Ma al movimento marinettiano Frassaniti dedicò anche, nel 1910, uno studio critico inedito, dal titolo Il Futurismo, rimasto allo stadio di prima stesura e ritrovato manoscritto tra le sue carte, che è forse in assoluto, come ho già avuto occasione di sottolineare, il primo tentativo del genere o comunque, in ogni caso, sicuramente uno dei primi in tutta Italia. Questo lavoro, che rivela nel suo complesso un’accurata documentazione e un buon grado di comprensione delle novità del movimento in campo letterario, almeno nella sua fase aurorale, è diviso in varie parti, che affrontano le origini del futurismo, la figura del suo fondatore, F.T. Marinetti, e l’opera dei principali esponenti, Gian Pietro Lucini, Paolo Buzzi, Corrado Govoni, Enrico Cavacchioli e Aldo Palazzeschi. Lo studio è concluso da un capitolo, intitolato Che cosa rappresenta il Futurismo.
L’assidua attività di recensore, svolta da Frassaniti sulle pagine del “Risorgimento»”, lo portò a stabilire contatti epistolari con alcuni scrittori futuristi, quali lo stesso Marinetti, Paolo Buzzi e Remo Mannoni, che assunse lo pseudonimo di Libero Altomare. Proprio quest’ultimo, fra l’altro, in una lettera del 10 aprile 1910, lo informava di avere spedito ad Alberto Franco, direttore del settimanale leccese, una “recensione dell’Incendiario di A. Palazzeschi insieme a quella di Mafarka il futurista di F.T. Marinetti”. Delle due recensioni di Altomare, uscì però soltanto quest’ultima, il 27 aprile del 1910, forse perché sul giornale era già comparsa quella di Frassaniti.
Ma ritorniamo, adesso, allo scritto sull’Incendiario, giunto all’autore con la seguente dedica autografa di Palazzeschi che ho potuto leggere sulla copia conservata presso l’abitazione della famiglia Pedone-Frassaniti, a Squinzano: “a Mimì Frassaniti | omaggio di Aldo Palazzeschi”. Qui l’autore individua il motivo centrale del libro nella “religione” del sole di cui, a suo giudizio, Palazzeschi è una sorta di “sacerdote”. Non a caso si sofferma su due composizioni nelle quali emerge, fin dai titoli, questo motivo: La Regola del Sole, in cui si immagina un gruppo di signore che sta “in mistica venerazione sempre innanzi all’astro vitale” e La Città del Sole Mio, dove è descritta una città meravigliosa in cui solo i poeti possono entrare e confondersi “con l’elemento primordiale”. Ma, a giudizio di Frassaniti, se da un lato egli è il poeta della luce, della fiamma, del fuoco, dall’altra è quello della malinconia, del dolore. Le sue creature, infatti, anche se “parlano di luce, perché conservano le faville del sole […] hanno sulla fronte le stigmate del dolore e son ricoperte d’un nero velo”.
Della seconda parte del volume il punto più alto, a suo giudizio, è costituito dall’Orologio, che rappresenterebbe l’altro aspetto della personalità di Palazzeschi, quello più cupo e melanconico. Questa composizione, infatti, è definita “poesia schietta e bella, piena della tetra e melanconica idea della morte alla quale secondo una frase di Valentino Kore, i poveri uomini regalano il loro tempo”.
C’è da aggiungere ancora che anche nello studio inedito, Il Futurismo, Frassaniti dedica alcune pagine a Palazzeschi, di cui rinviene la “nota caratteristica” nell’ ”ironia”, che “gli spunta a fior di labbra e vi rimane con un sorrisetto lieve lieve appena percettibile”. Qui riprende sostanzialmente la recensione dell’Incendiario, facendola precedere però da alcune osservazioni sul romanzo :riflessi (1908), che ‒ scrive “è un’analisi sottilissima dell’anima sua ed è un nuovo genere ‒ non nella struttura, perché elige la forma epistolare – ma nel contenuto”.
Quest’opera gli era stata inviata nel frattempo da Marinetti, come risulta da una lettera speditagli il 14 giugno 1910. In quella stessa lettera, fra l’altro, il fondatore del futurismo forniva “i cenni bio-bibliografici” degli aderenti richiesti da Frassaniti e, a proposito di Palazzeschi, così scriveva: “Aldo Palazzeschi, fiorentino, ha 22 anni. Opere: Riflessi [sic!], I cavalli bianchi, Poemi, L’Incendiario. In preparazione un romanzo”.
***
L’Incendiario di Aldo Palazzeschi
Come le aquile questo poeta virginale può figgere gli occhi nel sole, senza che ne fossero abbacinati.
