Un paio di volte, però, Tabucchi venne a Lecce per motivi particolari. Nel 2003 vinse la seconda edizione del glorioso Premio Salento, rinato dopo un lungo periodo ma destinato a una vita effimera, essendo questa ripresa durata solo tre anni. Nel corso della cerimonia di premiazione, che avvenne il ventisette settembre di quell’anno presso il Palazzo dei Celestini, lesse la prolusione inedita e scritta appositamente per questa occasione, dal titolo “Fratture della storia fino all’11 settembre”. Alla fine egli volle dedicare il premio a Vittorio Bodini che non aveva conosciuto ma che disse di apprezzare come poeta e ispanista
Nel 2004, poi, ritornò nel capoluogo salentino in occasione del 5° Festival del cinema europeo, giunto quest’anno alla sua 25° edizione. Il Festival, che si svolse si dal 19 al 24 aprile, presso il Cinema Santalucia, prevedeva in programma un “Omaggio a Tabucchi” con la proiezione di cinque film tratti da sue opere (romanzi e racconti) e precisamente: Rebus, di Massimo Guglielmi, Notturno indiano, di Alain Corneau, Il filo dell’orizzonte, di Fernando Lopes, il già citato Sostiene Pereira, di Roberto Faenza, e Requiem, di Alain Tanner.
L’“Omaggio” comprendeva anche un incontro-dibattito con lo scrittore dal tema “Tra letteratura e cinema: le suggestive narrazioni di (e da) Antonio Tabucchi”, organizzato in collaborazione con il Corso di laurea di Scienze della Comunicazione dell’Ateneo salentino. All’incontro, che avvenne il 23 aprile sempre in una sala del Cinema, parteciparono Angelo Semeraro, presidente del Corso di laurea di Scienze della Comunicazione, Vincenzo Camerino, docente di Storia del Cinema presso l’Università di Lecce, e lo scrivente a cui fu affidato il compito di presentare l’ultimo romanzo di Tabucchi, Tristano muore. Una vita, apparso quell’anno presso Feltrinelli.
Ma, a proposito del rapporto letteratura-cinema e, in particolare, della trasposizione filmica delle sue opere, così si esprimeva Tabucchi nell’intervista citata poc’anzi:
“Ha suscitato in me molta curiosità, sono sempre andato a vederli con la curiosità di colui che va a vedere un’altra cosa, un altro linguaggio e un’altra opera d’arte, senza mai pretendere che fossero una banale illustrazione fedele di ciò che io ho fatto. Questo perché credo che il cinema e la narrativa siano due arti molto vicine tra le muse, due forme artistiche che raccontano una storia. La mia è stata la curiosità di uno spettatore comune, perché, tra l’altro, mi sembrerebbe presuntuoso stare a vedere se un regista ha tradito o no un testo. Un regista firma una sua opera e nella sua piena autonomia credo che sia libero di utilizzare la propria espressione artistica”.
E alla domanda se si fosse mai ritrovato tra le immagini filmiche, Tabucchi rispondeva così:
“Sì, e quello che conta è ritrovare lo spirito di un libro, la sua atmosfera al di là della storia in se stessa. C’è uno spirito profondo che appartiene ad un’opera e se un regista lo coglie esiste una sintonia, se manca c’è un reale divorzio dall’opera letteraria. Questo spirito i registi che hanno lavorato sui miei film l’hanno mantenuto, ognuno con la sua espressività”.
Per tornare ora all’incontro-dibattito, nel mio intervento, pubblicato per intero su questo sito, dopo aver presentato brevemente lo scrittore e le sue opere precedenti, mi soffermavo su Tristano muore, in cui si ritrovano tutte le caratteristiche della sua narrativa.
“Tristano muore ‒ scrivevo ‒ è la storia di un uomo, ex partigiano, divorato da una cancrena alla gamba, che sentendosi ormai prossimo alla morte convoca uno scrittore, che ha già pubblicato un’opera sulle sue vecchie imprese di guerra, per raccontargli episodi della sua vita. Il romanzo consiste quindi in un lungo, interminabile monologo del protagonista che rievoca questi episodi senza un ordine logico o cronologico, ma andando alla ricerca di un senso di questa vita. Così i ricordi passati, dall’infanzia alla giovinezza alla maturità, si alternano ai fatti presenti, le riflessioni si mescolano ai sogni, ai deliri, provocati anche dall’uso della morfina, gli episodi importanti a quelli apparentemente trascurabili.
