Manco p’a capa 235. Chaparral


Anche in Australia i fuochi hanno aumentato di intensità, proprio come in California, e i botanici ritengono che questo sia dovuto al cambiamento climatico: le specie sono adattate al fuoco, ma fino a un certo punto. Anche la grande barriera corallina australiana è composta da specie che richiedono alte temperature, ma se l’innalzamento è eccessivo vanno incontro a mortalità massive: lo sbiancamento dei coralli. La natura ha le risorse per riprendersi: le specie più tolleranti prevarranno sulle specie più sensibili e l’evoluzione innescherà ulteriori adattamenti delle specie che hanno le risorse genetiche per affrontare le nuove condizioni.
Per il momento i fuochi di enormi dimensioni hanno effetti perversi sul cambiamento climatico: la combustione della vegetazione libera anidride carbonica, esacerbando il riscaldamento climatico.
Come ci dobbiamo comportare in questi casi? Da una parte la spinta all’urbanizzazione porta a una modifica sostanziale di porzioni limitate di territorio, densamente popolate, e all’abbandono di estese zone rurali. Queste, lasciate a se stesse, potrebbero reagire come il chaparral della Baja California e non ci sarebbe bisogno di grandi interventi, visto che eventuali incendi interesserebbero aree spopolate. La crescita della popolazione, però, richiede l’utilizzo di terreni agricoli sempre più vasti, soprattutto in pianura. I vegetali che mangiamo consumano anidride carbonica e producono ossigeno ma sono destinati ad essere “bruciati” dal nostro metabolismo e da quello degli erbivori che mangiamo, con produzione di anidride carbonica. Il consumo della vegetazione coltivata rende temporaneo il sequestro del carbonio nei corpi delle piante.
Non credo esistano magiche soluzioni a questi problemi. I ricconi californiani abbandoneranno le loro ville minacciate dal fuoco e si trasferiranno su qualche isola che raggiungeranno con i loro jet privati, ma dovranno fare i conti con l’innalzamento del livello del mare e, magari, con gli uragani.
Gli estremi climatici diventano sempre più accentuati e frequenti anche da noi. La siccità in Sicilia fa il paio con le inondazioni ripetute in Romagna. Ma l’unica preoccupazione riguarda la diminuzione della neve nelle località sciistiche; ma il problema si risolve con la neve artificiale!
La transizione ecologica dovrà affinare le conoscenze ecologiche (pare ovvio, ma non è scontato) in modo da comprendere sempre meglio questi fenomeni e innescare strategie di contrasto, mitigazione ed adattamento al cambiamento climatico. La cultura che ha prevalso in fino ad ora prevedeva di poter dominare e sfruttare la natura per soddisfare le nostre esigenze. Per un po’ la strategia ha funzionato, ma ora i suoi limiti sono evidenti. L’articolo 44 della Costituzione dice: “Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione secondo le regioni e le zone agrarie, promuove ed impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive; aiuta la piccola e la media proprietà. La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane”.
Le parole sfruttamento e bonifica, evidenziano una cultura di dominio sulla natura e non di adattamento alle sue caratteristiche. Dobbiamo evolvere, o saremo severamente ridimensionati. Gli ecologi dicono queste cose da moltissimo tempo e sono considerati ecoterroristi da chi ancora persegue politiche di sfruttamento illimitato della natura. Il ministro della protezione civile, comunque, ha la soluzione: assicuratevi contro incendi e inondazioni. A che serve l’ecologia? Bastano le assicurazioni, no? Lo stato, da parte sua, non ha risorse per far fronte a queste emergenze: ci dobbiamo armare per combattere i nemici. E se fossimo noi, i nemici?

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