I resti di babele 12. Il primato dell’essere umano nelle certezze dell’infinito

Forse comporrà nuovi poemi e musiche nuove, scolpirà capolavori strabilianti. Ma l’Infinito non potrà darcelo mai. Né quello reale, né quello metaforico, simbolico, figurato. Quello metaforico lo abbiamo già avuto in dono con le parole di una poesia proveniente da un pensiero straordinario che per strumento aveva solo il calamaio. La generò un infelice che allora aveva vent’anni. Si chiamava Giacomo Leopardi.  Quella poesia dice l’Infinito con una sinfonia impetuosa e pacata, con una riflessione leggera e profonda sullo spazio, sul tempo, con un affiorare morbido dei sensi, con una musicalità sublime, una dolceamara sensualità, con un inabissamento in un oceano di silenzio, spalancando un vuoto rigonfio di suoni. 

Quei quindici endecasillabi sciolti rappresentano una condizione di congiungimento dell’umano con il sovrumano, del transeunte con l’eterno. Sono l’espressione della finitudine che cerca una consolazione nell’idea o nella suggestione di un infinito, oppure nella sua figurazione, nella sua trasfigurazione, nella sovrapposizione di desiderio e di spaurimento.

Sono una sperimentazione dell’incognita e dell’immenso, un confronto con la dimensione dell’arcano, con quella della solitudine, con l’ansia di sconfinamento. Il 23 luglio del 1820, in una pagina dello “Zibaldone” Giacomo diceva di “una tendenza nostra verso un infinito che non comprendiamo”. Poi puntualizzava: “Il piacere infinito che non si può trovare nella realtà, si trova così nella immaginazione, dalla quale derivano la speranza, le illusioni”. Ciascuno di noi ha il proprio Infinito dentro e una siepe nel pensiero che è il nostro limite di cognizione, la delimitazione del territorio della nostra esperienza di conoscenza che comincia e si conclude nel perimetro angusto di un’esistenza, nella costante mortificazione delle sensazioni e nella umiliazione della ragione, nella spaventosa constatazione che l’incomprensibile resiste alla potenza di qualsiasi scienza, che l’indicibile resta qual è nonostante ogni assalto di metafora. Ma Giacomo ci dice che una possibilità ci può essere. Una sola possibilità: straordinaria. Una immaginazione, una finzione per andare oltre la siepe, per osare il pensiero dell’impensato. 

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, giovedì 19 dicembre 2024]

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