Marangella

di Antonio Prete

A Gianluca Virgilio,

al margine dei suoi racconti d’infanzia,

questi scampoli di passato

che oscillano al vento della memoria.

Marangella poteva derivare da marangia, l’arancia amara. Ma in quel campo del nonno  chiamato Marangella non ricordo agrumi, i quali invece  fiorivano nell’orto sul quale si apriva la cucina, nella casa del paese. Nel piccolo terreno di campagna c’erano piuttosto fichi, fichidindia, mandorli, qualche filare di vigna, e tanti cespugli arruffati di rovi e mortelle che coprivano i muretti a secco.  Rifugio per la notte e per la controra non era un furnieddhu ma una stanza di tufo addossata alla cisterna: sull’intonaco scrostato gli zii, tornati da poco dalla guerra, avevano dipinto un gran bicchiere spumeggiante di vino con la scritta Salute ai villeggianti.

La strada asfaltata, e alberata, che conduceva a Gallipoli, non era lontana, e assai prossimo era il campo d’aviazione di Galatina. Tutt’intorno masserie dalle mura alte, in qualche caso turrite, con arcate profonde negli ingressi, e grandi eucalipti e pini che le ombreggiavano.  Rivedo, in una luce che è il mondo intero abbagliato, il nonno ‘Ntunucciu che mi porge un fico già sbucciato, il cane da caccia Alì, dal mantello nero e una macchia bianca sul petto, che mi segue con gli occhi in ogni movimento : esplode, avvolgendo ogni cosa, il coro impetuoso e potente delle cicale. Oppure è sera fonda, stiamo per attraversare o abbiamo già attraversato la strada chiamata nazionale, ho la mano nella mano del nonno, siamo diretti a una vicina masseria : non c’è la luna e in alto le stelle fanno un chiarore che è anche un immenso tremolio di luci, e sollevo gli occhi verso l’alto, il nonno non mi dice nulla di quelle stelle, ma cammina in silenzio, ed è quel silenzio che mi fa guardare le stelle, è forse nella culla di quel silenzio che appare, ancora informe, fluttuante, una prima domanda sul mondo, ma questo lo penso adesso, perché m’è accaduto tante volte, scrutando il cielo notturno e la sperduta geometria delle costellazioni, di pensare ai silenzi di mia madre nelle sere estive, quando finiva i suoi racconti, e quei silenzi li confrontavo con  i silenzi del nonno. Mi rivedo ancora in uno di questi camminamenti notturni verso le mura di una masseria : costeggiando un vigneto, il nonno prende un grappolo d’uva, insieme lo mangiamo nel buio, mentre si sente il rumore dei nostri passi.

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