I resti di Babele 15. Ragni, musica e possessioni nello sguardo dell’antropologa

Dopo quel primo viaggio di giugno del ’59, Annabella tornò ancora qui in Salento. In agosto per assistere al pellegrinaggio di S. Donato a Montesano, l’anno dopo a Galatina per la festa di S. Paolo. Una passione breve ed intensa, dunque, fu quella tra Annabella Rossi e questa terra. Di quella passione restano gli scritti che l’editore Kurumuny propone in un volume intitolato Il colpo di sole e altri scritti sul Salento, curato con rigore ed affetto da Vincenzo Esposito, con un intervento di Stefania Baldinotti e uno dello stesso Esposito. Negli studi sul tarantismo non si può fare a meno di questi testi che Annabella Rossi ha elaborato tra l’inizio del ’60 e il dicembre del ’71. Perché costituiscono la testimonianza concreta di come possa accadere che  l’esperienza di ricerca vada ad incontrarsi con l’esperienza dell’esistenza. Ricorda Annabella Rossi che quando chiese a De Martino quale metodo bisognasse usare per essere dei bravi antropologi, lui rispose che era necessario vivere le esperienze: il resto sarebbe venuto dopo. Poi aggiungeva: “Vivere la realtà e già scienza”.  Probabilmente non è un metodo che vale solo per l’antropologia. Vale per ogni genere di ricerca. E’ un metodo che si fonda sulla passione per gli esseri e le cose che si studiano, che si incontrano, con cui si stabilisce una relazione che consapevolmente o inconsapevolmente implica una condizione di sentimentalità e quindi di percezioni, sensazioni, emozioni. Senza sentimento qualsiasi genere di ricerca si risolve in una aridità che non produce significati, che non sviluppa comprensione, conoscenza, scienza. Allora, tutte le volte che in qualche modo si fa riferimento a quello che si definisce metodo scientifico, si dovrebbe ricordare Ernesto de Martino: vivere la realtà è già scienza.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, giovedì 16 gennaio 2025]

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