Dopo il noviziato svolto a Padova nel periodo 1923-1924, si trasferì a Roma per studiare teologia presso la facoltà teologica di S. Bonaventura e fu ordinato sacerdote il 6 luglio nella Basilica di San Giovanni in Laterano; celebrò la sua prima messa a Cherso il 13 dello stesso mese nella chiesa di S. Francesco. In quella occasione distribuì la comunione alla mamma, al fratello, alla sorella e a molti parenti, non al padre Matteo e al fratello Mate che erano già morti.
In un primo momento (1931-1933) fu destinato al convento di Padova e poi fu spostato a Milano nella parrocchia dell’Immacolata e Sant’Antonio, dove officiò dal 1933 al 1937, quando fu richiamato a Padova per dirigere la rivista “Messaggero di sant’Antonio”, carica che tenne fino al 1943.
Nel 1939 fondò la tipografia antoniana, dove poi verrà stampato il “Messaggero di sant’Antonio” che prima veniva stampato nella tipografia del Sig. Bolzonella, sita in Piazza del Santo. Padre Placido Cortese non si occupava solo della Direzione del Messaggero, ma si impegnava anche nel campo della carità. Nel 1941 erano stati istituiti dei campi di concentramento in Italia, uno dei quali a Padova, nel quartiere periferico della città detto Chiesanuova2. Sempre nel 1941 fu incaricato dall’allora delegato Pontificio per la Basilica del Santo, mons. Francesco Borgongini Duca (1884-1954), come assistente agli internati, per lo più sloveni e croati provenienti dalla Jugoslavia occupata dagli eserciti italiano e tedesco, per cui poteva entrare nei campi di concentramento più facilmente, andando con la sua bicicletta, portando indumenti, cibo, lettere e pacchi dei familiari, nascondendo tutto sotto la tonaca. Ma padre Placido – come scrive padre Giorgio Laggioni – “portò anche la sua presenza di sacerdote e di francescano, fratello di tutti, senza guardare alle tante diversità di appartenenza, cultura, fede religiosa […].
Padre Massimiliano Patassini nel suo articolo “Padre Cortese, parola e carità” apparso sul “Messaggero di sant’Antonio” del novembre 2024, in occasione degli ottant’anni dalla morte scrive: “A partire dall’armistizio con gli alleati dell’8 settembre 1943, la situazione si fece sempre più drammatica, soprattutto per gli ebrei, dissidenti politici, ex prigionieri inglesi e americani e molti altri braccati dalla Gestapo. Padre Placido divenne uno dei nodi più importanti delle reti di soccorso ai fuggitivi, soprattutto collaborando con il gruppo che faceva capo alle sorelle Martini (Lidia, Carla Liliana e Teresa), al gruppo di Saonara (comune in provincia di Padova, ndr) di Maria Borgato e della nipote Delfina e poi con Fra-Ma” (acronimo dei cognomi Ezio Franceschini, docente all’Università Cattolica di Milano, e Concetto Marchesi, rettore dell’Università di Padova, ndr). E Padre Patassini ancora scrive: “Incontrava persone in pericolo, forniva le foto per falsificare i documenti, […], faceva accompagnare in segreto i fuggitivi fino alla stazione, per farli scappare verso Milano e la Svizzera. Il tutto all’insaputa dei confratelli, che anzi vedevano con sospetto questo frate che agiva in modo indipendente; solo i suoi superiori sapevano qualcosa e lo ammonivano di aver prudenza, dato che il rischio di mettere in pericolo anche i frati era grande”.
Per molti mesi le cose filano lisce, ma poi i tedeschi scoprono e arrestano due delle tre sorelle Martini (Teresa 1916-2016; Lidia 1921-2011; Carla Liliana 1926-2017) e precisamente Teresa e Carla Liliana prima condannate a morte e poi invece inviate nel campo di concentramento a Mauthausen (da dove ritornarono nel giugno 1945). Ormai i tedeschi hanno capito che padre Cortese è la mente dell’organizzazione segreta, la sua sorte è segnata, è soprannominato con disprezzo “padre zoppino” per una disabilità che lo rendeva poco claudicante; è considerato un traditore del Reich e va eliminato e i suoi collaboratori scoperti e puniti. I contatti tra il padre e i suoi collaboratori per lo più avvenivano attraverso le grate del confessionale. A lui ci si rivolgeva in linguaggio convenzionale (sei scope, dodici rami) per indicare altrettanti documenti di cui si ha bisogno o per ottenere denaro necessario per l’espatrio. Oppure “padre c’è una scopa da mandare in Svizzera. E lui “di che colore è, chiara o scura? Attendi e prega mentre preparo”.
