E’ un libro di memoria senza nostalgia, questo di Albahari. La memoria senza nostalgia si chiama storia. Allora è un libro di storia, con luoghi, fatti, personaggi. Un libro di storia locale, inteso come maglia della rete che costituisce la storia globale. Il luogo è un microcosmo. Ma come accade in ogni microcosmo, il verificarsi dei fatti anticipa quello che accadrà in contesti più ampi. In questo microcosmo, l’esistenza dei personaggi si costituisce come metafora dell’esistenza dei personaggi che attraversano luoghi distanti. Il microcosmo di Albahari è quello che Ernesto de Martino chiamava villaggio vivente nella memoria. E’ il villaggio che si abita culturalmente e del quale si osserva il divenire, la mutazione antropologica, la conformazione delle esistenze della prossimità che si mettono in relazione con la fisionomia delle esistenze della lontananza. Per esempio: da qualche altra parte – lontana – c’era una volta un carrettiere, come quello che disegna Albahari. Forse aveva le stesse rughe scavate intorno agli occhi; forse aveva addosso tutta la stanchezza della terra. Ma per noi, qui, in Salento, il carrettiere è quello che non esiste in nessun altro luogo del mondo: è il carrettiere di Vittorio Bodini che rientra decapitato dalle cave, oppure quello che con la frusta taglia a fette la nuvola di caldo. (Oppure è quello che risaliva lungo la strada quando calava il sole, e cantava per far capire alla sua bella che stava ritornando). Libro di memoria senza nostalgia. Ma poi come si fa a dire se non sia libro di memoria con una celata nostalgia.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Giovedì 2 gennaio 2025]