Paolo Scandaletti nel suo libro “Antonio Da Padova”, p. 24 scrive: “La scarsa attenzione dei biografi antichi per il tratto fisico non era frutto del caso e nemmeno superficialità professionale, ma scelta consapevole. Le prime due biografie (Assidua e Rigaldina) non raccontano di miracoli materiali compiuti dal Santo in vita, preferendo soffermarsi su quelli morali [ …] e mettere in rilievo la sua potenza taumaturgica […]. Ai pittori e agli scultori che se ne sono occupati non interessava tanto fissare i tratti somatici o temperamentali di Antonio, quanto esaltare le virtù e le verità che predicava; badavano al modello di santità che proponeva, e non alla sua immagine”. E a pg 23 scrive ancora “ Le statue delle chiese del mondo ci mostrano un giovane alto, smilzo, dal volto affilato e dolce, in piedi, con il Bambino in braccio, il giglio e il libro”. Ma lo stesso Scandaletti poi dice: “In realtà non era proprio così, essendo egli di statura media, piuttosto corpulento, scuro di capelli come ha confermato l’ultima ricognizione del 1981 delle sue spoglie”. E ancora sostiene: “Il santo doveva essere serio, dotto e santo […], ma discreto e taciturno forse di più. Sicché l’immagine che lo raffigura seduto su un ramo di noce è più veritiera di quella ieratica tramandata dall’immortale bronzo del Donatello o dai santini che si vedono nei luoghi di culto […] e dalla iconografia del tredicesimo secolo, scarsa, incerta per attribuzione e spesso contraddittoria, non si ricava altro. I più non gli attribuiscono la barba: indossava un saio con rozzo cappuccio, alla bisogna, riparava la testa, segnata dall’amplissima tonsura. Ai fianchi portava il cordiglio”.
E padre De Azevedo (vol. 2, p. 212), a proposito dell’immagine S. Antonio, scrive che nella basilica del Santo a Padova c’è “La pittura che più a lui simile è creduta, è la dipinta su un pilastro dell’altar maggiore nella sua chiesa di Padova a mano sinistra; essa in vero non è contemporanea, come si crede, ma la tradizione universale, confermata da antichi autori o in Padova lungamente vissuti, a me lo fe’ credere cavata d’altra più antica. Essa è dipinta sul muro a fresco, ed era nella cappella di Santa Maria Maggiore; di là fu trasportato quel pezzo di muro al detto pilastro, ed ivi è coperto con cristallo. Rendela vie più venerabile l’osservare che nell’ultimo incendio del 1749, avendo il fuoco abbrucciato quanto v’era di combustibile nella cappella maggiore e tutto il resto affumicato, essa non ne patì niente e si conservò bella come dianzi. Autore di questa immagine fu Giotto ossia Ambrogiotto, contadino fiorentino, nato nel 1276 e morto nel 1336, pittor eccellente, il quale superò Cimabue, suo maestro”.
E a pagina 149 De Azevedo ci dà una precisa descrizione: “Era il Santo piuttosto basso di statura, per complessione ben nutrito e poi per l’idropsia (ritenzione idrica, ndr)) gonfio; il colorito del viso era, dicono i contemporanei, il comune degli Spagnoli; mostrava nel volto più gioventù di quello che gli anni e le penitenze e le vigilie comportassero. Avea un’aria sì ingenua, che in solo vederlo si guadagnava l’affetto di chi trattavalo, e senzachè altri sapesse ch’egli fosse, subito se ne formava un’idea d’uomo d’abbene e sincero. Il suo viso era piuttosto rotondo, gli occhi vivaci, la fronte alta, la fisionomia bella, affabile ed allegra, benché mai non fosse veduto ridere, ma serbasse sempre un contegno decoroso e grave, che inspirava ai riguardanti rispetto e piacere. La complessione sua pendeva al malinconico, quantunque all’esterno nol mostrasse. Dovevano le sue carni essere abbronzite e ruvide per tanti viaggi e stenti e macerazioni. Ma quando egli spirò, rivestillo Iddio d’una bellezza singolare, e restarono candidi e volto e mani, e parea che egli soavemente dormisse, come osservarono gli autori di que’ tempi”.
