di Paolo Vincenti
Pace: una parola troppo invocata per non rischiare di restare nel mondo dei sogni, al più nella testa degli illusi o negli slogan dei manifestanti. Il Medio Oriente è di nuovo come sempre in fiamme. In Italia chi è che invoca la pace? I Pro Pal, cioè i sostenitori della Palestina, che il più delle volte fanno gli interessi del terrorismo di Hamas e non dello stato palestinese (che poi, nella attuale vacatio di una guida governativa vera e propria, con le schiere di Hamas si confonde ed è confuso). Inoltre, agli anarchici e sovversivi i quali, manifestando, fanno sentire una forte voce di condanna della guerra, il che è legittimo, però con le conseguenze che le cronache ci raccontano, ossia scontri con le forze dell’ordine a causa delle marce non autorizzate, vetrine rotte e bidoni della spazzatura incendiati, piazze delle città messe a ferro e fuoco. Insomma, un caos, come quello che regna nella testa di questi esagitati. Da costoro direi che certo non mi sento rappresentato. Gli intellettuali di sinistra o di destra non governativa esitano a prendere pubblicamente posizione. Lo spauracchio è l’antisemitismo, invocato dai filoisraeliani, brandito dalla comunità ebraica italiana e dai suoi portavoce contro qualsiasi tentativo di elaborare un ragionamento che sia libero, scevro da pregiudizi e odi di parte, vecchi e logori moloch e urticanti tabù. “Osi dire che Israele sta esagerando nella risposta agli attacchi? Che la difesa non è proporzionata all’offesa?” “Sei uno sporco razzista”. “Sostieni che Israele abbia compiuto un genicidio a Gaza?” “Sei un antisemita e ti devi vergognare”. Se osi dire che i palestinesi in quanto arabi hanno i loro diritti e meriterebbero una casa e uno stato riconosciuto, puoi al massimo unirti a quei giovani universitari fancazzisti che occupano le aule in stato di agitazione permanente. Io non mi riconosco negli intellettuali ebrei italiani ma nemmeno nei sinistrorsi freakettoni e punkabestia universitari. Come la mettiamo allora? Dove mi colloco?