Quando i sospetti cominciarono a concentrarsi soprattutto su di lui, i superiori gli consigliano di “cambiare aria” e gli proposero un trasferimento in un altro convento o città, ma egli non accettò sapendo che dalla sua vita ne dipendevano molte altre. A consegnarlo alle SS naziste fu un amico che gli aveva teso una trappola facendolo chiamare dal portinaio del convento per prestare un soccorso d’urgenza ad alcuni rifugiati. Nella rete dei soccorsi si erano infiltrate delle spie e questo portò all’arresto di molte persone, tra cui padre Cortese, l’8 ottobre 1944. Padre Placido venne consegnato alle SS tedesche che lo fecero salire su una macchina che lo portò direttamente al bunker della Gestapo a Trieste.
L’allora rettore della Basilica, Padre Lino Brentari, il 9 ottobre 1944, dopo averlo invano cercato in convento ed aver constatato che nella sua stanza era tutto in ordine, si recò in Questura a denunciarne la sua scomparsa. Alla polizia lo descrive così: “E’ una persona di media statura, corporatura piuttosto gracile e snella, storto negli arti inferiori, viso oblungo, capigliatura bionda, occhi celesti con occhiali a stanghetta, dall’incedere claudicante. Devo precisare che verso le ore 13 di ieri (domenica 8 ottobre) due sconosciuti chiesero del suddetto padre con rozza insistenza. Uno era di media statura, faccia piena, carnagione bruna e giacca marrone scuro. L’altro, che si teneva in disparte, slanciato, magro e senza il braccio destro, con un impermeabile”.
A Trieste fu sottoposto ad interrogatori e a torture per estorcergli i nomi di patrioti e ricercati. Ma per le violenze subite nell’arco di 20 giorni padre Placido morì a inizio novembre 1944 a soli 37 anni. Il suo corpo fu presumibilmente cremato nella Risiera di San Sabba a Trieste.
Le sue tracce si persero, nonostante la denuncia della sua scomparsa da parte dei frati. Una falsa pista, creduta dai frati, lo indicava prigioniero a Bolzano nella primavera dell’anno successivo (1945). Padre Fulgenzio Campello (1913-1998) scrisse una lettera anche a padre Pio da Pietrelcina, e questi affidò a voce a suora Giustina Fasan, ora defunta e che viveva allora a Torremaggiore, non lontano da S. Giovanni Rotondo, di dire ai frati del Santo che non facessero “ricerche su Padre Cortese, perché è in Paradiso per la sua grande carità”.
Dopo l’8 ottobre 1944, per quasi cinquant’anni, di lui non si seppe più nulla fino a quando testimonianze di alcuni suoi collaboratori sopravvissuti ne riportarono a galla la vicenda eroica, e nel 2002 fu avviata la causa di beatificazione.
A partire dagli anni Novanta sono emerse testimonianze decisive come quelle di Adele Palanje e di Ivo Gregorg (1925-2014), grazie alle quali si è potuta ricostruire la sua drammatica fine. Morì nel 1944 torturato e ucciso, per opera della Gestapo nazista, nella base di Piazza Oberdan a Trieste. Il colpo di grazia mise fine alle sofferenze di padre Placido Cortese verso la metà di novembre del 1944: 15 novembre, secondo la sentenza di morte presunta emessa dal Tribunale di Padova il 4 luglio 2003, colmando la lacuna della mancanza di un certificato di morte che non venne mai prodotto da chi causò la morte del padre Placido Cortese. Tale data è stata scelta come simbolica per la sua memoria.
