stabilì a Padova, fecndo il precettore della famiglia Innocenzo Massimo e si laureò in giurisprudenza. Divenne storiografo ufficiale dell’Ateneo con i compiti di proseguire i Fasti di Jacopo Facciolati e di scrivere una nuova storia dell’Università in lingua italiana. I suoi scritti furono pubblicati postumi nel 1841 da Giuseppe Vedova patavino. Morì a Belluno nel 1815. Storia scientifica-letteraria dello Studium di Padova. Tip. Della Minerva 1825, a cura di Giuseppe Vedova.
6 www.enciclopediadelledonne.it, U. Eco Bettisia Gozzadini e Novella D’Andrea. 2012.
7 G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Modena, 1775.
8 V. Zaramella, Guia inedita della Basilica del Santo. Quello che della Basilica del Santo non è stato scritto. Padova, Centro Studi Antoniani, 1996.
9 B. Gonzati, La Basilica di Sant’Antonio di Padova, descritta ed illustrata. Padova, ed. A. Bianchi, 1853.
10 G. Carducci, Ceneri e Faville, Ed. Zanichelli, Bologna 1893.
11 G. Baldassin Molli, Devote e colte: le sepolture trecentesche femminili della Basilica di Sant’Antonio di Padova, 2023.
12 M. Tomasi, Sondaggi in una zona d’ombra: appunti sulla scultura trecentesca al Santo, in “L. Bertazzo, G. Zampieri (eds), “La pontificia Basilica di Sant’Antonio in Padova”. Roma, L’Erma di Bretschneider, 2001.
13 Wolfgang Wolters, Il Trecento, in ”Le sculture al Santo di Padova” di G. Lorenzoni, Vicenza, ed. Neri-Pozza, 1984.
14 G. Foladore, Il ricordo della vita e la memoria della morte nelle iscrizioni del corpus epigrafico della Basilica di Sant’Antonio di Padova (secoli XIII-XV), Tesi dottorato di ricerca in Scienze Storiche, ciclo XXI, Padova, Università degli Studi di Padova, 2009.
15 G. Rossi, Contributi alla biografia del canonista Giovanni d’Andrea, in “Studi di storia giuridica medievale” a cura di G. Gualandi- N. Sarti, Milano 1997.
16 A. Sartori, Archivio Sartori. Documenti di storia e arte francescana, Vol.I-IV a cura di Giovanni Luisetto, Padova, Biblioteca Antoniana, Basilica del Santo, 1983-1989.
17 N. Giovè Marchioli, Le epigrafi funerarie trecentesche del santo. In “Cultura, arte e committenza nella Basilica di Sant’Antonio di Padova nel Trecento, Atti del Convegno Internazionale di studi. Padova 24-26 maggio 2001, a cura di L. Baggio e M. Benetazzo, Padova, centro Studi Antoniani, 2003.
18 L. Santinello, C’è del rosa in Basilica. Messaggero di S. Antonio, 4 marzo 2017.
19 A. Bartocci, Giovanni Sangiorgi, in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), Bologna 2013. Cfr anche A. Bartocci, Tra Firenze ed Avignone. Due lettere di Giovanni da San Giorgio a Francesco Bruni. Studi per il settantesimo compleanno di Mario Ascheri. In “Honor alit artes”. A cura di Paola Maffei e Gian Maria Varanini. “La formazine del diritto comune. Giuristi e diritti in Europa (secoli XII- XVIII). A cura di Paola Maffei e Gian Maria Varanini, Firenze University Press, Firenze 2014.