Taccuino di traduzioni 14. Ingeborg Bachmann: il tempo dilazionato

TRADUCEND INGEBORG BACHMANN

Come spesso mi accade (forse con sfacciata temerarietà) anche questa volta forzo la traduzione, porto il testo un poco oltre i confini legittimamente tracciati dalla stesura in lingua originale; conoscendo l’avversione profonda di Ingeborg Bachmann nei confronti del Nazionalsocialismo (suo padre stesso fu un convinto nazista) e la sua lucida e piena consapevolezza che molti ex-nazisti stessero ricoprendo posti di responsabilità nella politica, nell’economia e nella cultura austriache e tedesche del secondo dopoguerra, esplicito proprio in direzione critica e antifascista certi lemmi di una delle sue liriche più conosciute e alte (anche se è arduo dire che cosa non sia “alto” nell’opera poetica bachmanniana…).
Esattamente come Paul Celan anche Bachmann ama in maniera totale la lingua tedesca ed è in grado di riportarla a livelli espressivi degni dei grandi classici, ma ella sceglie l’Italia (il poeta aveva deciso per Parigi) come patria d’elezione perché non riesce a sopportare l’idea di sentir parlare il tedesco nella stessa terra che aveva concesso appunto una “dilazione” a chi, invece, avrebbe dovuto pagare subito il proprio debito con la storia e con i milioni di vittime delle persecuzioni naziste e fasciste.
È così che il participio passato “gestundet” che ho tradotto nel titolo “dilazionato” (“stunden” significa concedere una dilazione al proprio debitore) diviene all’interno del testo “tempo/ora accordato/accordata per l’abiura”, al fine di trasmettere l’idea che per moltissimi una vera autocritica ed esplicita presa di distanze dal Nazionalsocialismo non è mai avvenuta (si pensi soltanto a Heidegger, per esempio…) e perché ai miei occhi Bachmann non scrive “Widerruf” intendendo il termine in quanto abiura del Nazionalsocialismo, bensì come abiura dell’umanità da parte di chi aderì al Nazismo, intendendo quindi che la Repubblica Federale Tedesca e quella Austriaca hanno concesso una dilazione proprio a chi abiurò l’umanità, la libertà, la democrazia in nome di ideali di morte e di violenza.
Rendo “die Hunde” (i cani) con “canilupo” proprio per far pensare agli animali deliberatamente addestrati dalle SS alla ferocia per la sorveglianza degli internati, mentre ricordo che la figura dell’amata i cui capelli affondano nella sabbia certamente è da riportarsi alla Sulamita della celeberrima Fuga di morte di Celan. “Drüben” (“di là”) è, per me, la riva del mare, sia per l’immagine dei pesci che ritorna due volte (nella prima, tra l’altro, essi appaiono sventrati) sia per il fatto che il sostantivo composto “Marschhöfe” fa riferimento a un paesaggio del Mare del Nord caratterizzato da paludi costiere e da terreni coltivati che giacciono al di sotto del livello del mare.
In un’altra (molto più lunga) lirica (Curriculum vitae nella raccolta Anrufung des Großen Bären / Invocazione dell’Orsa maggiore del 1956) Ingeborg Bachmann scrive i versi «Mein trauriger Vater, / warum habt ihr damals geschwiegen / und nicht weitergedacht?», ovverossia “padre mio triste, / perché in quel tempo avete taciuto / e non continuato a pensare?” e serbo sempre in me la convinzione che Ingeborg Bachmann esprima il proprio terrore che i nazifascismi possano tornare a violentare la storia ed è per questo che rafforzo con il punto esclamativo tutti quegli imperativi che invitano all’azione, alla vigilanza, alla lotta antifascista.
Infine, anche pensando all’Italia di questi mesi, traduco “härter” (alla lettera “più duro”) prima con “più spietati” e poi con “peggiori”.

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