di Antonio Lucio Giannone
Antonio Tabucchi (Pisa, 1943 – Lisbona, Portogallo, 2012) è stato uno degli scrittori più significativi degli ultimi decenni del Novecento e dei primi anni Duemila, ma ha svolto anche un’intensa attività di studioso della letteratura portoghese, che ha insegnato presso l’Università di Siena, di traduttore, in particolare di Fernando Pessoa, e di notista politico. Il suo romanzo più famoso è Sostiene Pereira (1994) da cui venne tratto un film di grande successo diretto da Roberto Faenza e interpretato da Marcello Mastroianni nella parte del protagonista. Come è noto, Pereira è un anziano giornalista e l’azione si svolge in un mese d’estate del 1938 a Lisbona durante la dittatura di Salazar. La storia è quella della progressiva presa di coscienza da parte di Pereira del proprio ruolo sociale e della propria dignità umana e culturale, attraverso la conoscenza del giovane amico Monteiro Rossi, oppositore del regime, che verrà ammazzato dai sicari del dittatore, e il cui omicidio verrà denunciato proprio da lui.
Tabucchi era legato al Salento dove veniva spesso in villeggiatura. In particolare, amava il mare del Salento e la costa che va da Castro a Otranto. In una intervista pubblicata sul “Quotidiano di Lecce” il 24 aprile 2004, realizzata da Claudia Presicce, lo scrittore confessava di nutrire un “grande affetto” per questa terra che frequentava “da tempi non sospetti, per via di ‘antiche amicizie’ leccesi”. Rispondendo poi a una domanda dell’intervistatrice a proposito di ciò che gli piaceva, più in generale, della Puglia, così diceva:
“La Puglia mi piace per tanti motivi, per le sue tradizioni culturali, per il mio affetto per la tradizione classica, per la Grecia e dunque per la grecità della Puglia. E mi piace vedere come gli stessi pugliesi stiano riscoprendo questa grecità. In questo momento di globalizzazione essa ha costituito un ìncentivo per ritrovare le proprie radici, la propria cultura. Apprezzo molto il fatto che i pugliesi stiano rifrequentando con questo affetto quella che è la base della civiltà mediterranea. E a questa civiltà, sento di appartenere anch’io. Inoltre devo aggiungere un aspetto antropologico: oggi si parla sempre di ‘gente’ come di qualcosa che non ha più un volto. Qui è bello scoprire sempre che a gente ha un volto e il fatto che sia molto riconoscibile è per me motivo di conforto. Ci sono poi tanti altri aspetti, le bellezze del paesaggio, la dolcezza della terra, le sue qualità gastronomiche, tante cose che rischierebbero di sembrare luoghi comuni, ma che sono invece vissuti da parte mia con mota adesione, in modo autentico”.