Il Gonzati (vol.I, pp. 153-154) così scrive a proposito dell’antica immagine di sant’Antonio: “Sotto l’arco d’uno dei pilastri (detto della cantoria) […] ed è precisamente quello che mena dritto alla cappella della Madonna mora. Un’antica e volgar tradizione ce la da’ come la verace immagine del nostro Santo. Sta egli ritto in piedi nell’atto di benedire, con due divoti genuflessi a’ piedi. Sant’Antonio a figura intera con la presenza del libro, autore ignoto, probabilmente di scuola giottesca, raffigura il Santo con il tipico abito francescano, mentre con una mano impartisce la benedizione”. Colpiscono i tre nodi del cordone francescano che sono i tre voti del Santo e cioè la castità, la povertà e l’obbedienza (suor Maria Gloria Riva).
Sotto l’effigie si legge l’iscrizione seguente: “Vera D. (ivini) Antonii confessoris effiges qui annos vixit XXXVI. Obiit MCCXXXI indict. V. Idibus Junii, feria VI. Canonizatus sub Gregorio IX in urbe spoletana instantibus patavinis legatis MCCXXXII die pentecostes. Translatus primo MCCLXIII octava resurrectionis domini in hoc templum D. Mariae Majori prius dicatum.
Demum repositus in monumentum ubi nunc jacet MDXXX decimo quinto cal. Martii . Vera effigie del divino Antonio confessore che visse 36 anni. Morì il 1231. Indizione V, agli idi di giugno. Canonizzato da Gregorio IX nella citta di Spoleto, dietro istanza dei delegati padovani il giorno della Pentecoste. Traslato la prima volta nel 1263 nel giorno dell’ottava della Risurrezione del Signore in questo tempio prima dedicato alla Madonna Maria Maggiore e poi deposto in un monumento. Qui ora giace dal 15 febbraio 1530.
Nell’Archivio della Veneranda Arca trovasi notato anche l’anno 1514 e lo scrittore dell’epigrafo “ Pré Iseppo Retto”. Jacopo Salomonio nel suo libro “Urbs Patavinae inscriptiones…..” pg 381 a questa iscrzione, altra ne fa seguire di dodici versi latini, per la quale si potrebbe facilmente darsi a credere, che i genuflessi sono due devoti portoghesi venuti a venerare il loro Santo concittadino, Infatti i due ultimi versi suonan così “ADSUMUS ECCE TUUM LUSITANI INVISERE CORPUS DA REDITUM, O PATRIOS DA TETIGISSE LARES”.
Padre Valerio Zaramella scrive: “Non è improbabile che la vera effigie conservata come tale in convento o avuta da qualche amatore d’arte, fosse stata collocata all’ingresso laterale sinistro (del presbiterio), ora protetto da cancello” il giorno 15 febbraio 1530, che è la data con cui si chiude l’iscrizione, e poi afferma “E suor Maria Gloria Riva nel suo articolo” Antonio, uno di noi”, pubblicato su Messaggero di Sant’Antonio del 29 giugno 2020 scrive che l’effige del Santo “nasce nel 1326, a novantacinque anni dalla sua scomparsa, perché i devoti nutrivano il vivo desiderio di rivederlo, di incrociare i suoi occhi, ritrovarlo vivente in mezzo a loro, immortalare il suo volto e […] i due devoti eternamente inginocchiati, forse due terziari, rappresentano tutti noi che chiediamo l’aiuto del Cielo per intercessione di s. Antonio”.
