
Oggi pubblica quello che possiamo definire con Leopardi il suo zibaldone di pensieri ovvero il primo volume di un’opera, molto ben curata da Nicoletta Di Vita e Diego Ianiro, di cui non si conosce ancora lo sviluppo futuro, ma che si annuncia ponderosa. Il presente volume consta di 467 pagine e copre un arco temporale cha va dal 1° gennaio 1972, quando Agamben aveva trent’anni, al 12 marzo 1981: nove anni di studio e di dedizione filosofica, un tempo impiegato dallo scrittore in un confronto serrato con le opere della tradizione filosofica, letteraria, teologica, giuridica, ecc., senza alcuna limitazione di campo. Il pensiero di Agamben, infatti, si contraddistingue proprio per questo continuo superamento di ogni steccato disciplinare e per la ricerca incessante di una meta (ma esiste una meta?) a cui giungere attraverso non certo la strada maestra, ma per “vie traverse”: “Per arrivare a quello che mi interessa veramente io ho sempre preso delle vie traverse”, scrive Agamben a p. 44. E dunque, tralasciando la meta, che sembra allontanarsi come l’orizzonte man mano che procediamo, occorre mirare a ciò che “interessa” il filosofo, l’oggetto del suo pensiero e della sua riflessione. E qui si aprono mille “vie traverse”, che rallentano ma non impediscono il cammino, e richiedono coraggio e, come ho detto, dedizione, e soprattutto nessuna fretta. Nella prima parte del volume, gli Appunti (gennaio 1972 – dicembre 1979), Agamben scrive sotto la data del 24.11.1974: “Rinunciare ad avere un pubblico, decidere di non pubblicare. Lasciarsi dettare da questa scelta, in assoluta obbedienza, la forma della propria opera. Libertà meravigliosa che ne deriva. Lasciar crescere la propria opera continuamente aggiungendo per anni e anni, senza un tema esplicito né l’idea di una conclusione, di volta in volta appunto, invenzione, lettura, poesia, saggio senz’altra unità apparente che il quaderno su cui si scrive. Un lungo, ininterrotto coacervo, come la natura, come l’io, come la vita…” (p. 70): parole che dovrebbero far riflettere i molti che non vedono l’ora di pubblicare un libro per “avere un pubblico”! Parole, anche, che costituiscono un programma di vita, di studio e di comportamento per il giovane Agamben.
Sono tanti i temi presenti in quest’opera che, oltre agli Appunti già citati, si compone di due altre sezioni: Quaderno I (dicembre 1979 – giugno 1980) e Quaderno II (giugno 1980 – marzo 1981). Come ogni zibaldone che si rispetti, anche questo di Agamben riporta non solo pensieri destinati ad avere uno svolgimento pieno nelle opere pubblicate in quegli anni, ma date, luoghi, sogni, esperienze, ecc. insomma tutto ciò che accompagna la vita intellettuale di uno scrittore. Assistiamo, pertanto, alla nascita “di volta in volta”, di riflessioni sui rapporto tra poesia e prosa, il linguaggio e la voce, il tempo, il piacere, il desiderio, l’eros, l’abitudine, la morte, i rapporti tra scienza e verità, tra natura e cultura, tra tragico e comico, tra dicibile e indicibile, l’ethos, ecc.: dovrei scrivere una trattato, non una semplice segnalazione, per dar conto della ricchezza di questi Quaderni dallo stile inimitabile, in cui alla forma lapidaria dell’aforisma si affianca quella semplice della glossa, alla citazione segue il commento, al commento la definizione e l’indagine etimologica; insomma, una vera ricchezza finalmente dischiusa da questa pubblicazione. Non volendo né potendo scrivere un trattato, mi limiterò a mostrare al lettore che cosa afferma Agamben a proposito del pensare, ovvero di quella che dovrebbe essere la primaria attività dell’uomo: “Il pensiero. Montechiarone, 30 luglio 1980. Quando camminiamo nel bosco, a ogni passo sentiamo fra i cespugli che fiancheggiano il sentiero frusciare animali invisibili, non sappiamo se lucertole, uccelli, ricci o serpenti. Così avviene quando pensiamo. Poiché la verità del nostro pensiero non è nel sentiero di parole che andiamo percorrendo, ma nel fruscio indistinto che a volte sentiamo muovere a lato, come di un animale in fuga o di qualcosa che all’improvviso si desti al silenzio dei passi” (p. 377; ma si leggano in proposito anche i pensieri di analogo argomento delle pp. 295-296, 390 e 401). Il sentiero non apparirà mai interrotto, se il passeggero presterà la sua attenzione a ciò che accade “a lato” del sentiero, dove la vita animale con la sua voce fa sentire la propria presenza. È una metafora, certo, ma credo significhi bene il metodo del filosofo, che costituisce per noi un grande insegnamento.
Condivido la passione e l’ammirazione nei confronti di Giorgio Agamben – anch’io mi sono letteralmente precipitato ad acquistare il primo volume dei suoi “Quaderni”; più che un libro da “leggere” è un livre de chevet da centellinare, consultare, sfogliare e ancora sfogliare in cerca di tracce, suggerimenti, suggestioni…
Temo che pochissimi ormai in tutto il cosiddetto Occidente posseggano la medesima lucidità e il medesimo coerente coraggio etico, politico e intellettuale di Agamben.
Un rinnovato grazie a Gianluca che cura con passione e dedizione “Iuncturae” e continua a dare eco alla voce di Giorgio Agamben (e, anche, di altri intellettuali e studiosi altrettanto coraggiosi e liberi).
Grazie, caro Antonio. Tu sei sempre troppo buono con me. Ti abbraccio!