di Antonio Devicienti
E il poeta visionario cercò l’ombra dell’olivo nella calura dell’ora meridiana. Attorno era pietra bianca affiorante, conche di terra rossa, radi olivi o fichi.
L’aria rovente.
Seduto contro il tronco della pianta, dalla veglia meridiana generò il sogno di una città simile a una macchina di teatro o scatole di tenerissima pietra e luce. Appoggiò la città sopra la pianura calcinata dal sole e cominciò a costruirla e a percorrerla edificio dopo edificio.
Bodini si sapeva prigioniero in quell’universo copernicano e galileiano, costruì un labirinto di sogni, o poema infinito, in un giuoco a perdersi nella selva d’invenzioni, nella gratuità delle sue invenzioni, in catene o sequenze od ondate di ghirlande di pietra colonne tortili mascheroni volute balaustrate aggetti arcate doccioni figurati cornici putti alati scaloni torciglioni colonne d’angolo edicole merlature bugnati anditi e – –
Il poeta visionario soffriva, quel sonno gli procurava fitte orribili al capo. Forse era malato: malinconia o lontananza.
Poi nel sogno si sognò seduto sulla scalinata della Chiesa del Rosario, quella con le colonne tortili sulla facciata e da lì sognava la Scatolacattedrale dentro la quale accendere un teatro labirintico di specchi cortine e veli. Fece una luna di tufo (quella pietra porosa emersa dal mare, ancora intrisa di salino assieme a fossili marini) e la sospese nella Scatolacattedrale, poi la sdoppiò in un astro nero e lasciò salire, salire, salire i due globi nello spazio delle incantagioni.