Succede sempre così. Uno traccia il solco, apre la strada a nuove idee e iniziative, e al minimo riscontro più o meno positivo, gli emuli affiorano a frotte, a fiumane, a moltitudini. «Piatto ricco (è il caso di dirlo) mi ci ficco!». Salvo, poi, che questi imitatori e seguaci siano troppo spesso animati non proprio da intenti artistici, didattici o culturali ma esclusivamente di profitto economico e/o personalistico, senza quindi corrispondere al telespettatore un minimo di schietto e istruttivo divertimento, e men che meno attendibili informazioni e ‘istruzioni per l’uso’. Come la va, la va.
A imitazione dei programmi seri e di giusto successo, ti prepariamo una nostra imitazione, una ‘pietanza’ affine, ma insipida e sciocca, tanto (così la pensano taluni di questi signori…) tu non te ne accorgi nemmeno: te ne stai seduto in poltrona, e come un merluzzo semi-addormentato abbocchi a tutto ciò che ti propiniamo, infiocchettandolo ad arte con ipocriti sorrisetti, roboanti paroloni, e adeguati lustrini e paillettes, tipo show all’americana.
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In genere, non sono un patito della tv. Mi piace, ma con moderazione. E non ne sono comunque condizionato. D’altro canto – lo aggiungo per completezza di pensiero – non ho nulla contro di essa, e ci rispettiamo a vicenda. La considero come un utilissimo strumento divulgativo, ormai quasi indispensabile. Senza esserne, però, soggiogato. Tanto che il tettuccio della nostra casetta, del tutto privo di antennone paraboliche, ripetitori, e altri gingilli avveniristici, potrebbe idealmente somigliare a un’isoletta dispersa nel mare magnum del terrazzo condominiale, con una piccola antennina a mo’ di palma, circondata dalla foresta amazzonica dei sofisticati aggeggi elettronici o pannelli-radar dei vicini.
A loro va bene così. A me, vecchiettino un po’ retrò, va bene cosà. Semplicemente.
Le poche trasmissioni che vedo e ascolto con interesse e piacere mi bastano e avanzano. E resto comunque curioso nel ricercare e osservare programmi che, pur non ritenendoli a me congeniali, possono destare interesse, arricchendo talora le mie conoscenze. Come nel caso, appunto, dell’enogastronomia, che è ormai materia da considerarsi fra le regine delle trasmissioni.
Quello che mi preme, tuttavia, è sempre la qualità intrinseca delle cose o dei fenomeni. Capire se quello che vedo, ascolto o leggo è, intanto, degno di credito e di attenzione, se mi si dice la verità (facendomi acquisire nuovi apprendimenti) o se è tutta e soltanto strumentale finzione, banale spettacolarità o, peggio ancora, aria fritta.
Ecco: un conto è il divertimento leggero, allegro, disimpegnato, come può essere – nella fattispecie – l’insegnamento a divertirsi tra i fornelli o ad approfondire la conoscenza di prodotti fondamentali come l’olio e il vino (purché i ‘maestri’ prescelti alla bisogna siano seri professionisti e validi conoscitori); ben altro è la strumentalizzazione o il carpire la buona fede del telespettatore.
Un po’ di attenzione e di spirito critico non guastano mai. Uomini siamo, altro che merluzzi addormentati!
Appassioniamoci, dunque, alle trasmissioni ‘appetitose’! In definitiva – come nel celebre assunto filosofico di Feuerbach – “L’uomo è ciò che mangia”: esiste, cioè, un nesso diretto tra psiche e corpo.
L’importante è che la spettacolarizzazione della ‘cucineria’ televisiva non sfoci nella banalità o, peggio, nella demagogia populistica come succede in varie trasmissioni. Troppi chef ‘professoroni’ che pontificano con boria e sussiego, manco fossero comandanti d’armata. Troppi sommelier ‘maghi del cavatappi’, che per bere un po’ di vino – tra scegliere il bicchiere adeguato, versarvi un dito o due del nettare, roteare quanto basta, alzare il calice per osservare la trasparenza, annusare, umettare le labbra, indovinare la gradazione e la composizione degli uvaggi, e anche la zona d’origine, e l’annata, il nome del contadino che l’ha prodotto, e i suoi parenti di primo grado – quel vino lì, nel frattempo, è diventato aceto!…
Dai! Siamo seri!!! Con tutto il rispetto per la cultura enogastronomica, cucinare, mangiare e bere deve tornare ad essere – in semplice purezza – Arte e Sapienza. Gusto e Piacere. Gioia e Convivialità.
Basta con queste gare televisive che appaiono missioni di Indiana Jones all’ultimo respiro. Con allievi irretiti e plagiati, che devono preparare un bucatino all’amatriciana entro quattro minuti e dodici secondi netti, pena l’ignominia. Sotto lo sguardo severo, spesso irritato, e ancora più spesso di offensivo rimprovero, dell’autonominatosi immenso Imperatore dei Cuochi e Pontefice Massimo degli Chef… Lasciamole perdere, queste autentiche ridicolaggini, che non rendono alcun merito alla buona tavola e alla nostra millenaria tradizione culinaria.
E ora, scusate, se vi lascio per un momento. M’è venuto desiderio di un piattino di thria e cìciari e di pìttule della nonna, innaffiate da un po’ di mieru buono: quello ‘ignorante’, che macchia il bicchiere.
Fra un po’ apparecchio la tavola, mentre la mia Teresina è già tra i fornelli.
Se volete, con nostro grande piacere, potete favorire.
[“Il Galatino” anno XLIX n. 5 dell’11 marzo 2016]