Domenica 8 febbraio 2018, alla fine della cerimonia inaugurale del 796° anno accademico dell’Università degli Studi di Padova, il Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, ha consegnato la medaglia d’oro al Valore civile, conferita al servo di Dio P. Placido Cortese con decreto del 5 giugno 2017. Ad incontrare il Presidente sono stati fra’ Oliviero Svanera, rettore della Basilica antoniana, e fra’ Giorgio Laggioni, vicerettore e vice-postulatore della causa di beatificazione.
Leonardo Di Ascenzo nel suo articolo “Medaglia d’oro al valor civile. P. Placido Cortese insignito dell’Onorificenza”, pubblicato su “Arciconfraternita del Santo” , numero di Aprile-Novembre 2018, commenta il riconoscimento che molti vorrebbero far passare come omaggio del Presidente: “All’antifascista Placido Cortese” invece è un riconoscimento alla sua opera di carità e non di politica, alla sua azione di aiuto ai civili ebrei e perseguitati e ai militari anglosassoni, al suo modo santo di interpretare la propria vocazione di sacerdote e francescano, di pastore sensibile alle sofferenze del suo gregge”. Durante la cerimonia il Presidente della Repubblica, scrive Alberto Frison su “Messaggero di sant’Antonio” del marzo 2018 “si era mostrato molto compiaciuto di poter onorare con un riconoscimento istituzionale la figura di padre Placido ed ha sottolineato l’importanza di tenere desta la memoria di un testimone così esemplare, che egli ha dimostrato di conoscere davvero bene”. La medaglia d’oro fu conferita con la seguente motivazione “Direttore del Messaggero di S. Antonio, durante la Seconda guerra mondiale e nel periodo della Resistenza, si prodigò, con straordinario impegno caritatevole e nonostante i notevoli rischi personali, in favore di prigionieri internati in un vicino campo di Concentramento, fornendo loro viveri, indumenti e denaro. Dopo l’8 settembre 1943 entrò a far parte di un gruppo clandestino legato alla Resistenza, riuscendo a far fuggire all’estero numerosi cittadini ebrei e soldati alleati, procurando loro documenti falsi. Per tale attività nel 1944 fu arrestato e trasferito nel carcere di Trieste, dal quale non fece più ritorno. Fulgido esempio di alti valori cristiani e di dedizione al servizio della società civile. 1942- 1944-Padova “.
Il padre era un elemento chiave dell’organizzazione, come scrive Franceschini in una lettera del 16 ottobre 1944: “Hanno arrestato il padre Cortese, il che è un colpo gravissimo, perché sapeva quasi tutto e, nel caso riuscissero a farlo parlare, saranno guai seri”. E padre Patassini annota: “Ma non aveva parlato, aveva custodito il segreto fino alla fine e se avesse rivelato qualcosa, molte persone sarebbero state arrestate; invece padre Cortese testimoniò “la carità nel silenzio, trovando nella preghiera e in Dio conforto e sostegno”.
Janez Ivo Gregorc, prigioniero, compagno di cella e testimone dell’agonia di padre Cortese scrive: “Padre Placido era terribilmente mal ridotto: l’avevano bastonato, picchiato; il vestito lacerato e la faccia rigata di sangue. Ho ancora presenti le sue mani deformate e giunte in preghiera. Ci siamo riconosciuti. Mi incoraggiava a rimanere fedele, a confidare in Dio, a non tradire nessuno”. E dice ancora le ultime parole del padre furono “Prega e taci”.