E padre A. Sartori, a proposito di questa effigie, dice: “Può darsi (che) fosse stata dipinta seguendo i suggerimenti dei frati, che erano convissuti con lui e che ancora ricordavano le sue fattezze. E questa effige doveva essere già nel 1334 se l’Arciconfraternita del Santo ribadiva l’obbligo di tenere sempre accese giorno e notte due lampade, una davanti all’arca del Santo e l’altra davanti alla sua immagine. Ma questo affresco che daterebbe dal primo Trecento, nei suoi più che seicentosettant’anni, sarà stato ritoccato e ringiovanito tante volte fin a fargli perdere forma e colore primitivi. Comunque sembra degno di venerazione come primo ritratto del Santo”.
E per quanto all’autore, Gonzati scrive: ”Or chi fu l’autore, quale l’età di questo dipinto? Questione ella è codesta, a cui sebbene agitata da molti e in opposto senso, non si può dare una soluzione che appaghi. In quanto all’età, diciamo intanto assurda l’opinione di coloro che affermano, vedersi qui ritratto il Santo dall’originale.; senza avvertire che la Basilica non fu murata che appresso la sua morte […]. Né giova dire, che poteva questa immagine esservi trasferita d’altronde, perché essa venne primitivamente dipinta sul pilastro a cui si appoggia; e per quanto dagli intelligenti s’esaminasse l’intonaco circostante, non apparve traccia veruna di trasferimento. L’affresco manifestamente fu ritocco in più parti, massime nei capelli e nelle mani. Né le pieghe, perché troppo larghe, possono esser del tempo in cui fu lavorata la testa; gentile di soverchio la corda che cinge i lombi del Santo, ed il color bigio della tonaca si vede sovrapposto ad altro cinerizio; indizi tutti che accusano il pennello ristoratore. Ove poi si discorre dell’autore, alcuni vollero questa pittura di Giotto, ma non vi scorge per entro la sua maniera; altri di Stefano da Ferrara, chi di pittore ancora più vecchio. E se la si attribuisse al Guariento? Si raffronti il nostro affresco con quelli della cappella maggiore degli Eremitani qui in Padova; ed essi, quantunque rifatti, pur conservano le tracce dello stile del trecentista padovano” (agli Eremitani la cappella maggiore fu dipinta da Guariento padovano; ovvero come lo fanno alcuni veronese).
E ancora il Gonzati scrive: “Qualunque opinione però s’abbracci, egli è certo che antichissima è questa immagine del Taumaturgo; e a chi, per sostenerla originale, affermasse che fu copiata da or si venesse da altro dipinto contemporaneo del Santo, e mai non vorremo già contraddirli. Bionda capigliatura, fronte spaziosa, sguardo mite e sereno, guance pienotte e pallide, labbra assai chiuse, sopracciglia arcuate; eccoti il Santo, qual ci offre in questa effige. Delle molte chiese che aspirano al vanto di possederne la vera immagine, non ricorderemo che due. L’una è quella di S. Giacomo Crisostomo in Venezia, dipinta ad olio sul legno; ma questa pittura, che Flaminio Corner chiama antichissima, non può risalire al di là del quattrocento. L’altra è a mosaico nell’abside della basilica lateranense, e porta la data del 1292, quando Nicolò IV dell’Ordine dei minori, nell’atto di rifabbricar la tribuna, ve la fece porre”.
Mattia Tridello, a proposito dell’immagine antica del Santo presente nella Basilica di Padova, scrive: “La parte bassa risulta notevolmente danneggiata, consunta, molto più scolorita rispetto a quella superiore, probabilmente perché l’immagine era oggetto di carezze devozionali e votive”. Camillo Semenzato nel suo libro “Sant’Antonio nell’arte” dice che “ il Santo è rappresentato tra i due committenti del dipinto, marito e moglie, che secondo l’usanza di allora vennero raffigurati in piccole dimensioni per non invadere la raffigurazione del Santo. E’ una immagine oggi tenuta in grande considerazione e indicata da una tradizione come l’unico vero ritratto di S. Antonio. I molti restauri non ci permettono di conoscere meglio l’artista che l’ha dipinto, il quale comunque si colloca in quell’ambito postgiottesco che a Padova ha avuto tanto fertile sviluppo durante il trecento”.