Episodio centrale della vita di Tristano è l’uccisione, per mano di un reparto di soldati tedeschi, di un capo partigiano, su cui ritorna spesso, ma che fino alla fine rimane avvolta nell’oscurità, nell’ambiguità appunto. Perché non si riesce a capire chi ne ha effettivamente causato la morte, tradendolo, se lo stesso Tristano, che pure ammazza il reparto tedesco con una mitraglia, diventando un eroe, per divergenze di carattere ideologico o per rivalità a causa di una donna americana, Marilyn, o se è la stessa Marilyn. Questa donna, che è la figura femminile più importante del libro, insieme alla cretese Daphne, ricompare poi lasciando a Tristano un figlio adottivo che morirà preparando una bomba per un attentato di matrice nera. Daphne invece è la giovane donna che lo ha salvato a Creta dopo che Tristano aveva ammazzato un tedesco che aveva ucciso due civili inermi.
Ma anche qui la riflessione esistenziale, di natura privata, sul senso della vita e della morte va di pari passo con quella sulla storia italiana, ma non solo, dal secondo dopoguerra ai giorni nostri. E intensissime sono alcune pagine dedicate a certe mostruosità della storia, come lo scoppio della prima bomba atomica su Hiroshima, o quelle sulla delusione per certi sviluppi recenti della società italiana e sull’affermarsi di una nuova divinità, quella della televisione (‘il pippopippi’ o ‘purga catodica’) che bandisce ‘ogni immagine portatrice di pensiero’.
Nel romanzo c’è un continuo gioco di citazioni, di materiali alti e non della cultura letteraria, musicale, cinematografica e figurativa, secondo i canoni della narrativa postmoderna. Si va, tanto per fare qualche esempio, in campo letterario, da citazioni di versi e titoli di Dante, Leopardi, Foscolo, Joyce, Kavafis, Hemingway, García Lorca a Visconti Venosta e Angiolo Silvio Novaro; in campo musicale, da Schubert al jazz alle canzonette (il romanzo incomincia proprio con la citazione del testo di Rosamunda, una canzone degli anni Trenta). E così si citano titoli e frasi di film famosi, come Via col vento, Il cavaliere della valle solitaria, Il diavolo, probabilmente.
Anche in Tristano muore Tabucchi ricorre all’adozione di differenti punti di vista, di Tristano e dell’io-narrante che a volte non coincide con il protagonista, creando un suggestivo gioco di specchi, e così anche qui, il sogno si alterna alla realtà. Un romanzo ‒ concludevo ‒ del quale non è difficile prevedere una trasposizione cinematografica, a conferma di questo fecondo rapporto esistente tra letteratura e cinema in Antonio Tabucchi”.
Nel suo intervento, ricordo che lo scrittore si soffermò su un tema centrale del libro ma anche, più in generale, della sua opera, quello della verità. Questa, a suo giudizio, può essere trasmessa, più dalla fiction che dalla semplice notizia giornalistica perché essa ha una forza d’urto che la realtà allo stato puro non ha. L’attore che muore in un film – sosteneva ‒ ci fa piangere, mentre i morti che vediamo nei telegiornali no, perché il primo è un simbolo, una grande metafora. Da qui la forza dell’arte: certe verità arrivano più con la finzione che con l’informazione. Per questo bisogna andare al di là della notizia e trovare la ragione del perché succede una cosa. Poi parlò dell’importanza dei punti di vista per cui la verità è multipla. Il mondo è fatto di punti di vista che devono essere tollerati, altrimenti essi causano tragedie. E questo concetto è alla base anche di Tristano muore.
Alla fine della serata, Tabucchi, che si complimentò con me per la presentazione, appose la seguente dedica sulla mia copia del libro: “Per | Antonio Lucio Giannone | con la stima e la cordialità | di | Antonio Tabucchi | Lecce 24. 04. 04”.