Fondamentale è stata la lettera della Sig.ra Lapanje a Padre Fulgenzio Campello del convento del Santo, dopo l’incontro con lui nella chiesa di S. Francesco a Padova, in occasione del Cinquantennale della Liberazione, il 19 aprile 1995. La lettera della Sig.ra Adele è datata Gorizia, 8 giugno 1995: “Caro Padre Campello, Le ripeto, in questa lettera, quanto le avevo già detto nell’incontro del 19 aprile scorso nella chiesa di S. Francesco a Padova. Nell’autunno del 1944, io ero prigioniera nelle carceri “Coroneo” di Trieste. Quando sono stata chiamata per l’interrogatorio mi hanno portata nel palazzo in cui c’era la sede delle SS tedesche. Questo palazzo, caratteristico per le arcate della facciata, si trova al limitare di una piazza (si tratta di piazza Oberdan, ndr) all’inizio della salita per andare al “Coroneo”. Preciso questo perché, non essendo di Trieste, ho sempre pensato e detto a Lei che ora lì ha sede il municipio, che invece si trova in piazza Unità, sul lungomare. Eravamo in quattro: io, la Maria Lazzari di Padova e due croati. Il più giovane di questi due era molto ciarliero e ansioso. Nell’attesa ci portarono nello scantinato. Qui c’erano alcune celle: tre o quattro gabbiotti corti e stretti con una specie di feritoia sulla parte superiore. La Signora Maria si è avvicinata alle celle chiedendo i nomi e così, in una, ha scoperto che c’era padre Cortese. E la voce che proveniva da quel buco era un filo, stentato, pieno di sofferenza. Era sottoposto, disse, a torture giornaliere. Si capisce che era molto provato, quasi allo stremo. Però non rispose ad alcune domande dirette e poco prudenti della Maria. Io non parlai con Lui. La mattina dopo, in carcere, mi hanno avvisata (confidenti i secondini italiani) che il giovane croato era una spia dei tedeschi e che si chiamava Mirko, che l’altro croato era un partigiano e che era stato fucilato la mattina stessa. Una settimana circa dopo, sempre per mezzo del tam tam carcerario, sono stata informata che padre Cortese era appena morto sotto tortura, senza che fossero riusciti a fargli dire i nomi dei suoi collaboratori. Dovevano essere i primi del novembre 1944. Non ricordo le date, ma ricordo l’impressione generale per questa morte: un martire o un eroe, a seconda dei punti di vista.
La signora Adele Lapanje è morta nel 2009. Il marito Angelo Dainese, allora fidanzato, era uno studente di Medicina a Padova e alloggiava in affitto presso la famiglia Lazzari, in via Solferino a Padova e lì fu arrestato e poi portato a Trieste ed era un collaboratore del gruppo di padre Placido Cortese. E continua nella lettera Adele: “Non so che cosa abbiano fatto del corpo: forse portato alla “Risiera di San Babba” tristemente nota a Trieste perché lì si eseguivano le fucilazioni e cremazioni. Caro Padre, Le ho ripetuto ciò di cui sono stata testimone e penso l’unica sopravvissuta. La Maria è stata deportata in Germania e non ne è ritornata. Mio marito, allora mio fidanzato, anche lui prigioniero al “Coroneo” in quel periodo e che ha saputo subito, lui pure della fine tremenda di padre Cortese, è morto nel 1981. La saluto e grazie per la sua benedizione. Lapanje Dainese Adele”.
Teste importante è stata anche la Signora Carla Liliana (1926-2017) che era la più giovane delle sorelle Martini che tanto collaboravano con padre Placido nell’attività clandestina d’aiuto ai perseguitati. Aveva 17 anni, fu arrestata nel marzo 1944 assieme alla sorella Teresa e venne deportata nel campo di concentramento di Mauthausen dal quale fece ritorno a guerra terminata. Ha lasciato le sue memorie nel volumetto “Catene di salvezza” in cui racconta la sua storia e i suoi incontri con padre Placido, parla dei documenti contraffatti, dei viaggi per portare a Como i clandestini e consegnarli per farli scappare in Svizzera.
Anche il noto scrittore Boris Pahor (1913-2022) ha ricordato la figura di padre Placido in un brano del suo libro “Piazza Oberdan”, edito da “ Nuova Dimensione” nel 2010. Pahor dice: “Padre Placido da giovane novizio aveva scritto ai genitori ‘Il cristianesimo e la vita francescana sono un peso che non ci si stanca mai di portare, che sempre più innamora l’anima verso maggiori sacrifici fino a morire tra i tormenti come i martiri’. Era stato un profeta ! (lettera in cui lui diciassettenne ha profetizzato il suo martirio)”. E Vladimir Vauhnik (1896-1955), colonnello sloveno, capo della rete informativa pro-. alleati dice: “Al religioso Placido Cortese, la Gestapo cavò gli occhi, tagliò la lingua e lo seppellì vivo. Aveva 37 anni e otto mesi”.
