Una donna araba tra colonialismo e resistenza

La nostra autrice non ricorda tanto il dolore fisico causato dallo schiaffo, ma la vergogna subita. Vergogna che le fa capire, quando era ancora bambina, di essere una subalterna e che esserlo era una vergogna, come era una vergogna essere povera. Capisce che questa è la conseguenza dell’essere dominata. Da quel momento diviene una ribelle. L’essere ribelle è determinante per lei, come l’assumersi le proprie responsabilità e cercare la verità, che a suo parere non ha prezzo e non consente alcun compromesso. Giunge alla conclusione che nessuno è innocente in assoluto, da non doversi mettere in discussione, nemmeno le vittime, se non si ribellano.    

Ha anche il coraggio di scrivere come sarebbe stata la sua vita senza la colonizzazione francese: “… avrei conosciuto mio marito solo la prima notte di nozze senza mai averlo vista prima, perché da piccola sarei stata reclusa e rinchiusa. Lui mi avrebbe violentata la prima notte di nozze perché dovevo dimostrare subito la mia verginità, avrei vissuto da reclusa nella numerosa famiglia di mio marito e non avrei subito altri turbamenti se non quelli banali della vita, dell’amore e della morte… Inoltre, non avrei pensato e scritto questo testo poiché sarei stata analfabeta e sarei rimasta analfabeta come tutti gli altri… Alle ragazze era severamente vietata l’alfabetizzazione”.

            La El Khayat nelle sue opere scrive soprattutto delle ingiustizie, delle violenze, che hanno subito e subiscono le donne e lo fa partendo dal suo vissuto, mettendo a nudo le sue emozioni, il suo spirito. La sua denuncia è una sorta di liberazione di ciò la opprime e la indigna. Indagando impietosamente sul suo vissuto, indaga l’animo umano.  

Lei cerca il gusto profondo della vita, la pace, l’armonia, ciò che è bello e l’interazione sociale, ossia tutto ciò che è essenziale all’umano. I suoi scritti sono anche un j’accuse rivolto alle società, soprattutto a quelle più oppressive, senza fare distinzioni tra società occidentali e le altre, cosa non molto consueta né in Occidente né in Oriente.

È sicuramente una femminista, ma una femminista atipica, non ha adottato il modello femminista occidentale, adottato anche da molte donne non occidentali, soprattutto quando queste vivono in Occidente.

È un’intellettuale che viene etichettata come maghrebina, sicuramente è maghrebina ma questa è un’etichetta riduttiva. I suoi messaggi sono validi per l’intera umanità.

La sua scrittura è sovversiva, nel significato più nobile della parola, e soprattutto non è ostaggio di culture e religioni oppressive e inumane, la sua scrittura può essere definita terapeutica, sicuramente contribuisce a farci vedere ciò che siamo e non è un bel vedere, specie in questi ultimi tempi.

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