Un tema portante della sua ricerca è stata la lirica greca arcaica. Molti ricorderanno l’antologia Polinnia, compilata insieme al suo maestro Gennaro Perrotta (e rielaborata nel 2007 con Carmine Catenacci), che è stata a lungo adottata nei Licei. In quest’ambito P. Bernardini (Urbino), ha ricordato la sua visione del personaggio di Eracle, definito in un frammento del poeta Pisandro di Rodi (VII-VI sec. a.C.) “omicida giustissimo”: una definizione apparentemente paradossale, ma che trova fondamento nella visione greca di Eracle come ‘eroe colonizzatore’ e diffusore della ‘civiltà’, che giustifica anche l’omicidio. E. Cingano (Venezia) ha ripercorso le sue esperienze maturate nell’interpretazione dei lirici greci in collaborazione con B. Gentili, nell’ambito di un fecondo confronto sull’utilizzazione delle fonti antiche. M.G. Fileni (Urbino) ha esplorato la funzione sociale del poeta greco, che interveniva anche nelle contese politiche. Tale tema, spesso utilizzato da Gentili, è stato arricchito mediante un interessante confronto con la poesia moderna prodotta dall’Intelligenza Artificiale. C. Catenacci (Chieti-Pescara) ha messo in luce il contributo decisivo di Gentili alla lettura di un frammento di Archiloco (“sul legno della nave è la mia focaccia impastata, sul legno della nave è il vino di Ismaro e bevo disteso sul legno della nave”), che prende spunto dalla vita da soldato che impegnò il poeta di Paro. I. Weiss (Mainz) ha messo a confronto l‘edizione del poeta Anacreonte (VI sec. a.C.), realizzata da Gentili nel 1956, con quella più recente (2020) curata da Bernsdorff, che sotto diversi aspetti non ne costituisce un progresso. C. Calame (Losanna-Parigi) ha esaminato i contesti culturali e cultuali in cui le poesie antiche erano eseguite, in particolare i parteni, i “canti delle fanciulle” di Alcmane (VII sec. a. C.), mettendo in rilievo il carattere pubblico della lirica greca. M. Colantonio (Urbino) ha ripercorso la sua esperienza personale nello studio, portato avanti insieme a Gentili, dei frammenti del poeta elegiaco Mimnermo (VII sec. a.C.).
Un altro argomento centrale dell’attività di Gentili è stata la metrica classica, in particolare quella greca. Molti ricorderanno la sua Metrica dei Greci adottata nei nostri Licei (testo che è stato rinnovato nel 2003 con la collaborazione di Liana Lomiento con il titolo di Metrica e ritmica. Storia delle forme poetiche nella Grecia antica). A questo argomento sono state dedicate le relazioni di L. Lomiento (Urbino) sul verso asinarteto (per intenderci, una sorta di verso doppio della tradizione italiana, con la differenza che i due membri del verso asinarteto sono disuguali) che aveva l’intento di darne una definizione metrica più precisa di quella adottata in passato, e di A. Gostoli (Perugia), che ha cercato di rintracciare nell’opera di Eraclide Pontico, scolaro di Aristotele (IV sec. a.C.), i resti di teorie metriche antiche, che Gentili ha utilizzato largamente nei sui studi.
Nelle ricerche sulla letteratura greca un argomento ineliminabile è il mito, di cui tutti i testi sono più o meno permeati. Gentili se ne è largamente occupato, e sul rapporto tra poesia e mito nella sua ricerca si è soffermato C. Brillante (Siena). Gentili poi si è dedicato in particolare al mito di Edipo, sul quale ha promosso nel 1982 un Convegno a Urbino (Edipo. Il teatro greco e la cultura europea). Su questo Convegno, e su altri studi, si è soffermato A. Bierl (Basilea), mettendo in rilievo gli aspetti particolari della figura dell’eroe che la ricerca di Gentili ha evidenziato. Un altro grande mito greco è quello degli Atridi, in particolare di Agamennone che, come tutti sanno, fu ucciso dalla moglie Clitennestra al ritorno dalla spedizione vittoriosa a Troia. Il mito è stato sviluppato da Eschilo nella trilogia tragica denominata convenzionalmente Orestea, dal nome del figlio di Agamennone che vendicò la morte del padre uccidendo la madre. R. Thiel (Jena) ha messo a confronto l’ampia trattazione eschilea con il succinto resoconto che Pindaro dà dello stesso tema nella Pitica 11, di cui Gentili ha curato l’edizione e la traduzione nell’ambito dell’edizione complessiva delle Pitiche pindariche.