La testimonianza del famoso pittore Anton Zorzan Music (1909-2005), artista sloveno per un mese prigioniero nelle carceri della Gestapo a Trieste e poi deportato nel campo di concentramento di Dachau: “Mi ricordo che nel bunker di piazza Oberdan c’era un sacerdote, un certo padre Cortese. Erano visibili sul suo corpo i segni delle torture. Lo vidi per la prima volta quando ci portarono tutti in Questura per le fotografie di rito. Sulla giacca era vistosa una grande macchia di sangue. L’avevano picchiato duramente. Era una persona squisita. Teneva un comportamento da mite e pieno di speranza. Pregava sempre, a mezza voce. Gli avevano spezzato le dita. Mi colpiva la sua tenace volontà di resistere, la fermezza e la fede di quel piccolo e fragile padre, che non si arrese e non tradì nulla”.
E ancora la testimonianza di Ernest Charles Roland Barker (1919-1953), allora sergente britannico caduto prigioniero dei tedeschi durante un’operazione speciale in Friuli nel 1944 e portato per gli interrogatori nel quartier generale della Gestapo a Trieste nei giorni in cui anche padre Placido Cortese era trattenuto nello stesso luogo per essere interrogato e torturato a morte. Così scrive nel suo libro “Memorie”, pubblicato postumo nel 2021 a cura di Michael Kelly: “Io stesso ho visto molti prigionieri croati, italiani e di altre nazionalità che erano stati maltrattati, avevano gli arti fratturati, avevano ricevuto il cosiddetto trattamento elettrico che spesso provocava ustioni e altre lesioni al corpo. C’era in particolare un prete italiano, il parroco della chiesa di sant’Antonio, a Padova, al quale erano state estratte le unghie, spezzate le braccia (da intendere anche mani), bruciati i capelli e che portava i segni di ripetute fustigazioni sul suo corpo. In seguito mi è stato detto che gli avevano sparato. Barker non fu torturato perché le torture non erano riservate ai prigionieri di guerra, protetti dalle convenzioni internazionali, mentre erano riservate ad altri prigionieri come quelli politici e tra questi la Gestapo incluse anche padre Placido Cortese. Dopo la guerra Barker rimase nell’esercito britannico e promosso maggiore divenne ufficiale comandante del 22 Reggimento SAS (Service Aereo Speciale), in Malesia dove morì nel gennaio 1953 a seguito di un incidente di elicottero senza vedere pubblicate le sue “Memorie”. E Barker ancora nella sua dichiarazione giurata dice a proposito di padre Cortese che “per tutto il tempo si rifiutò di rivelare i nomi dei suoi collaboratori, un uomo veramente coraggioso”.
Nel libro dal titolo “Maria Lazzari. Storia di una deportata antifascista” del 2020, Patrizio Zanella a tal proposito scrive: “Maria Lazzari faceva parte del gruppo clandestino FRA-MA; arrestata dalle SS nel 1944 fu dapprima rinchiusa nel carcere di S. Maria Maggiore a Venezia e da qui trasferita al “Coroneo” di Trieste. Per gli interrogatori fu portata nella sede della Gestapo in piazza Oberdan, dove era rinchiuso padre Placido Cortese. Fu durante questi interrogatori, ai primi di novembre 1944, che Maria Lazzari, come ha testimoniato Adele Lapanje, ebbe l’occasione di scambiare qualche parola con padre Placido rinchiuso nel “Gabbiotto” dal quale usciva la sua voce molto sofferente. Maria, nata nel 1903 a Padova, morì nel 1945, mentre veniva trasferita dal campo di Concentramento di Ravensbruck a quello di Bergen-Belsen”.
Anche Patrick G.B. Martin Smith (1917-1995), comandante della Operazione speciale di cui faceva parte il sergente Barker, catturato dai tedeschi e poi portato a Trieste per gli interrogatori, fa un accenno a padre Placido Cortese, riportando la testimonianza del sergente nel libro “Friuli ‘44. Un ufficiale britannico tra i partigiani”, ed. De Bianco, Udine 1991.
E nel sito www.padreplacidocortese. Profilo biografico del 23 febbraio 2019 il padre viene definito “confratello di operosa bontà, cortese di nome e di fatto”.
Benemerenze
1. 1946 attestato firmato dal generale H.R. Alexander come “gratitudine e riconoscimento per l’aiuto dato ai membri delle Forze Armate degli Alleati”.
