Lecce romana, un marchio e le sue potenzialità

In questo dibattito, in cui si sono sentite anche idee irrealizzabili, vorrei proporre alcune considerazioni sul rapporto tra ricerca scientifica e valorizzazione, convinto che questi due momenti debbano essere sviluppati nel massimo coinvolgimento della cittadinanza, trattandosi di un intervento nel cuore stesso della città. Il completamento degli scavi sotto via Alvino potrebbe fornire elementi di grande interesse per documentare le trasformazioni dell’anfiteatro in età medievale. Qui, come testimonia il geografo Guidone in età normanna, si erano arroccati gli abitanti della città abbandonando gli edifici monumentali del periodo romano, ormai ridotti in rovina. Uno scavo stratigrafico permetterebbe di raccogliere quei dati che gli sterri degli anni trenta nella parte ora visibile del monumento, avevano praticamente distrutto. Ma le attività di scavo dovrebbero essere condotte con il coinvolgimento di cittadini e turisti, secondo le modalità dell’archeologia pubblica che valorizza la dimensione sociale, per una lettura collettiva della storia. I pannelli che delimitano l’area di scavo dovrebbero essere trasparenti e, in giorni ed orari stabiliti, gli archeologi dovrebbero raccontare al pubblico i risultati emersi dalle ricerche, condividendo l’avventura dell’archeologia.

 La stessa partecipazione dovrebbe attivarsi anche al momento di decidere come valorizzare i resti del monumento portati alla luce. Allora andranno ascoltati tutti gli attori della vita culturale a Lecce: gli uffici del Ministero della Cultura, l’Università, il Consiglio Nazionale delle Ricerche che opera nel settore dei Beni Culturali, le varie associazioni, i commercianti.

Giustamente si è parlato del brand “Lecce romana”, che dovrebbe ampliare le potenzialità della città, già universalmente nota per il suo Barocco. Un marchio basato sulla ricchezza di testimonianze che il sottosuolo conserva e che ha rivelato solo in piccola parte. Il “Sistema delle tre città” è una espressione che indica la ricchezza archeologica di questo angolo della penisola salentina: Cavallino è città arcaica distrutta nel V sec. a.C., quando divenne Rudiae il centro dominante, per essere poi soppiantata da Lupiae (Lecce), molto cara all’imperatore Augusto che qui si era rifugiato durante le guerre civili. Se abbiamo sul suolo comunale ben quattro edifici teatrali di età romana, ciò si può spiegare con il fatto che, nel territorio del Comune, sorgevano due città a quattro chilometri di distanza l’una dall’altra. E ciò si spiega con il precedente sistema tribale messapico, di ostacolo a che i due abitati potessero fondersi in uno, mantenendo anzi ostinatamente la loro identità, tanto che con la conquista da parte di Roma furono ascritti a due diverse tribù, Rudiae alla Fabia e Lecce alla Camilia. Suggestivo doveva essere il paesaggio nel IV sec. a.C., quando due possenti fortificazioni in blocchi squadrati, lunghe chilometri, si fronteggiavano nella valle della Cupa, a indicare sentimenti non particolarmente amichevoli degli abitanti.

Ma le due città ebbero destini diversi perché, mentre Lecce continuò a vivere sopra se stessa, Rudiae venne abbandonata: sulle sue rovine crebbe la vegetazione e pian piano divenne campagna, mantenendo intatta la forma che assunse in età romana quando venne creato un impianto regolare di isolati entro una griglia regolare di cardini e decumani. All’interno si costruirono abitazioni private, impianti termali, il Foro con una tempio forse per il culto imperiale, su quale si affacciava l’edificio teatrale ora scoperto, forse il Comitium, sede dell’assemblea municipale ed infine l’anfiteatro, grazie al finanziamento della figlia di un senatore, Otacilia Secundilla,. Qualche foto da drone lasciava intravedere la presenza di strade e muri di case, ma soltanto negli ultimi mesi le indagini geofisiche realizzate da Pio Panarelli e Laura Cerri hanno rivelato in filigrana le linee regolari di questo impianto urbano, mirabilmente conservato. Altre famose città della Puglia come Brindisi, Canosa e Taranto hanno purtroppo cancellato i resti del periodo romano, mangiati dalle strutture del Medioevo e dell’età moderna. Forse soltanto Egnazia, sulla costa adriatica vicino a Savelletri, ha conservato un tale impianto, ma lì ancora non c’è traccia di edifici teatrali come a Rudiae. Finalmente per Lecce romana si sono create oggi le condizioni politiche e culturali per realizzare, a breve distanza dal centro storico, un Parco Archeologico Urbano, magari dedicato ad Ennio, sviluppando quanto già, con lodevole impegno, la società Arva, spin-off dell’Università, ha realizzato attraverso visite guidate, concerti, attività teatrali, letture di poesia, presentazione di libri. Sarà questo il polmone culturale di Lecce, ma bisognerà acquisire nuove porzioni della città antica al pubblico Demanio: sinora solo cinque ettari sono di proprietà pubblica, meno del 5% della superficie dell’intera area archeologica!

E sarà possibile fare il collegamento tra la cultura dell’Antichità e il Barocco, attraverso le nuove scoperte di Castro dove, nel santuario di Atena, sono emersi i fregi a girali vegetali abitati da figure umane e animali, realizzati in pietra leccese, nello stesso stile lussureggiante, barocco appunto, che a partire dal Cinquecento caratterizzò la scultura del Salento.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 20 dicembre 2024]

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