Egli ne ha fatta la sua religione e come sacerdote può celebrarne i riti con quel semplice misticismo naturale, con cui s’innalzarono i primi canti a questo Iddio sovranamente grande e benefattore eterno. Quest’artefice lavora la preziosa sua materia nel calore solare, tanto che i suoi versi conservarono lo scintillio dei raggi
Ogni verso che scrivo è un incendio
libera le creature semplici e belle dalla inerte materia, soffiandovi un anelito della sua anima facendole vivere nella fulgida luce dello spirito.
A L’Incendiario il duce della falange fiammante F.T. Marinetti, anima di vero artista, “poeta d’impulso e di fervida fantasia” come lo chiama il Benco, ha trasfuso l‘ardore tanto che egli invoca
come fossi una fiamma,
una povera fiamma che aspetta…
il tuo riflesso!
Su le creature, che la fantasia di questo poeta ha creato, pare che un’ala di melanconia vi si spanda; esse parlano di luce, perché conservano le faville del sole, ma hanno sulla fronte le stigmate del dolore e son ricoperte d’un nero velo.
“È un melanconico sognatore il Palazzeschi” dice Elda Giannelli, “un dipintore di fantasime”. Come tale ci appare dalla lettura dei suoi versi: son quadri vaghi a semplici tratti di pennello, note di quel vivo sentimento, che sta in fondo alle belle anime sognanti, gridi di ribellione che gli erompono dal cuore.
Chi sono?
Il saltimbanco dell’anima mia.
E di qual tagliente e fine umorismo egli non vela la Fiera dei morti,
In cima al camposanto,
sopra un grande palcone
improvvisato per l’occasione,
si mettono i teschi all’incanto.
Ma dove egli si rivela veramente il poeta della fiamma è ne La Regola del Sole. La figurazione fantastica è assai semplice: un gruppo di signore ha istituita una strettissima clausura in una isoletta spersa in mezzo al mare e sta in mistica venerazione sempre innanzi all’astro vitale. Esse vivono beate, la mattina aspettano che il lor signore surga dal mare
per augurare il buon viaggio
e a sera
… lo salutano,
gridano, negli ultimi momenti fugaci,
gli gettano gli ultimi baci.
Queste suore non muoiono di nessun male
si disseccano al Sole…
come le rose e le viole,
e più che centenarie
vaniscono evaporano nel Sole
come un qualunque vapore,
senza la consueta putrefazione.
Geniale e semplice il pensiero del Palazzeschi! Segue un’altra poesia La Città del Sole Mio. Egli celebra questa città meravigliosa, nella quale solo il poeta può penetrarvi, quasi a significare che solo questi esseri possono confondersi con l’elemento primordiale.
Ogni fantasima di quest’arte, sembra a chi la riguarda, tanto semplice e direi quasi innocentemente bambina che pare circonfusa in un nimbo di candore e di rosa, mentre la sua significazione è d’un profondo sentimento, la sua realtà è la cruda filosofia che agghiaccia i belli entusiasmi della giovinezza con il suo freddo marmoreo.
Della seconda parte del prezioso volume Al mio bel castello dirò brevemente come me lo concede lo spazio. In questo poemetto il poeta fa vedere l’incontentabilità della sua fantasia che non vuol rinchiudersi nei medesimi luoghi,
Un poeta quando è stanco
cambia castello;
piglia sulle spalle il suo fardello
come un qualunque saltimbanco.
Egli ritrova alfine il castello del suo sogno: un vecchio edificio diruto, con poche stanze abitabili ma
… girano e girano
e serpeggiano
le rondini attorno al vecchio castello
e ciò è bastevole per un sognatore. Poi ci dice delle sue passeggiate: piccoli quadri a vividi colori, impressioni che direttamente ripercuotendosi nello specchio terso della sua anima fantastica e sognante si fissano sulla carta senza il velo mendace, di cui spesso si mascherano quelle dei poeti di scuola.
Ma il lirismo di questa seconda parte giunge l’apogeo nell’Orologio; poesia schietta e bella, piena della tetra e melanconica idea della morte alla quale, secondo una frase di Valentino Kore, i poveri uomini regalano il loro tempo.
Non si possono certo ripetere tutte le impressioni avute nella vasta e sterminata messe di fantasmi, di sogni e d’ideali, che il Palazzeschi ha suscitato nel suo libro di poesia nelle colonne d’un giornale, ma son certo che i lettori sapranno apprezzare le altre doti di questo giovane, che gitta i suoi liberi canti nell’azzurro, su, su nel sole, più di quello che io non abbia saputo fare.
Mimì Frassaniti
(“Il Risorgimento”, Lecce, a. XXXV, n. 14, 13 aprile 1910)
[In “L’immaginazione”, n. 344, novembre-dicembre 2024 e n. 345, gennaio-febbraio 2025]