Gioventù salentina 3. Il racconto di Carlo Gervasi (31 ottobre 2006)

di Gianluca Virgilio

Carlo, quando e dove sei nato?

Nel 1952, a Galatina.

Che tipo di educazione ti hanno dato i tuoi genitori?

Un’educazione molto rigida, specialmente in rapporto alle mie intemperanze scolastiche. Io dedicavo poco tempo allo studio, e allora i miei genitori, pur di farmi studiare, mi mandavano al doposcuola. Mio padre era un imprenditore agricolo e mia madre casalinga. Mi hanno dato un’educazione cattolica, ma senza troppe costrizioni. Andavo la domenica a messa, ma solo fino al primo liceo; da allora ci vado solo in certe circostanze, la notte di Natale, per esempio, quando si crea quell’atmosfera festiva che tanto mi piace.

Come è avvenuta la tua formazione culturale e politica?

Io ho vissuto di riflesso e dopo molti anni una parte della vita di mia madre, che ora ti racconterò. Mia madre era figlia di Carmine D’Amico, il fondatore della Clinica, socialista e amico personale di Saragat e di Matteotti – una sera ricordo a casa ospite il figlio di Matteotti -. Mio nonno fu componente della Costituente per i socialisti, dirigente nazionale del partito socialista, poi diventato partito socialdemocratico, sole nascente, maggioritario rispetto a Nenni, antifascista della prima ora. La vicenda è questa: durante la seconda guerra, da più parti qui si paventava che gli alleati sarebbero sbarcati a Brindisi. Mio nonno temeva che da questa zona sarebbe passata la prima linea; siccome mio nonno era sposato con una donna di Soresina (Cremona), ritenne opportuno, dopo l’8 settembre, mandare la moglie e le tre figlie dai parenti. Intendeva toglierle dal pericolo, in realtà la storia prese un’altra piega. La Puglia non fu toccata, mentre Cremona, che faceva parte della Repubblica sociale, divenne l’epicentro della guerra. Così per due anni la comunicazione di mia madre con Galatina fu interrotta, solo qualche lettera arrivava tramite il Vaticano. Qui mio nonno stava con il CLN in una situazione in cui resistenza non ce n’era, mia madre, invece, visse il periodo della resistenza a Soresina e la caduta della Repubblica sociale con la reazione fortissima della resistenza. Mia madre diceva sempre che i fascisti avevano avuto dei comportamenti non condivisibili, ma i comunisti erano peggio per quello che hanno fatto dopo. Molte sue amiche che avevano appoggiato il fascismo – mia madre raccontava – furono messe alla berlina, rasati i capelli, trascinate in piazza. Lo zio Tino, che ospitava i miei familiari, era un signore benestante, non si era mai interessato di politica, amava solo la caccia; subì un attacco dei comunisti che gli spararono alla porta. Tutti questi fatti raccontati da mia madre io li ritrovavo anni dopo, nel Sessantotto, quando c’era lo scontro in piazza, nei giornali “Il Candido”, “Lo specchio”, “Il borghese”. La sinistra aveva l’egemonia culturale e non faceva filtrare questi racconti, che potevano sembrare troppo spinti ovvero una reazione estrema alla forza dell’antifascismo. A distanza di anni, si è rilevato che quel discorso della destra aveva un suo fondamento, tant’è che se ne parla ancora.

Insomma, in famiglia io avevo un esempio di antifascismo moderato, mio nonno  -ricordo che, quando era costretto ad indossare la camicia nera, si metteva il camice che usava nella sala raggi-, e avevo un esempio di anticomunismo, per le vicende vissute in prima persona, in mia madre, che mi raccontava le cose che ti ho detto.

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