Ma la più antica immagine che ritrae S. Antonio è quella della lunetta del portale murato della Sagrestia: Sant’Antonio a destra della Vergine e del bambino; a sinistra della Madonna c’è s. Francesco. Zaramella dice: “L’entrata in sacrestia fino a metà 1600 si effettuava attraverso la porta quadrata, ora murata, che si trova più a sinistra. Deve risalire ad antica data, se l’affresco che la sormonta, che raffigura una divina maternità in atteggiamento molto affettuoso, è attribuibile al 1200. E’ di tocco bizantino. Nel 1519 il notaio Bartolomeo Campolongo incorniciò il prezioso affresco con il fregio e l’iscrizione in ottimi caratteri rotondi: UT YLARI ANIMO EXOLVERET QUOD DIVO ANTONIO LIBERE VOVERAT SACRARII HUNC INGRESSUM D(IVI)NUS BARTHOLOMEUS CAMPUSLONGUS PERORNAVIT MDXVIII.
Bellissima e ritratta in atteggiamento molto affettuoso la divina coppia della Madre di Dio e del bambino Gesù che le avvolge il volto con mani un po’ grandicelle per la sua età. Certamente è una delle più antiche, se non la più antica, perché ancora con caratteristiche e movenze bizantine. Ai lati, in ginocchio, quasi in miniatura, due fraticelli oranti con l’aureola, con il volto a tre quarti e le mani alzate a palme aperte e perché non si abbia dubbi sulla loro identità, sono stati scritti i nomi relativi “S. Antonius”, “S. Franciscus”.
Nel 1519 il Signor Bartolomeo Campolongo si fece ritrarre al limite della lunetta, a destra di chi guarda, lui pure orante con le mani giunte, ma a dimensioni normali per cui stona nella legge delle proporzioni, ravvicinato alla statuina di s. Francesco. Il Campolongo, col berretto del mestiere, proveniente da una dinastia di notai, era un benefattore della Basilica e massaro della Veneranda Arca del Santo, e nel 1519 fece ritoccare la lunetta per soddisfare con animo ilare il voto con cui si era impegnato liberamente con s. Antonio”. Due affreschi popolareschi illustranti il miracolo del bicchiere, che lanciato dal piano superiore, non si ruppe, ma infranse la mattonella sottostante; e la predica di S. Antonio ai pesci nella città eretica di Rimini hanno fatto uno degli angoli più belli, più ricchi d’arte e di devozione della basilica Nota 1. Stefano di Benedetto, detto da Ferrara, è stato un pittore italiano attivo a Treviso, Padova, Cremona, Ferrara. Al Santo di Padova a lui è attribuita la Madonna del Pilastro o degli Orbi, opera del 1350 circa.
Bibliografia
L. Baggio, Iconografia di Sant’Antonio al Santo di Padova nel XIII e XIV secolo, Scuola di Dottorato, Università di Padova, 2013;
E. De Azevedo, Vita di Sant’Antonio, taumaturgo portoghese, 4° edizione, Venezia, tip. di Alvisopoli, 1818;
B. Gonzati, La Basilica di S. Antonio di Padova, Ed. A. Bianchi 1853;
Suor Maria Gloria Riva, Antonio, uno di noi, Messaggero di Sant’Antonio, 29 giugno 2020;
J. Salomoni, Urbs patavinae inscriptiones sacrae et prophanae …, stampato a Padova nel 1701;
A. Sartori; Archivio Sartori. Documenti di storia e arte francescana, Voll. I-IV, a cura di Giovanni Luisetto, Padova, Biblioteca Antoniana, Basilica del Santo, 1983-1989;
P. Scandaletti, Antonio da Padova, Rusconi editore, Milano 1981;
C. Semenzato, Sant’Antonio nell’arte, Padova 1981.
M. Tridello, L’iconografia di Sant’Antonio nei secoli, 13 giugno 2020;
V. Zaramella, Guida inedita della Basilica del Santo. Quello che del Santo non è stato scritto, Padova Centro Studi Antoniani, 1996;