Come spiega Giorgino nel suo intervento, il titolo della raccolta deriva da un articolo di Bene del 1990 intitolato Nella terra dove si nasce nomadi (se si nasce) e fa riferimento, ovviamente, al Salento, così come anche la definizione, che troviamo come sottotitolo della raccolta, di “Sud del Sud dei santi”, cui Bene tornò più volte nel tempo. E proprio questo saggio di apertura costituisce un perfetto strumento per addentrarsi nell’esplorazione dell’universo-Bene e, dunque, del volume stesso, in quanto qui l’autore si concentra in particolare sul rapporto tra l’artista e il Salento, ponendo l’attenzione sui concetti di deterritorializzazione e nomadismo e su quello di minorità elaborati da Deleuze, figura fondamentale per la comprensione dell’opera beniana, e sull’influenza di Schopenhauer. Giorgino si sofferma anche su una componente altrettanto rilevante nella poetica di Bene, ovvero quella barocca, chiamando in causa l’altro grande poeta salentino del secolo scorso, ovvero Vittorio Bodini, con cui Bene condivideva l’interesse nei confronti della figura di Giuseppe Desa da Copertino, il conterraneo “santo dei voli”, che più volte compare nelle opere del Nostro. Sul barocco si concentra anche il saggio di Ceraolo, che analizza uno scritto inedito di uno dei più importanti studiosi di Bene, ovvero Maurizio Grande, per poi porre l’attenzione soprattutto su Nostra Signora dei Turchi (1968), su cui si concentra anche Sciotto che interpreta l’opera facendo riferimento al concetto deleuziano di “piega”. Il rapporto con il già citato Bodini viene invece ricostruito dal saggio di Giannone, il quale, partendo dalla famosa Lettera a Carmelo Bene sul barocco, prende in considerazione una delle prove cinematografiche di Bene, un breve documentario intitolato appunto Barocco leccese (1968), e sul film Don Giovanni (1970), che Bodini analizzò e a cui partecipò, poco prima di morire, proprio nella già citata lettera. Don Giovanni e barocco che poi tornano, così come Bodini, al centro dell’indagine compiuta da Giulia Raciti, la quale individua concretamente i caratteri barocchi del film e più in generale della poetica di Bene, approfondendo il concetto di negazione dell’immagine nonché l’horror vacui che si cela dietro la filmografia beniana. Di Capricci (1969) parla invece Luca Bandirali, il quale chiama in causa la definizione di “epoca dello spazio” che Foucault diede a quel periodo culturale per poi prima considerare il film in relazione al contesto storico-culturale in cui si snodò la carriera cinematografica di Bene, e procede a un’analisi dell’opera con particolare attenzione alla spazialità e allo scontro tra spazi interni ed esterni. Deleuze e Giuseppe Desa da Copertino tornano invece nello scritto di Annalisa Presicce, che, partendo dalla tournée parigina di Bene del ‘77, prima si sofferma sull’incontro tra l’autore salentino e l’ambiente culturale francese del tempo, con personaggi come Lacan, Foucault, Klossowski e lo stesso Deleuze, per poi “sovrapporre” i principi cardine del filosofo francese all’opera beniana, sottolineandone affinità e divergenze. Una “sovrapposizione seconda” è quella che invece vede protagonista, appunto, San Giuseppe da Copertino, il quale viene preso come pretesto per evidenziare le differenze sul concetto di “idiota” tra Bene e Deleuze. Segue poi il saggio del più volte nominato Alessio Paiano, che approfondisce l’ultima opera pubblicata da Bene, ovvero ‘l mal de’ fiori (2000), individuandone prima i caratteri fondamentali per poi focalizzarsi su un poemetto scritto in salentino, Ahi! ‘nu parlamu d’osce marammie! E su questo componimento si concentra anche il saggio successivo di Beatrice Perrone che, oltre a evidenziarne l’importanza nell’opera complessiva, ne compie un’approfondita analisi linguistica unita a un tentativo di traduzione. Stefano Cristante propone invece una interpretazione della poetica di Bene attraverso una comparazione con il “pensiero meridiano” di Franco Cassano, in particolare prendendo in considerazione la rappresentazione che i due offrono del Sud. Di Cassano scrive poi anche Fabio Tolledi, il quale cerca di ricostruire alcune tappe del percorso che ha portato alla costituzione del “Sud del Sud” mediante una ricognizione degli autori che hanno maggiormente influenzato Bene, tra cui Artaud, Derrida, Bataille, Camus e i soliti Bodini e Deleuze. Dedicato al legame che Bene instaurò con il pittore salentino Tonino Caputo è invece il saggio scritto da Lorenzo Madaro e Brizia Minerva, i quali si soffermano anche sull’ambiente artistico-culturale del Salento in cui Bene si formò tra gli anni ’40 e ’50, sottolineando l’importanza che ebbero in quegli anni alcuni studiosi e artisti e determinate riviste, come “Libera Voce” e “L’Albero”. Il saggio con cui si chiude la prima parte del libro è invece opera di Silvia Balestreri, che realizza una sorta di diario in cui riporta le impressioni derivate da un suo viaggio nel Salento alla ricerca dei luoghi di Bene, ripercorrendo le tappe del suo avvicinamento a quest’ultimo e compiendo un parallelismo tra la regione salentina e il sertão brasiliano.
La seconda parte del libro, come già detto, si configura come un suggestivo apparato di fotografie e documenti riguardanti Bene e il suo Salento, intitolato per l’appunto Cartografia poetica di Carmelo Bene. Si tratta a tutti gli effetti di un vademecum onirico costituito da fotografie di Bene tratte perlopiù dai suoi spettacoli teatrali e cinematografici, citazioni delle sue opere, documenti, come ad esempio il suo certificato di battesimo, ma anche da fotografie d’archivio raffiguranti i “suoi” luoghi, come Campi Salentina, oppure ritraenti gente comune, come degli operai dell’Ilva di Taranto. Non mancano, inoltre, degli “itinerari beniani”, ovvero delle brevi descrizioni dei rapporti che Bene ebbe con le città salentine a cui fu maggiormente legato, ovvero la natìa Campi Salentina, Lecce, Santa Cesarea Terme, Otranto e la Copertino di Giuseppe Desa. Si tratta, in definitiva, di un volume prezioso per chiunque voglia penetrare l’opera e la vita di Carmelo Bene, costruito in maniera originale ed eterogenea, permettendo un’immersione profonda nel complicato mondo di uno degli artisti più importanti dello scorso secolo e che, oggi come allora, continua a stupirci e a sfuggire a qualsiasi semplificazione.
[In “OBLIO. Osservatorio Bibliografico della Letteratura Italiana Otto-novecentesca”, n. 50, dicembre 2024, pp. 331-333]