di Gianluca Virgilio
La “norma fondamentale” che caratterizza il pensiero dei Greci in epoca arcaica e classica è che “la vita deve essere una mescolanza di beni e di mali, il principio empirico secondo il quale una fortuna eccessiva finisce inevitabilmente in una catastrofe e infine il destino, che una volta assegnato non può essere cambiato” (p. 190). Desumo questa citazione da un recente libro di Dino Baldi, È pericoloso essere felici, Quodlibet, Macerata 2023, che reca come sottotitolo L’invidia degli dèi in Grecia. Gli esempi che l’autore fa nel corso della sua trattazione sono molti: Prometeo, Creso, Policrate, Serse, Agamennone, le cui vicende finiscono in tragedia per l’intervento inesorabile del phthonos theòn, ovvero l’invidia degli dei, che non tollera la loro “felicità”. Il virgolettato serve a chiarire che il termine “felicità” va inteso nel senso più ampio, come sinonimo di potenza, ricchezza, benessere raggiunto e goduto nella sua pienezza, a tal punto da suscitare il risentimento divino. Platone ed Aristotele inaugureranno un diverso modo di guardare al divino, non più preda delle più basse passioni umane. Come può un dio essere invidioso? Noi oggi certo non lo capiamo ed è per questo che la moderna concezione del divino inizia con i due grandi filosofi su menzionati, che tanta parte hanno avuto nell’elaborazione della teologia cristiana.