Nella società italiana contemporanea il cosiddetto «analfabetismo di ritorno» non è un incubo lontano, è una realtà. La popolazione adulta di una società che non legge regredisce ineluttabilmente verso forme di analfabetismo o di semianalfabetismo. Se il cervello delle persone in età adulta non viene costantemente allenato arretra rispetto ai livelli raggiunti nell’adolescenza e in gioventù, le competenze acquisite a scuola si deteriorano, entrano in crisi perfino le abilità di base (leggere, scrivere e far di conto). Solo il 30 per cento degli italiani adulti ha un rapporto sufficiente con lettura, scrittura e calcolo. Gli altri si muovono in un orizzonte ristretto, assistono a quel che succede vicino e lontano senza comprendere esattamente il senso degli avvenimenti, quindi hanno ridotte possibilità di partecipare attivamente alla vita sociale ed economica. Ne risulta minata la democrazia, dalle fondamenta.
Più della metà della popolazione italiana adulta dichiara di non leggere, in un anno intero, neppure un libro. I motivi della ridotta o inesistente lettura, che coinvolge anche laureati e dirigenti, risiedono (per dichiarazione esplicita di molti intervistati), nella mancanza di interesse: quello che è nei libri, di qualsiasi argomento (compresi temi poco impegnativi come la cucina e i viaggi) non attrae l’attenzione dei potenziali lettori. Magari sono le stesse persone che apprezzano insopportabili trasmissioni televisive affollate di sconosciuti e di famosi in gara tra loro o di cuochi strapagati. Ma leggere no, non si va oltre lo schermo, televisivo o del computer o del tablet. Il disinteresse verso i libri è confermato dai dati che riguardano i consumi e le spese delle famiglie: solo il 10% spende in un anno qualche euro per comprare libri non scolastici. Di conseguenza, nella metà delle famiglie italiane mancano del tutto (o sono presenti in misura irrilevante) libri non scolastici.
Entra in ballo la scuola e la formazione che i giovani ne ricevono. Il livello della scuola è spaventosamente degradato negli ultimi decenni: scarsa attenzione alle conoscenze, nessun esercizio della memoria, rifiuto della cultura umanistica, nessuna attenzione rivolta all’acculturazione dei ceti poveri, che fu l’obiettivo delle classi dirigenti nei decenni postunitari e che ha consentito il miracolo economico, culturale e linguistico che è fiorito in Italia dopo la seconda guerra mondiale. Degradato il ruolo dei professori, esposti al pansindacalismo dei genitori (che tutelano a priori i propri pargoli e sono incapaci di analizzare quello che davvero succede nell’universo scolastico), e malissimo pagati. Non si vede traccia del merito, che è entrato nella nuova intitolazione del Ministero dell’istruzione. Molti indicano come modello il sistema finlandese, ai vertici mondiali. Ma lì il governo investe nelle strutture scolastiche e paga bene i professori
La marea montante ha raggiunto l’università. Per fortuna non devo occuparmi di come vanno le cose oggi, ho fatto i miei concorsi tanti anni fa. Oggi dominano burocrazia, moduli e progetti infarciti di anglicismi incomprensibili, dedotti pari pari da scritti d’oltre oceano mal assimilati. Domina il panpedagogismo, spopolano quelli che pretendono di insegnare ai professori come devono insegnare, senza occuparsi dei contenuti, che sono invece l’elemento imprescindibile dell’istruzione. Si diventa professore ordinario se hai fatto molta burocrazia, se hai compilato molti moduli, se ti sei ingraziato i colleghi del tuo ateneo che devono votare per te. Poco importano i libri che hai scritto, la formazione vera che hai trasmesso agli studenti, i premi internazionali che hai ricevuto.
[“La Gazzetta del Mezzogiorno” del 19 dicembre 2024]