2. 1948. Il presidente cecoslovacco Edvard Benes gli conferisce la “Croce di Bronzo”.
3. 1951. Il comune di Padova gli dedica una via.
4. Nel 2008 Padre Cortese è stato inserito nel “Giardino dei Giusti del Mondo di Padova, assieme a Carlo Angela, a Franca Decima, Parisina Lazzari, Delia Fasolato Mazzucato, le sorelle Teresa, Carla e Lidia Martini, Milena Zambon, Delfina e Maria Borgato, Giovanni Palatucci, Giorgio Perlasca.
5. Nel 2009 il Comune di Padova ha eretto un cippo in sua memoria presso la caserma Romagnoli di Chiesanuova (campo di concentramento nel periodo 1942-1943); con la chiusura della Caserma nel 2009 il cippo è stato collocato accanto alla chiesa parrocchiale di Chiesanuova.
6. Nel lato sud del chiostro della Magnolia, vicino all’ingresso del negozio dei ricordi, oggetti religiosi e libri, spicca un busto di bronzo con una scritta “Padre Placido Cortese (1907-1944)”. “Frate Minore Conventuale, martire della carità. Qui fu tradito da finti amici, fu consegnato alla barbarie nazista”.
7. Nel 2017 il suo nome è stato inserito nel Giardino virtuale (Gariwo) di Milano.
Lo stesso presidente Mattarella, che in un discorso ufficiale aveva definito “martire” fra Placido Cortese, ha voluto rendergli omaggio, durante la visita compiuta alla Basilica di Padova il 7 febbraio 2020, soffermandosi davanti al suo memoriale, corrispondente al suo confessionale, che negli anni tragici della seconda guerra mondiale divenne crocevia di contatti e informazioni, allo scopo di salvare vite umane in pericolo.
Di padre Placido, fra Virgilio Gamboso nel 1964 scriveva: “Possiamo ben dire che riviveva nel piccolo infaticabile frate il cuore intrepido del suo Santo prediletto, Antonio di Padova”.
Il 30 agosto 2021, papa Francesco ha ricevuto in udienza il cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle cause dei Santi ed ha autorizzato di emanare il decreto con cui padre Placido Cortese viene chiamato con il titolo di venerabile. Per farlo santo, basterà ora l’accertamento di un miracolo, ottenuto per l’intercessione del venerabile padre Placido Cortese.
Nel 2021 è stata collocata la Pietra d’Inciampo davanti alla Basilica del Santo, nel punto in cui padre Placido Cortese fu arrestato.
Il 23 novembre 2024 è stata inaugurata nel chiostro della Magnolia della Basilica del Santo una mostra fotografica-documentaria in occasione dell’80° anniversario dell’uccisione di padre Placido Cortese. La mostra ha per titolo “Nel mio cuore come una ferita” tratto da un verso di Igo Gruden (1893-1948), poeta sloveno internato nel campo (io porterò per sempre con me Padova come una ferita). La mostra riguarda il campo di concentramento di Chiesanuova e l’opera di padre Placido Cortese con lo scopo di non dimenticare una pagina di storia padovana. La mostra è promossa da Provincia Italiana di S. Antonio di Padova dei Frati Minori conventuali, Comune di Padova, Consulta di Quartiere 6A- Padova, Associazione viaggiare i Balcani, Museo Nazionale di Storia contemporanea della Slovenia, Casrec (Centro di Ateneo per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea dell’Università di Padova), Veneranda Arca del Santo, Diocesi di Padova. La mostra è frutto delle ricerche d’archivio condotte dal prof. Antonio Spinelli e dalla dott.ssa Maria Grazia Tonisiello in Italia e in Slovenia. La mostra è il risultato di un progetto avviato da un comitato cittadino “Itinerario della Memoria di Padova Ovest”, Frati del Santo, Associazione vivere i Balcani, Consulta di quartiere 6A, le parrocchie di Chiesanuova e delle Cave. Insieme presentarono al Consiglio Comunale di Padova il progetto che fu approvato il 20 febbraio 2022 con un comunicato stampa: Mozione unanime per realizzare un Memoriale alla ex caserma Romagnoli, campo di concentramento durante la guerra. Il progetto prevede di conservare un edificio dell’ex campo di concentramento cui attribuire un nome che “richiami gli eventi del passato, che porti sulla facciata esterna una targa a memoria dei fatti, e che preveda al suo interno uno spazio riservato a foto e documenti dell’epoca”. “Un viaggio nella memoria e raccontare una storia dimenticata”. E padre cortese viene definito il “Kolbe di Padova e di Cherso”, accostando la sua figura ed opera a quella del confratello san Massimiliano Kolbe, martire della carità nel campo di sterminio di Auschwitz nel 1941.
