I resti di babele 12. Il primato dell’essere umano nelle certezze dell’infinito

di Antonio Errico

L’Infinito che si manifesta nella luce di una tela di Caravaggio o nei colori della notte stellata di Van Gogh, la tecnologia non ce lo può dare. Quell’Infinito è una condizione che appartiene all’arte custodita dalle mani, alla felicità e alla sofferenza del pensiero, al trasalimento, all’insonnia, all’emozione, alla genialità, alla disperazione, al sentimento, all’intuizione, alla ragione. Al brivido improvviso di un’idea.  All’esperienza di esistere.  Al destino dell’umano.

La tecnologia non potrà mai concepire la musica di Mozart, un saggio di Montaigne, un racconto di Borges, la Divina Commedia, la Cappella Sistina, quello che appartiene alla meraviglia. Non lo potrà fare. Però, per prudenza, dovremmo dire: forse. Perché non si può escludere che l’evoluzione dell’intelligenza artificiale, per esempio, possa arrivare alla generazione di un’arte che non susciterà meno meraviglia. Forse la tecnologia ha possibilità e orizzonti che non possiamo nemmeno immaginare.

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