Infine M.R. Falivene (Roma-Tor Vergata), partendo da un giudizio antico sugli effetti della poesia sul pubblico, ha cercato di spiegare un frammento di Callimaco che parla della voce dell’attore tragico come di “voce di chi abita il mare”. Una valutazione negativa di cui è problematica l’esegesi puntuale.
Può apparire stravagante il tema della ‘cultura dell’improvviso’ curato da A. Veneri (Urbino). In realtà è un tema strettamente connesso con le tematiche della letteratura greca perché l’attività degli improvvisatori del Settecento (di cui fece parte in un primo momento anche Metastasio) rispecchia da vicino la prassi degli ‘aedi’ antichi che componevano oralmente i poemi epici. La somiglianza tra le due attività non sfuggì ai filologi del tempo, che proprio sulla base di essa (oltre che di testimonianze antiche) formularono l’idea di Omero poeta orale, sviluppata nel Novecento da Milman Parry. Gentili ha avuto il merito di recuperare questa importante testimonianza, a lungo trascurata, e di riimmeterla nell’alveo degli studi su Omero e la tradizione epica antica. L’occasione per la rivisitazione proposta da Veneri è stata la pubblicazione di due volumi: nel 1990 di A. Di Ricco, L’inutile e maraviglioso mestiere. Poeti improvvisatori di fine Settecento, e, nel 2022, di M. Capriotti, L’improvvisazione poetica nell’Italia del Settecento.
La critica testuale è una prassi che Gentili ha necessariamente praticato nei suoi studi: H. Seng (Mainz) ne ha dato un esempio su un epigramma dell’Antologia Palatina. L’intervento ha voluto segnalare una esigenza che è alla base di ogni trattazione di testi classici perché deve assicurarci che il testo sul quale operiamo è quello più prossimo al testo uscito dalle mani dell’autore antico.
La provenienza dei relatori, ricordata di volta in volta, conferma il respiro internazionale dell’insegnamento di Gentili. Comunque, il Convegno non è stato soltanto un “amarcord” tra persone che hanno avuto la ventura di lavorare con lui. È stato anche l’occasione per verificare la vitalità di un ‘metodo’ di ricerca innovativo, come ho cercato di mettere in rilievo nel mio intervento. Tale metodo si basa sulla esigenza di una “comprensione globale del testo, non soltanto di tutte le sue connotazioni linguistiche, ma anche di tutta la realtà extra-linguistica dell’enunciato poetico” (parole sue). E, secondo lui, “il testo è una struttura complessa di materiale linguistico, di implicazioni metrico-ritmiche, referenziali e pragmatiche. Una pluralità di discipline è perciò coinvolta nel processo interpretativo e, dunque, già nel momento della ricostruzione del testo”. Da qui la predilezione per l’approccio interdisciplinare, che cerca di superare le ristrettezze del metodo filologico tradizionale. Il fine a cui deve tendere il lavoro del filologo è quello (ancora parole sue) “di capire in concreto la mentalità dell’uomo greco arcaico, le sue strutture linguistiche, le sue categorie mentali e psicologiche, la sostanza e la forma dei contenuti del suo pensiero e della sua arte, in breve l’aspetto vivo dell’uomo greco nel momento in cui egli assume la consapevolezza di sé stesso e della sua posizione di fronte agli altri”.
Possiamo riassumere queste esigenze metodologiche con un pensiero del poeta T.S. Eliot, che gli era molto caro: “Abbiamo bisogno di un occhio che possa vedere il passato al suo posto con le sue definite differenze dal presente e tuttavia così vivo che esso sia presente a noi come il presente”.