NOTE
1 Cherso è un’isola dell’Arcipelago del Quarnaro a pochi chilometri di distanza dall’Istria. Il suo capoluogo è la città di Cherso. Dopo la dominazione romana, gota e bizantina, nel tardo Medioevo passò sotto la Repubblica di Venezia fino al 1797, quando con il trattato di Campoformio passò all’Impero asburgico. Con la fine della Prima guerra mondiale fu assegnata con l’Istria e l’isola di Lussino all’Italia nel 1919. Nel 1947 fu ceduta alla Jugoslavia per poi entrare a parte della Croazia, repubblica indipendente dal 1991.
2 Nell’aprile 1941 viene pianificato di costruire 120 campi di concentramento per internati civili sloveni e croati, montenegrini, serbi, bosniaci; tra questi c’è anche quello di Chiesanuova pianificato per accogliere 5.500 internati. Nell’agosto 1942 arrivano 1429 deportati sloveni e croati; nel luglio 1943 gli internati sono 3410 su un totale di 32.000 internati sloveni nei vari campi italiani; per Chiesanuova sembra che siano passati circa 10.000 deportati. Il 10 settembre 1943 fu occupata dai nazisti. Dopo la seconda guerra mondiale, viene formata la caserma Mario Romagnoli, dismessa nel 2009.
Letture Consigliate
V. Gamboso, Ricordo del padre Cortese, Messaggero di sant’Antonio, Padova, 1964;
C. Liliana Martini, Catena di salvezza, Ed. Messaggero, Padova 2006;
P. Damosso, Padre Placido Cortese. Il coraggio del silenzio, ED. Messaggero, Padova, 2006;
P. Apollonio Poppoli, Padre Placido Cortese, vittima del nazismo, Ed. Messaggero, Padova, 2020;
P. Zanella, Maria Lazzari, Storie di una deportata antifascista, Edizioni Messaggero, Padova, 2020;
I. Jevnikar e p. A. Tottoli, Padova-Chiesanuova. Un campo di concentramento e la carità di un Frate, OverOltre, Padova, 2009;
B. Pahor, Piazza Oberdan, Ed. Nuova Dimensione, 2010;
Padre L. A. Maracic, Il minore conventuale chersino padre Placido Cortese, eroe e martire, Quaderni, vol. XIX, N.1, 2008;
C. Sartori, Padre Placido Cortese, Ed. Messaggero, Padova, 2010;
U. Sartorio, Il perlasco col saio Osservatore Romano, 11.11.2014;
M. Patassini, Padre Cortese, parola e carità, Ed. Messaggero di sant’Antonio, 2 novembre 2024;
A. Friso, Mattarella incontra padre Placido Cortese, Messaggero di sant’Antonio, marzo, 2018;
L. Di Ascenzio, Medaglia d’oro al valor civile. P. Placido Cortese insignito dell’Onorificenza, Arciconfraternita del Santo, aprile- novembre 2018;
G. Laggioni; Padre Placido cortese, martire della carità. Il coraggio del silenzio; Edizioni Messaggero, Padova, 2024;
Dietro le linee nemiche con SOE (Special Operations Executive) Maggiore Ernest Charles Roland Barker (BEM) British Empire Medal) a cura di Michael Kelly. Frontline Books Edition, Great Britain, 2021;
L. F. Ruffato. Padre Placido Cortese. Un silenzio che gli costò la vita, Messaggero di sant’Antonio, Padova, 24 agosto 2024;
www.vocazionefrancescana.org. Padre Placido Cortese;
www.vaticanonew, Padre Cortese, ottant’anni dal sacrificio del martire della carità di Federico Piano, 24 novembre 2024.