TRADUCEND INGEBORG BACHMANN
Come spesso mi accade (forse con sfacciata temerarietà) anche
questa volta forzo la traduzione, porto il testo un poco oltre i confini
legittimamente tracciati dalla stesura in lingua originale; conoscendo
l’avversione profonda di Ingeborg Bachmann nei confronti del Nazionalsocialismo
(suo padre stesso fu un convinto nazista) e la sua lucida e piena
consapevolezza che molti ex-nazisti stessero ricoprendo posti di responsabilità
nella politica, nell’economia e nella cultura austriache e tedesche del secondo
dopoguerra, esplicito proprio in direzione critica e antifascista certi lemmi
di una delle sue liriche più conosciute e alte (anche se è arduo dire che cosa
non sia “alto” nell’opera poetica bachmanniana…).
Esattamente come Paul Celan anche Bachmann ama in maniera totale la lingua
tedesca ed è in grado di riportarla a livelli espressivi degni dei grandi
classici, ma ella sceglie l’Italia (il poeta aveva deciso per Parigi) come
patria d’elezione perché non riesce a sopportare l’idea di sentir parlare il
tedesco nella stessa terra che aveva concesso appunto una “dilazione” a chi,
invece, avrebbe dovuto pagare subito il proprio debito con la storia e con i
milioni di vittime delle persecuzioni naziste e fasciste.
È così che il participio passato “gestundet” che ho tradotto nel titolo
“dilazionato” (“stunden” significa concedere una dilazione al proprio debitore)
diviene all’interno del testo “tempo/ora accordato/accordata per l’abiura”, al
fine di trasmettere l’idea che per moltissimi una vera autocritica ed esplicita
presa di distanze dal Nazionalsocialismo non è mai avvenuta (si pensi soltanto
a Heidegger, per esempio…) e perché ai miei occhi Bachmann non scrive
“Widerruf” intendendo il termine in quanto abiura del Nazionalsocialismo, bensì
come abiura dell’umanità da parte di chi aderì al Nazismo, intendendo quindi
che la Repubblica Federale Tedesca e quella Austriaca hanno concesso una
dilazione proprio a chi abiurò l’umanità, la libertà, la democrazia in nome di
ideali di morte e di violenza.
Rendo “die Hunde” (i cani) con “canilupo” proprio per far pensare agli animali
deliberatamente addestrati dalle SS alla ferocia per la sorveglianza degli
internati, mentre ricordo che la figura dell’amata i cui capelli affondano
nella sabbia certamente è da riportarsi alla Sulamita della celeberrima Fuga
di morte di Celan. “Drüben” (“di là”) è, per me, la riva del
mare, sia per l’immagine dei pesci che ritorna due volte (nella prima, tra
l’altro, essi appaiono sventrati) sia per il fatto che il sostantivo composto
“Marschhöfe” fa riferimento a un paesaggio del Mare del Nord caratterizzato da
paludi costiere e da terreni coltivati che giacciono al di sotto del livello
del mare.
In un’altra (molto più lunga) lirica (Curriculum vitae nella
raccolta Anrufung des Großen Bären / Invocazione dell’Orsa maggiore del
1956) Ingeborg Bachmann scrive i versi «Mein trauriger Vater, / warum habt ihr
damals geschwiegen / und nicht weitergedacht?», ovverossia “padre mio triste, /
perché in quel tempo avete taciuto / e non continuato a pensare?” e serbo
sempre in me la convinzione che Ingeborg Bachmann esprima il proprio terrore
che i nazifascismi possano tornare a violentare la storia ed è per questo che
rafforzo con il punto esclamativo tutti quegli imperativi che invitano
all’azione, alla vigilanza, alla lotta antifascista.
Infine, anche pensando all’Italia di questi mesi, traduco “härter” (alla
lettera “più duro”) prima con “più spietati” e poi con “peggiori”.