Non capivo il significato di quel che dovevo imparare (sapevo a memoria le declinazioni latine, e non dimentico fero fers tuli latum ferre) e provai a chiedere lumi. La risposta di solito era: ora studia, poi vedrai che ti servirà. Arrivato a 74 anni, l’utilità molte di quelle nozioni rimane per me un mistero. Devi imparare il metodo, mi dicevano. Ma non riuscivo a comprendere l’utilità di un metodo che prevedeva di apprendere senza capire veramente.
L’approccio utilizzato era eminentemente deduttivo: ti insegno regole astratte che poi, un giorno, potrai applicare a situazioni particolari. Ora intanto impara le regole. Studiai così anche l’inglese e il francese, ma imparai quelle lingue solo quando ebbi occasione di praticarle direttamente, ricominciando da zero. Se mi avessero insegnato così la lingua madre, iniziando da grammatica e sintassi, senza mai farmi parlare, non avrei mai imparato. L’apprendimento, soprattutto nelle prime fasi, è eminentemente induttivo: si imparano cose particolari, dall’esperienza, e poi si cerca di derivare da esse le regole generali. I bambini parlano senza conoscere la grammatica e la sintassi, e lo stesso avviene quando iniziano a scrivere. Prima si fa la pratica, si comprende l’utilità di quel che si sta imparando, e poi si studiano le regole, avendole già applicate e avendone quindi appreso la rilevanza che, in seguito, viene formalizzata.
Una scuola deduttiva (prima le regole e poi la pratica) è contronatura. I bambini hanno la biofilia: una naturale propensione verso le cose viventi, verso la natura. Portate un giovane umano a contatto con la natura e comincerà a fare domande, a chiedere, a voler sapere. Se incontra animali cerca di prenderli, di toccarli, e vuol sapere cosa sono. Se fornite spiegazioni di quel che sta sperimentando, le ricorda. E ne chiede ancora, espandendo il suo campo di conoscenza. A scuola i bambini stanno seduti nel banco e imparano cose a memoria. Poi escono e non conoscono gli alberi che incontrano mentre tornano a casa. Magari imparano Il Passero Solitario, che canta sulla vetta della torre antica, ma non sanno che non si tratta di un comune passero che si trova solo soletto su quella torre. Dobbiamo fare la transizione ecologica perché abbiamo operato come se l’ambiente non esistesse, non conosciamo la biodiversità e il funzionamento degli ecosistemi, recentemente inseriti nell’Art. 9 della Costituzione, ma ora dobbiamo imparare le poesie a memoria. I bambini non hanno bisogno di imparare a memoria, lo fanno naturalmente. Imparano a memoria i nomi dei dinosauri (o dei calciatori) perché per loro sono interessanti. Non fanno alcuna fatica a farlo. Come imparano a memoria i testi delle canzoni che ascoltano. Non devono studiare, si tratta di apprendimento naturale. Queste propensioni devono essere coltivate, assecondate, e solo dopo si può passare alle deduzioni. I bambini (e le bambine) devono imparare a osservare il mondo che abitano e devono sapere che l’Italia non è il centro del mondo. Mi accorsi della mostruosità di questa impostazione culturale quando, per la prima volta, andai in un paese arabo. Era tutto scritto in arabo. Poi vidi i numeri sulle porte delle case e mi dissi: ah, almeno usano i nostri numeri! E invece siamo noi a usare i loro, e loro li hanno imparati dagli indiani. Quando passammo dalla numerazione romana a quella araba si aprirono nuove strade per la nostra architettura, per la nostra scienza, e questo lo dobbiamo alla contaminazione delle culture. Istruire giovani umani con la convinzione che “esistiamo solo noi” è l’anticamera del provincialismo culturale e del razzismo: “noi” abbiamo una cultura e una storia, e “loro” no.
Da studente, senza capire perché, mi ribellai a quelle imposizioni e fui sempre rimandato a partire dalla prima media fino alla quinta liceo, e fui bocciato due volte. All’Università, finalmente, trovai la mia strada e arrivai, finalmente, a capire che Darwin elaborò una grandiosa teoria scientifica per induzione, mentre altrettanto grandiose teorie della fisica sono state elaborate per deduzione. Sarebbe bene mantenere un bilanciamento tra questi due modi di apprendere, senza pretendere che tutti i bambini siano Darwin oppure Einstein. Qualcuno avrà maggiore propensione per Einstein e altri per Darwin, ma tutti imparano a parlare per induzione, con l’esperienza.
[Il blog di Ferdinando Boero ne “Il Fatto Quotidiano” online del 16 gennaio 2025]